Tradotto da Edgeryders
I servizi di cura sono entrati nel nostro radar qualche anno fa. Servizi sanitari e sociali alla portata di tutti e rapidi nell’intervento non erano e non sono disponibili. E non solo per sconosciuti, che vivono in paesi lontani. Per i nostri amici e parenti e vicini, qui. Bisognava fare qualcosa.
Dal nostro punto di osservazione, sono le persone che si mettono insieme per tamponare la falla. Le comunità assumono il ruolo di fornitori di servizi di cura, anche nelle tante situazioni in cui né lo stato né il settore privato hanno interesse a spingersi. Fanno cose grandiose. Hackers costruiscono sistemi open source per misurare la glicemia ai bambini diabetici, e trasmettere la misurazione in tempo reale ai genitori via rete. Psicologhe belghe esperte di traumi trasformano autobus in consultori mobili e li guidano fino in Grecia, per aiutare profughi traumatizzati dalla guerra. Pazienti di sindrome bipolare 1 si aiutano a vicenda a combattere le tendenze suicide. Biologi e biohackers cercano insieme di inventare un sistema open source per produrre insulina umana a basso prezzo. Attivisti in America si incoraggiano l’un l’altro a mangiare in modo sano e fare esercizio, facendolo insieme.
Abbiamo lanciato un progetto di ricerca per studiare più da vicino queste storie, e molte altre come queste. Volevamo capire cosa queste iniziative hanno in comune, e come potremmo lanciarne altre. Quel progetto si chiama OpenCare: è nel suo secondo anno. I risultati stanno ancora definendosi, ma una cosa è già chiara:
Ciò che conta sono le persone.
Per produrre servizi di cura, le comunità hanno bisogno di persone. Più volontari, meglio preparati. Persone disposte a insegnare le une alle altre. Terapisti per aiutare volontari traumatizzati da un lavoro spesso disperato, in situazioni difficilissime. Quindi, le tecnologie a più alto impatto sono quelle che mettono insieme le persone. Condividono conoscenza. Distribuiscono risorse umane attraverso diversi contesti di cura. Queste tecnologie sono connettori: aiutano ad allineare e coordinare lo sforzo umano.
Questa intuizione è fondamentale. Va anche al di là del problema della cura. E ha molto senso: dopotutto, noi siamo il 99%. Abbiamo poco denaro, e quasi niente potere. Non abbiamo grandi aziende, fondazioni ricche, università prestigiose. Ma abbiamo gli uni gli altri. Possiamo prosperare, se sapremo collaborare. Purtroppo, la collaborazione è costosa, e difficile da monetizzare. Quindi, la tecnologia che la rende più efficiente fa la differenza.
A Edgeryders, abbiamo deciso di mettere in pratica questa lezione. Lo stiamo facendo hackerando la tecnologia connettiva più fondamentale in assoluto: la casa.
Sogniamo uno spazio di nuovo tipo, che possa essere un focolare per le nostre famiglie ma anche essere aperta al mondo esterno. In cui la porta non sia un cancello per tenere fuori i lupi, ma un ponte verso reti globali. Dove possiamo vivere, e lavorare, e qualche volta lavorare con le persone con cui viviamo, e vivere con i nostri colleghi. Dove le persone siano benvenute a fermarsi un giorno, o una vita. Dove passare anche solo un’ora, ma col cuore, assicuri che non saremo mai più degli estranei. Dove sviluppare il nostro talento, imparare abilità nuove, migliorare in ciò che facciamo. Dove creare gli uni per gli altri un ambiente sano, amichevole, cosmopolita e, certo, prenderci cura gli uni degli altri.
Abbiamo già fatto questo sogno in passato. Nell’iterazione precedente lo abbiamo chiamato unMonastery. Ne abbiamo fatto un prototipo nel 2014, a Matera. Quell’esperienza ci ha insegnato molto. La lezione più importante è questa: uno spazio di vita e lavoro non può essere troppo vicino al bisogno di un singolo cliente. Né può dipendere dal ciclo dei finanziamenti. Deve essere finanziariamente sostenibile, e supportare diversi progetti e linee di lavoro. Abbiamo imparato anche quanto sia importante essere aperti alla diversità, e cercare, al di fuori del nostro spazio, aria fresca e idee nuove da fare circolare, sempre.
