La lunga marcia di CriticalCity (e alcune considerazioni di sistema)

Il progetto CriticalCity è molto vicino al mio cuore: incubato in Kublai, vincitore del Kublai Award 2009, ho l’onore di servire nel suo advisory board. Dunque sono stato felicissimo quando il CEO Augusto Pirovano mi ha dato la bella notizia: Fondazione Cariplo ha accettato di finanziare il suo progetto Upload, la “versione aumentata” di CriticalCity, concepita dai ragazzi l’anno scorso in una lunga sessione di lavoro con il gruppo di SF0 a San Francisco. Il progetto vale 300mila euro su due anni; la Fondazione lo cofinanzia al 70%. Per ora ha stanziato il contributo per la prima annualità (110mila euro); sembra disposta a erogare i rimanenti 90mila l’anno prossimo, se la performance del progetto sarà soddisfacente. Si tratta del finanziamento maggiore deciso in questa tornata.

Consumati i festeggiamenti, mi resta da fare alcune considerazioni sull’ambiente in cui CriticalCity – come qualunque nuova idea di impresa – è riuscita a compiere il difficile passaggio da idea a impresa.

Primo. Il percorso è troppo lungo. CriticalCity è in pista da tre anni e mezzo; ha iniziato il percorso di Kublai un anno e nove mesi fa; ha messo a punto l’idea di Upload da un anno. In tutto questo tempo, naturalmente, il progetto non ha prodotto un euro di ricavi, ed è stata molto forte la tentazione di buttare tutto alle ortiche e mettersi a cercare un lavoro qualsiasi. I ragazzi sono stremati: hanno tenuto duro, ma questo non era scontato. Fare un’impresa richiede sacrifici, siamo d’accordo, ma per la società non è un bene che questi sacrifici siano così tanti.

Secondo. Il processo di selezione dei progetti della Fondazione Cariplo è efficiente e trasparente, strutturato in modo da attirare molti buoni progetti ed elevarne la qualità in itinere, senza burocratismi inutili. Quando scade il bando? Non scade, quando sei pronto ci mandi il progetto, ogni qualche mese ci riuniamo e valutiamo i progetti che sono arrivati nel frattempo. Quanto sono grandi i progetti che finanziate? I progetti sono tutti diversi, quello che vogliamo vedere è congruità tra le attività da finanziare, gli obiettivi e il budget. Ah, e non buttarti a scrivere cinquanta pagine: mandaci una pagina e mezzo per email, poi ti chiamiamo noi, fissiamo un appuntamento e ti diamo qualche indicazione per aggiustare il tiro (Augusto è stato chiamato il giorno stesso in cui ha inviato il preprogetto di Upload!). Mi risulta che il modello di valutazione Cariplo sia considerato il più avanzato in Italia, e che la Fondazione per il Sud lo stia studiando per adattarlo al proprio mandato.

Terzo. Non bisogna sopravvalutare il ruolo del venture capital in un sistema per l’innovazione. Naturalmente il venture capital ci vuole e come. Solo che non è adatto a tutte le idee innovative, ma solo a quelle in grado di generare profitti in un orizzonte breve o medio – il che purtroppo esclude molte idee veramente visionarie e generative di ecosistemi, come Internet stessa che infatti è un progetto governativo. Nel percorso di CriticalCity il venture capital italiano ha giocato un ruolo – mi dispiace dirlo – peggio che inutile. Non tanto perché non vi abbiano investito: anzi, hanno fatto bene, perché avrebbero dovuto investire in un progetto not for profit? E del resto, Augusto e compagni, molto consapevoli che CC è un’idea profondamente non profit, non glie l’hanno neppure chiesto. Il problema è stato piuttosto che a TechGarage 2009 diversi VC nostrani si sono impegnati pubblicamente a finanziare CC anche a fondo perduto. Molto pubblicamente: vi consiglio il video, davvero impressionante.

Nòva 24 ci fece la prima pagina, con i Critical sorridenti. A quel punto, però, il percorso si è fatto poco chiaro: sì, vi finanziamo a prescindere, però fate una srl, facciamo non profit ma lasciamoci aperta la porta al for profit. Nel frattempo preparate un piano finanziario, riscrivete il business plan, non ci siamo ancora…

Questo ha generato confusione e fatto perdere molto tempo ai ragazzi: nell’autunno del 2009, come era prevedibile, si è capito che non è il mestiere dei VC investire in progetti non profit, e non è sicuramente il loro mestiere lavorare direttamente sul cuore delle idee di impresa, che devono invece essere espressione degli imprenditori. Uno a uno, i VC hanno ritirato il loro sostegno a CriticalCity. Purtroppo di questo passaggio i media e i blogger che si occupano di innovazione non hanno parlato: e invece è importante, perchè è una storia istruttiva per i creativi e gli imprenditori che hanno un’idea nel cuore, e per i VC stessi. La sua morale è che non tutti i canali di finanziamento vanno bene per tutti i progetti, e che il mondo delle startup, al di là della retorica, non serve a fare innovazione, ma serve a fare soldi in fretta attraverso l’innovazione. Che va benissimo, ma è diverso.

