Martedì a Roma è successa una cosa bellissima: è stato presentato OpenSpending Italy, il primo contributo dell’Italia alla piattaforma internazionale OpenSpending.
I dati esistevano già. Sono quelli dei conti pubblici territoriali, che il Dipartimento di Politiche per lo Sviluppo ha cominciato a raccogliere nel 1998. E non solo esistevano, ma erano già in formato aperto; della loro pubblicazione aperta va dato atto al Dipartimento e alle sue e ai suoi dirigenti. Eppure, credo, l’annuncio di martedì segna una svolta importante.
C’è stato un salto nell’accessibilità. Dati di grande rilievo sui conti pubblici italiani (spesa pubblica consolidata dello Stato e delle amministrazioni regionali e locali, divisa per regione) sono accessibili con modalità di visualizzazione interattive, avanzate e facilmente confrontabili con iniziative analoghe all’estero (in lingua inglese), Ancora più interessante, questi dati sono stati pubblicati in forma di widget: chiunque può copiare e incollare il codice di embed dovunque voglia visualizzarli, come io ho fatto più sopra.
Ma il salto più interessante è nell’ampiezza e nella diversità della collaborazione che ha prodotto questo risultato. I dati di OpenSpending Italy sono stati raccolti, puliti e associati a metadati da funzionari pubblici italiani della Ragioneria Generale dello Stato e del Dipartimento di Politiche per lo Sviluppo; elaborati attraverso software scritto e adattato da sviluppatori inglesi e tedeschi della Open Knowledge Foundation, che fa parte del terzo settore; e pubblicato attraverso i canali dedicati al data journalism del quotidiano britannico Guardian, che naturalmente è un’impresa privata. L’idea è stata partorita nei luoghi di ritrovo del movimento open data italiano, e soprattutto in un luogo virtuale: la mailing list di Spaghetti Open Data, nata a settembre 2010 per offrire a funzionari pubblici e hacker civici un luogo dove discutere di dati aperti in un contesto costruttivo e rispettoso.
Grazie a questa diversità “gestita” (nel senso che comportamenti irrispettosi non vi sono tollerati) SOD – come altri luoghi – consente a persone che hanno percorsi e competenze complementari di incontrarsi, esplorarsi e, forse, fare qualcosa insieme. OpenSpending Italy è nato da una collaborazione tra due meravigliose civil servants, Aline Pennisi della Ragioneria Generale dello Stato e Simona De Luca del Dipartimento di Politiche per lo Sviluppo, e il civic hacker Stefano Costa di Open Knowledge Foundation Italia. Stefano ha coinvolto i suoi colleghi internazionali (in particolare Jonathan Gray e Friedrich Lindenberg); e questi hanno chiamato in causa Guardian Media (Simon Rodgers, che in quel momento si trovava in Italia — come del resto Gray — per partecipare al Festival del Giornalismo di Perugia). In 72 ore i dati erano pronti per essere sparati sulla prima pagina di OpenSpending e sul datablog del Guardian.
Questa vicenda, almeno per me, porta un messaggio molto chiaro: il movimento open data italiano è maturato molto prima del previsto. I dati stanno crescendo; stiamo convergendo su standard per la pubblicazione; abbiamo tools di visualizzazione, luoghi di ritrovo fisici e virtuali, simpatizzanti nelle pubbliche amministrazioni e nell’ISTAT. Abbiamo amici stranieri che condividono il nostro interesse e con cui siamo in grado di collaborare alla pari. Abbiamo anche una leadership emergente: rilasciato OpenSpending Italy, Aline sta già lavorando con OpenPolis e Open Linked Data Italy su un progetto che si chiama Open Bilanci, che mira a rendere facilmente accessibili i bilanci degli oltre 8000 comuni italiani. E tutto questo in un paese che viene percepito (con buone ragioni) come bloccato, declinante, indifferente.
Poi ok, la stampa ha fatto un po’ di confusione nel riportare in modo corretto fonti e coverage esatti dei dati (Pasquale Notargiacomo su Repubblica, con un inciampo buffo, li attribuisce al Dipartimento del Tesoro, che esiste negli USA ma non qui da noi!), ma è un ottimo inizio, e sono certo che nel tempo ci insegneremo l’un l’altro a essere più rigorosi. Per quanto mi riguarda, sono molto orgoglioso e felice del piccolo contributo che do al movimento open data italiano, mantenendo la mailing list di SOD (sono una specie di portinaio del condominio). Tutti insieme, servitori dello Stato, geeks e semplici curiosi stiamo dimostrando che si possono fare cose utili qui e ora, con le risorse che ci sono e con le competenze che abbiamo, senza aspettare grandi riforme o rinnovamenti culturali. Possa questa attitudine diffondersi ad altri aspetti della sfera pubblica. Sa il cielo che ne abbiamo bisogno.
hi Alberto, thanks for the cool write-up of the processes behind projects like these, and why they are important. It is very similar (the mixing of civil servants, coders, other citizens) to how my home town got to adopt an open data motion last month. (see my blog for a history of that)
Hey Ton, I read and very much appreciated your blog post on Entschede already. What you failed to write (out of modesty, perhaps, but we need accuracy more than we need modesty) is that it is by no means certain that Entschede open data city would have happened if you did not live there! In a way you played a part similar to Berners-Lee in the UK: when he made forceful recommendations, as Micah Sifry writes in his book, “ministers were likely to say yes”.
I guess that further proves the point we both make: civil servants and civil society are leading this process – elected officials have been followers so far.
Hi Alberto, yes I’m sure my work has been essential in making the open data motion happen in my city. I think my contributions are two-fold. One, I had the wider perspective and experience of working on open data nationally and internationally, which made me a trustworthy source locally. Two, I know how to create emergence by network building, build momentum etc. Both helped make sure that the others, who were already interested could actually connect and see how to get to work together. I was the kernel of coalescence I would say 🙂 It might also have happened otherwise, now it happened more quickly.
Buonasera Alberto,
le scrivo per segnalarle che il Dipartimento del Tesoro esiste da tempo anche qui da noi: http://www.dt.tesoro.it/it/. Giusto perché, almeno, in questo caso non credo di aver commesso un buffo inciampo, nonostante google continui ad associarlo al mio nome.
Spero possa rimediare
un saluto
Pasquale Notargiacomo
Mi correggo, grazie!
Anche se i dati continuano a essere del Dipartimento di politiche per lo sviluppo, nato in seno al ministero del tesoro, poi dell’economia e poi scorporato nel ministero dello sviluppo economico.