Ho iniziato il 2010 con il proposito di studiare l’economia della complessità. Nel mio lavoro di consulente sulle politiche pubbliche mi trovo a dovere risolvere problemi che l’economia che ho studiato all’università non riesce neppure a descrivere, non parliamo poi di risolverli. L’approccio delle scienze della complessità – un curioso miscuglio molto interdisciplinare di biologia, informatica, un po’ di neuroscienze e vari altri ingredienti minori, dalla statistica all’archeologia, con la matematica a tenere insieme il tutto – potrebbe avere qualche risposta.
Beh, pare proprio che avrò parecchie occasioni di studiare queste cose. A partire dall’anno accademico 2010-2011 sono infatti uno studente di dottorato in economia quantitativa all’università spagnola di Alicante. Il mio supervisore sarà David Lane, che fa parte dello Science Board del leggendario Istituto di Santa Fe, e se tutto va bene discuterò la tesi nell’autunno 2012. L’argomento della tesi è piuttosto pratico: voglio capire come usare le reti sociali per eseguire dei compiti. Le reti, non le persone che le compongono.
Il problema è molto più aggrovigliato di quanto sembra. Abbiamo sempre detto che le dinamiche sociali sono emergenti. La maggior parte degli oggetti interessanti nella società, dal sistema di Common Law alle culture e perfino alla criminalità organizzata, sono sistemi adattivi complessi, e il loro comportamento è imprevedibile a lungo termine. Non è questione di raffinare i modelli previsionali: secondo questo tipo di scienza, è imprevedibile in linea di principio.
D’altra parte io ho teorizzato (in Wikicrazia) e provato a mettere in pratica (in Kublai e altrove) l’idea di imbrigliare l’intelligenza collettiva per migliorare le politiche pubbliche e, in definitiva, il mondo in cui viviamo. Come conciliare l’imprevedibilità delle reti sociali con la direzionalità che le politiche pubbliche richiedono? Vorrei esplorare l’idea che sia possibile, attraverso scelte di progettazione e la somministrazione di stimoli adeguati, addestrare le reti sociali, come se fossero dei grandi animali; e sfruttare la loro capacità di elaborare l’informazione, che è molto più che umana, per fare vivere meglio gli umani. Questo vuol dire innanzitutto comprenderne la struttura matematica, e cercare di influenzarla; è quello che abbiamo cominciato a fare insieme a Ruggero Rossi, anche lui studente ad Alicante. Comunque sia, ritorno a scuola: a 44 anni, è davvero un lusso e un avventura meravigliosa. Grazie davvero a Giovanni Ponti, il direttore del programma di dottorato, per avermi conferito di nuovo il titolo accademico più importante e prestigioso: quello di studente.
Ti invidio…
Wow, esiste DAVVERO una specialità del genere? Poi diventi Dragon trainer?
Una domanda banale: serve tanto tanto tanto tempo per seguire le reti sociali. Figuriamoci per studiarle! Ogni minuto della giornata è denaro, in termini di costo-opportunità (ad esempio, sempre per restare nel prosaico, alle mie spalle c’è una pila di cose da stirare che mi guarda male). Si può quantificare il return on investment delle ore impiegate su/per/about il social networking? Sempre che si possa quantificare pure la produttività di questo tempo… A proposito, mi sono iscritta a Kublai; ci sono alcune cose che non capisco, dovrò impegnarmi di più. Suggerisco un gruppo: Quelli Che Non Finiscono Mai Di Studiare.
In bocca al lupo, naturalmente!
Tiziana, non credo di avere mai preso una decisione seria sul ROI. Io voglio studiare questa roba non perché me ne aspetti grandi benefici, ma perché mi interessano. Lo studio non è il prezzo che pago, ma il bene che compro.
“Dragon trainer” è una genialata! Grazie, starà benissimo sul mio biglietto da visita.
E se hai bisogno di qualcosa per Kublai, chiedi pure, non farti problemi.
Leggendo il ruo research statement mi sembra che la tensione più interessante è qualla fra design e somministrazione di stimoli da una parte, e utilizzo-utilità della rete dall’atro. Sarà bello vedere con che cosa ne esci fuori.
Quanto al tempo che ci vorrà, devi sperare che sia più lungo possibile. A me facevano pena quelli che iniziavano un PhD pensando di minimizzarne la durata. Naturalmente se c’è qualcuno che paga per te 🙂
Da Ph.D. “tardone” a Ph.D. “tardone” (anch’io son tornato studente di dottorato alle soglie dei 40 anni) ti mando un grosso in bocca al lupo… e complimenti per l’argomento di ricerca, assolutamente entusiasmante!
Assolutamente fantastico Alberto! Condivido l’obbiettivo in pieno. Se non riusciamo a capire la la loro complessità e come “utilizzare” le ns reti sociali, tecnologici, biologici ecc non faremo fronte alle sfide vitali del ns secolo ormai da tempo iniziato….
Non vedo l’ora di saperne di più. Grande passo. Bellissima foto! Joanne