8 pensieri su “La lunga marcia di CriticalCity (e alcune considerazioni di sistema)

  1. Antonio Patti LdF

    Questa è la prima storia completa di una start up italiana nata e cresciuta in ambienti di VC. Bella, istruttiva ed esemplare.
    Peccato davvero che intorno all’ultima parte non ci sia stata comunicazione da parte del mainstream, ma oggi giorno, sprecandosi eventi, paroloni e tanti soldi in VC, come se ne potrebbe parlare male?
    Temo sia diventata più un’attività politica e pubblicitaria, infatti continuo ad essere molto perplesso, e se proprio devo cercare dei finanziamenti, li cerco altrove a meno che non costretto.
    Poi vogliamo parlare pure dello stress che stanno mettendo addosso a noi giovani? Una continua competizione che fa tanto venir voglia di andare a intrecciare cestini in Cina!
    Grazie per il report. Lo farò girare più possibile 🙂

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  2. Alessandro

    Intanto congratulazioni ad Augusto e soci, bravi !
    E grazie Alberto per questo pezzo che racconta molte verità troppo spesso taciute nello “scintillante” mondo dei VC/startup nostrane.

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  3. Dario Salvelli

    Ciao Alberto, ottimo report, è un peccato che nessuno ne abbia parlato della fase finale. Ho assistito alla presentazione del progetto nel 2009 a Roma, mi è sembrato subito una bella idea, interessante. Il punto secondo me è che per i VC (e non solo) l’innovazione sia un’altra cosa: la realizzazione di un prodotto che cambi la vita delle persone (per carità senza sconvolgerla necessariamente) e venga “venduto”, altrimenti si resta nella delicata fase di ricerca e sviluppo.
    In bocca al lupo ai ragazzi di Criticalcity!

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  4. walter

    Primo. Il percorso è troppo lungo. CriticalCity è in pista da tre anni e mezzo; ha iniziato il percorso di Kublai un anno e nove mesi fa; ha messo a punto l’idea di Upload da un anno. In tutto questo tempo, naturalmente, il progetto non ha prodotto un euro di ricavi, ed è stata molto forte la tentazione di buttare tutto alle ortiche e mettersi a cercare un lavoro qualsiasi.

    Questo è secondo me il merito più grande di CC, dando per implicite la professionalità e la capacità di progettare. E’ un processo di selezione durissimo non tutti riescono o possono permettersi di aspettare tanti anni, non solo per questioni economiche, ma anche di riconoscimento, un progetto bellissimo che stenta ad essere riconosciuto, provoca inevitabili delegittimazioni da parte di chi ti sta intorno che sono un ulteriore ostacolo da superare, un’insidia enorme perchè mina l’orgoglio.

    L’esempio più bello è la tenacia di questi ragazzi, di cui ho intuito il potenziale dopo appena 1 minuto aver letto il progetto, ma la mia più grande ammirazione è andata a loro non nei giusti e meritati trionfi che avevano conseguito, ma nella capacità di rialzarsi dopo alcune “batoste” prese e li hanno dimostrato tutta la loro pasta.

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  5. Tito

    Grazie Alberto per la sintesi che hai saputo fare a beneficio di tutti. Il dubbio però mi rimane: è il VC che non va bene per l’innovazione sociale, o sono i nostri venture capitalists che non sanno fare bene questo mestiere nel loro stesso interesse? D’altra parte non è il profitto ma la capitalizzazione ciò su cui i VCs dovrebbero guadagnare e quindi dovrebbe bastare loro che si tratti di società di capitali. Poi dovrebbero scommettere sul fatto che un azienda diventi ricca e cresca. E se uno scommette scommette. Tra l’altro io come ricordi ero presente al loro primo contatto con i Venture capitalists ed ebbi l’impressione che stavano puntando prima di tutto su delle eprsone. Poi mi è anche evidente che in questo processo che hai descritto c’è molto indottrinamento culturale che non è casuale, ma piuttosto previsto e rituale

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  6. Alberto

    Grazie per questo post onesto e sincero Alberto, che riflette molta della storia recente anche di The Hub Milano, dove di innovazione sociale se ne fa tanta, di idee ad alto impatto sociale ne arrivano decine al mese, ma ahime’ di reali social venture capitalists non se ne e’ vista l’ombra. Perche’ secondo me bisogna distinguere – come fanno gli anglo-sassioni – tra il mondo del vc, orientato appunto a profitto sul breve/medio termine, e il mondo del social vc, che non puo’ mai mettere una massimizzazione del profitto davanti all’impatto sociale e ambientale dell’iniziativa che sta finanziando.

    Ovviamente, la cosa diventa realmente complessa nel momento in cui bisogna tirare una riga e decidere: quanto ritorno economico vogliamo sacrificare a favore di un maggiore ritorno sociale (social return on investment – SROI)? E come misuriamo efficacemente questo SROI, soprattutto nel mondo non-profit notoriamente poco incline a misurare il proprio impatto?

    Detto questo, dobbiamo accettare il fatto che si debba letteralmente costruire da zero un intero mercato d’investimento (e non solo filantropico) per l’innovazione sociale in Italia. E’ inutile che ci aspettiamo che siano persone come i classici vc a finanziare le innovazioni sociali che cambieranno le nostre vite. Il paradigma economico italiano (ma non solo) va capovolto, facendo capire a chi ha le risorse finanziarie che e’ finita l’era degli investimenti speculativi a cui facevano seguito modeste donazioni filantropiche per pulirsi la coscienza. Il futuro dell’economia e degli investimenti non potra’ che essere sociale.

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  7. Paolo

    Strano che nessuno l’abbia sottolineato ma, come da sempre sostengo, forse sarebbe anche il caso di rivalutare un pochino banche e fondazioni che, oggettivamente, sono le uniche che fanno girare un pò di soldini in questo paese…

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  8. osimod

    Alberto credo che Kublai e Fondazione Cariplo abbiano interessi molto complementari e dovrebbero strutturare la collaborazione – pur mantenendo ruoli distinti.
    Per esempio Fondazione Cariplo potrebbe fare un briefing ai Kublaiani e valutare il lavoro fatto da Kublai.
    Vedo la loro relazione un po’ come peer-to-patent sta allo US Patent Office.

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