The campaign for this year’s municipal elections in Milan left us with a precious legacy: the awareness that many citizens are willing and able to collaborate with their elected representatives in a constructive way. Thanks to the large number of people involved, their great creative energy, and their Internet tools to coordinate towards common goals, the connected citizenry’s potential to contribute to a much needed general renewal of the country is out of the question. The Italian civil society claimed a role for itself; there was no Obama to summon it. As it turns out, it has proven to be at least as advanced as any other in the world, and possibly more so.
This legacy, it turns out, has a dark side. Besides citizens, the protagonists of the Milanese campaign were Internet communication experts, who tend to have a marketing background. The marketing-derived approach makes sense for election campaigns, because voting has near-zero cost; low thresholds for access; and above all is often driven by non-rational, gut feeling motivations. All of these characteristics carry through to the purchase of consumption goods. So, political communication experts speak the language of marketing and advertising: they tell stories like Nixon losing the presidency to Kennedy because, in the key TV debate, he was sweating. Their job is not to help the citizenry to build a realistic idea of what is needed in the next term, but cajole them into voting for a certain candidate, even if they do it for superficial or wrong reasons. Granted, it is not particularly noble, but it works.
Collaboration between citizens and public authorities is very different from competition for votes, and the analogy with purchase of consumption goods does not carry through. Designing and enacting policies is a high-cost, prolonged activity; it requires rational argument, data, competence. In this context the marketing profession’s seduction techniques don’t work well; what’s more, they risk doing damage. In particular, they risk creating participation bubbles: initially luring into signing up people that later, faced with the exhausting wrangle of designing policy, get disheartened and defect en masse – leaving themselves with a bad experience and others with the chore of reorganizing the whole process. Enacting the wiki government is not about attracting large crowds, but about enabling each and every citizen to choose whether to engage, and just what with, while giving her honest information about the difficulties, the hard work, the high risk of failure associated with participation. Indicators, too, have different meaning than in marketing: in the advertising world attracting more people is always better, whereas in the wiki government there is such a thing as too much participation (it entails duplication of information, with many people making the same point, and reduction in the signal-to-noise ratio, with low-quality contributions swamping high-quality ones).
There is a fundamental difference in the way the decision to engage is modeled: in wiki-style collaboration participants self-select, in marketing the communication experts selects a target in a top-down way. In the former the participant is seen as a thinking adult, that needs to be enabled and informed so that she can make the right decision; in the latter the consumer (or voter) is seen as a stupid, selfish individual that reacts to gut stimulation, and that needs to be led to do what we know must be done. The outcome of collaboration, when it is well designed, is open and unpredictable; the outcome of marketing, when it is well designed, is meeting some target set a priori.
All in all, a shift towards marketing of the discourse on collaboration would be a mistake. An increase in the number of participants to a single process does not automatically mean an improvement; a mayor is not a brand; a willingness to help out is not a trend to be exploited on the short run (and if it is we have no use for it, because collaboration on policy yields results on the medium to long run); and above all citizens are not a target, because they don’t need to be convinced: they need to be enabled to do whatever it is they want to do. It is crystal clear that Italians are up for trying out a collaboration with any half-decent public authority; this collaboration needs space and patient nurturing to grow healthy and strong, sheltered from hype and unrealistic expectations. I hope that the leaders of Italian authorities – starting from the new mayor of Milan Giuliano Pisapia, the leader who best synbolizes the current phase – resist the temptation to frame collaboration as a campaign, citizens as voters, rational conversation as hidden persuasion. Yielding to it would mean shooting themselves in the foot, and wasting an opportunity that the country cannot afford to miss.
