Terrour with fright" from le Brun,. Credit: Wellcome Collection. CC BY

La riconciliazione ai tempi di Internet

Leggo con preoccupazione della vicenda della nave Sea-Watch 3. Al momento in cui scrivo, è tutt’altro che risolta (qui il Guardian). Comunque vada a finire, temo che le sue conseguenze riguarderanno non solo i protagonisti della storia (i 42 migranti raccolti dal Mediterraneo, il capitano della nave, le autorità italiane direttamente coinvolte e i loro leaders politici), ma tutti gli italiani. Queste conseguenze saranno fortemente negative. Potrebbero arrivare fino alla disintegrazione del senso di unità nazionale.

La ragione è questa. Le italiane e gli italiani sono esseri umani, e come a tutti gli esseri umani gli capita di surriscaldarsi durante una discussione. Di lasciarsi scappare una parola di troppo, e attraversare il confine tra il confronto e la lite.

È umano, e normale. Il lunedì, i bar di tutta la penisola sono teatro di discussioni molto accese sulle partite di calcio del giorno prima. È normalissimo sentire persone accusarsi a vicenda di “avere rubato il rigore”, “avere corrotto l’arbitro”, o roba simile. Naturalmente, le persone in questione  non solo non erano in campo durante le partite in discussione, ma non erano neppure nel raggio di cento chilometri dallo stadio. Gli accusatori lo sanno bene, ma associano ugualmente il tifoso della squadra avversaria alle presunte scorrettezze commesse dai suoi dirigenti e dai suoi giocatori. Il “voi” contro il “noi”, secondo i biologi, sarebbe addirittura un tratto innato, parte dell’evoluzione di homo sapiens.

Nella discussione su Sea-Watch 3, avviene qualcosa di simile. Molti limiti di civiltà e di correttezza sono stati passati. Spero che la mia percezione sia sbagliata, ma vedo il paese dividersi in due tifoserie. Il campo di questa partita è quasi vuoto; ma i bar sono pieni di persone che insultano non solo i giocatori, ma gli uni gli altri. Le parole che leggo sono pesantissime. “Uccideteli”, “affondateli”, “disumani” e così via.

Purtroppo, prevedo che l’eco di queste parole rimarrà con noi a lungo. E questo ha a che fare con Internet.

Da un lato, Internet fornisce un archivio delle cose che condividiamo: la gioia e la rabbia, le opinioni misurate e argomentate e gli insulti e la frustrazione. E non dimentica niente. Se oggi usi la rete per chiedere l’affondamento di una nave piena di povericristi, o dare del nazista al ministro tale o all’onorevole talaltro, ti lasci dietro una traccia digitale che non sparirà facilmente. Hai voglia a pentirti: quel post su Facebook, o tweet, ti rimarrà appeso al collo come l’albatro morto al vecchio marinaio di Coleridge.

Dall’altro, i social media tendono a spingerci in “bolle di consenso” dove la maggior parte delle persone sono vicine alle nostre posizioni. Secondo Zeynep Tufekci, queste bolle tendono a diventare sempre più estreme con il tempo e il consumo di social media.

Insieme, questi due effetti creano una situazione in cui le nostre prese di posizione più estreme diventano una gabbia da cui non possiamo più uscire. Da una parte, esse sono incancellabili, o quasi, dalla memoria elettronica della rete: se cambi idea, devi sapere che tra un anno, o dieci, qualcuno potrà sempre rinfacciarti quell’insulto di cui ti sei pentito, quella posizione che oggi consideri sbagliata. Dall’altra, averla espressa ti rende parte di una bolla che ti premia per quella posizione; ti ammira, ti rispetta come una persona che non ha paura di dire quello che pensa. In questa situazione, è ancora più difficile rimettersi in discussione.

Conclusione. Ai tempi dei social media, quando in una comunità si forma una linea di frattura, essa tende ad allargarsi, a cristallizzarsi, a diventare irreversibile. Diventa molto difficile perdonarsi a vicenda e riconciliarsi. È quello che è successo nel Regno Unito: nel 2015, le categorie di “Leaver” e Remainer” non esistevano. Nel 2016 erano un’abbreviazione che voleva dire “uno che vota per/contro l’uscita dall’UE”. Nel 2019 sono identità: se andate su un sito di incontri per cuori solitari, lo troverete pieno di profili che dichiarano “non potrei mai uscire con un Leaver/Remainer”. Queste identità sono completamente inventate, ma l’effetto combinato di memoria incancellabile e bolle di consenso le rende efficaci, e anzi le approfondisce. Temo che, con la Sea-Watch 3, noi italiani abbiano trovato la nostra linea di frattura, la nostra Brexit.

A breve termine, come mostra l’esempio britannico, una divisione del genere sprofonda un paese in una continua guerra che risulta paralizzante. Dopo il referendum, infatti, il governo britannico non ha fatto sostanzialmente niente, nemmeno preparare la Brexit. A lungo? Nessuno lo sa. Temo che una comunità nazionale così divisa non sia sostenibile.

E quindi? Io non conto niente, ne sono consapevole. Ma se le mie parole avessero un peso, le userei per chiedere ai miei connazionali di essere compassionevoli non (solo) verso i migranti della Sea-Watch 3, ma anche gli uni verso gli altri. Una persona può, in un momento di rabbia, dire una cosa orribile senza essere una persona orribile. Il “nemico” che ci sbeffeggia su Twitter è una persona molto simile a noi, con una famiglia, l’assicurazione dell’auto da pagare, forse un cane. E un paio di strati dietro al suo linguaggio offensivo ci sono argomenti che valgono la pena di essere presi in considerazione.

Nessuno ha il monopolio dell’italianità. Ma a me piace ricordare questo: dopo la caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, venne nominato un governo di unità nazionale. Ministro della giustizia era Palmiro Togliatti, il segretario del Partito Comunista Italiano. L’atto più significativo di Togliatti fu un decreto di amnistia, emanato in tempi molto rapidi. L’amnistia copriva “i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi ivi compreso il concorso in omicidio” (fonte).

Le implicazioni di questa scelta erano enormi: chi era stato complice nel trascinare il paese in una guerra perduta, poi di collaborare con il nemico, veniva messo sullo stesso piano di chi non aveva commesso alcun reato, e non si era piegato all’occupazione. Equo? No. E infatti Togliatti dovette pagare un prezzo alto in termini di consenso, anche all’interno al suo stesso partito.  Ma il governo di unità nazionale, e lo stesso Togliatti, pensavano che la riconciliazione, il perdono reciproco, fosse l’unico modo di procedere verso una nazione ragionevolmente coesa e stabile. Ci si può dividere, ma per andare avanti insieme poi bisogna riconciliarsi. L’Italia è una repubblica basata sulla riconciliazione, e non credo che abbia un futuro se non riusciremo a invertire questa tendenza all’arroccamento sulle proprie posizioni e all’insulto pubblico di quelle degli altri. Speriamo di rendercene conto, prima che sia troppo tardi.

Image: Terrour with fright” from le Brun. Credit: Wellcome Collection. CC BY

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