Ma c’erano anche molte cose che funzionavano bene nell’esperienza unMonastery. Quella di cui sono più orgoglioso è questa: ci abbiamo provato sul serio. La pianificazione e la due diligence sono necessarie, ma un prototipo permette un apprendimento più ricco.
Quindi, ora non è il caso di continuare a sognare uno spazio nuovo. Stiamo già collaudando una seconda iterazione.
La chiamiamo The Reef. Le barriere coralline sono strutture costruite da piccoli animali, i coralli. Servono come casa, punto di ancoraggio, nascondiglio o terreno di caccia a migliaia di specie. Alghe, pesci, vermi e molluschi cooperano, competono, si nutrono e si mangiano a vicenda. Ne beneficiano i coralli, che guadagnano l’accesso a sostanze nutrienti (le barriere coralline sono tipiche di acque tropicali povere di nutrienti).
Come le barriere coralline, il nostro nuovo spazio trarrà forza dalla diversità e dalla simbiosi. Persone diverse porteranno abilità diverse, accesso a reti diverse, personalità diverse. E Edgeryders (un’impresa sociale) vivrà in simbiosi con lo spazio e le persone che ci vivono. Pagherà un affitto, sussidiando chi abita nel Reef; in cambio, potrà usare lo spazio per i suoi scopi: ufficio, spazio per il coworking e per piccoli eventi.
Come le barriere coralline, il nostro nuovo spazio sarà un’ecologia – una rete. Non avrà confini netti tra “dentro” e “fuori”, piuttosto un gradiente di “più vicino” e “più lontano”. Ci sono molti modi di esserne parte. Alcuni vorranno abitarci a tempo pieno, altri si faranno vedere una volta o due al mese, o all’anno. Alcuni lo useranno più per lavoro, per montare progetti con noi o gli uni con gli altri. Altri si concentreranno sull’imparare insieme e sullo sviluppo personale. Naturalmente, abbiamo già una rete: la comunità online di Edgeryders stessa. E non sparirà, anzi diventerà ancora più importante. Ma ora The Reef le darà una presenza offline permanente. I membri di The Reef saranno il cuore della comunità di Edgeryders. E come sempre, ciascuno è libero di entrare in questo cuore o no; ciascuno è libero di giocare il ruolo in cui si sente meglio.
Abbiamo fatto un po’ di conti, e siamo sicuri che possiamo farlo funzionare. Cominceremo con un prototipo su piccola scala: un loft a Bruxelles, con quattro camere da letto, un’area comune, un ufficio e un cortile. Noemi, Nadia ed io saremo residenti permanenti: un’altra stanza ospiterà residenti temporanei. Il prototipo comincia il 1 maggio 2017 e durerà un anno. Stiamo già cercando uno spazio (molto) più grande in cui trasferirci nella primavera 2018 se l’esperimento funziona.
Ti piacerebbe essere parte di questo esperimento, o vorresti saperne di più? Ci sono tre cose che puoi fare.
- Puoi partecipare a un evento di OpenVillage Festival dedicato a The Reef. Lo useremo per progettare lo spazio fisico, il suo modello di finanziamento e le attività che ci faremo dentro. Sarà riservato ai membri di The Reef: stiamo progettando la nostra casa, e sta a chi ci vivrà e la frequenterà prendere decisioni in merito. Info qui.
- Puoi partecipare al primo momento di auto-formazione e sviluppo personale a The Reef, il 26-27 maggio. Impareremo a essere più bravi a parlare in pubblico con il Power Pitch Weekend. Info qui.
- O puoi metterti in contatto. Scrivi, o partecipa a una delle community calls di Edgeryders, o vieni a trovarci per un caffè.
Quindi: una simbiosi place-based tra alcune persone che “vivono al bordo”, una piccola impresa mutante, e nessun manuale di istruzioni. Non sarà facile. Ma ha il profumo che cercavo: l’eccitazione di costruire qualcosa di nuovo, e il piacere di farlo con persone brave, solide e generose. È ambizioso, ma realizzabile. Una cosa è sicura: mi ci impegnerò al massimo.
Alberto splendido lavoro
Sei un genio
Dany
Sei gentile… a noi sembra una conclusione un po’ laboriosa, ma ovvia. 🙂