Sono d’accordo Alberto e dico anche che il pensiero economico ha influenzato molto, troppo delle nostre vite con l’idea del profitto come unico fine. Ai corsi professionali ci indottrinano da anni con il budget, la mission e il management e le persone sono cinicamente lanciate in un individualismo deprimente e perdente anche per le istituzioni stesse. Si respira disumanità da troppo tempo…..Il benessere delle persone è fatto anche di tempo, di relazioni, di comunicazioni trasparenti (basta manipolazioni please..) e di rispetto reciproco. Economia e politica devono ripensare se stesse e ridare spazio al tempo della vivibilità e della qualità delle nostre vite. Sono d’accordo anche sulla consapevolezza dell’impegno. La qualità, se la vogliamo, richiede il nostro impegno anche sul web.
curzia
Io sono , come sai meno radicle sulle logiche totalizzanti del profitto, ma credo che in queste elezioni e nel referendum abbiano contato di più una logica di comunicazione innovativa che una di marketing…semmai c’è stato un imprtante reversal marketing d aparte dei perdenti. E pisapia si è tenuto più alla politica “distinguendosi” anche rinunciando ad una parte di merketing che non “caratterizzandosi”: nel refrendum ha contato la politica tradizionale nell’impostazione , la tattica nel posizionamento e poi la scelta di distanza da. Non esistono rapporti 95 a 5 su argomenti di merito. Il massimo straordinario è 80-20..ma di solito siamo 60 40 o 70 30. spiega bene ricolfi che queli risultati si sono ottenuti solo in epoche particolari di presa di distanza dal partito egemone nel 74, nel referendum sulle preferenze..poi più. La base per costruire una infomrazione argomentata e una partecipazionie innovativa alla governance è più limitata e definita. Sempre secondo me …
Massimo, non sono sicuro di capire cosa intendi. Le tecniche di marketing in senso commerciale (tu lo sai meglio di chiunque altro) nelle campagne elettorali si usano. In questa e altre occasioni si sono usate anche tecniche di marketing online, per i social media. Su questo non ci sono particolari problemi, e non mi pare molto importante il particolare mix usato da Pisapia o da altri candidati. Il mio punto è: secondo me per la collaborazione istituzionale ci vuole un approccio diverso. Quelle tecniche non funzionano, e potrebbero perfino fare danni, perché si basano su una concezione cinica e poco rispettosa del cliente/elettore/target. Mentre la collaborazione la fanno i cittadini, che sono tutta un’altra cosa.
Sono d’accordo con te Alberto.
Forse resta solo qualcosa da aggiungere, più che da ribattere.
Riguarda la promozione orizzontale del referendum: in questo caso credo che il problema sia ancora più grave, in quanto coinvolge la forma più avanzata di marketing, il marketing virale, che si nutre proprio di quel chiacchericcio che sparge memi tramite la “duplicazione dell’informazione, con molta gente che dice le stesse cose, e riduzione del rapporto segnale/rumore, con gli interventi di bassa qualità che sono molti di più degli interventi di alta qualità”; ovviamente a scapito di una comunicazione in grado di far riflettere, rimandare alle fonti di open data e ad interpretazioni dei dati sempre meno fuorvianti.
Insomma, l’esempio del referendum è lampante: il trionfo del “marketing buono” = zero rispetto per l’autonomia intellettuale dei votanti (ho letto mail che giravano con scritte “volete andare al mare?”, o “chi non vota si deve vergognare”, e altre non-argomentazioni simili) per fini concepiti come buoni, ma da chi? La formazione di nuovi soggetti consistenti è scongiurata dalla chiacchera. Opinionanismo.
Mula, non sono sicuro che la campagna referendaria sia stata condotta da esperti di marketing, cosa che invece è sicuramente successa per le amministrative. Però condivido: si è parlato pochissimo di energia nucleare (e delle sue relazioni con l’ambiente in generale: per esempio quasi nessuno ha citato il riscaldamento globale, alimentato dagli idrocarburi ma non dal nucleare) e di economia della regolamentazione connessa con la gestione dell’acqua. Il tono generale era molto antigovernativo, il che è comprensibile ma fuori tema. Anch’io mi sono trovato a disagio.