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Crowdsorcery: come sto imparando a costruire comunità online

Sto lavorando alla costruzione di una nuova comunità online, che si chiamerà Edgeryrders. È un’attività ancora relativamente nuova, affidata a un sapere ancora non del tutto codificato. Non c’è un manuale di istruzioni che, eseguite, ti garantiscono i risultati: alcune cose funzionano ma non sempre, altre funzionano più o meno sempre ma non capiamo perché.

Non è la prima volta che faccio cose del genere, e sto scoprendo che anche in un campo così complesso e meravigliosamente imprevedibile si può imparare dall’esperienza, e come. Alcune delle iniziative di Edgeryders sono riadattamenti dell’esperienza Kublai: il crowdsourcing del logo, e il reclutamento del team a partire dalla neonata comunità, ad esempio. Per altre decisioni mi sono ispirato a progetti non miei, come Evoke o CriticalCity Upload; e molto mi hanno insegnato gli errori, sia miei che altrui.

È un’esperienza strana, esaltante e umiliante al tempo stesso. Sei il crowdsorcerer, l’esperto, colui che può evocare ordine e senso dal magma della rete. Tu ci provi: pronunci le formule, agiti la tua bacchetta magica e… qualcosa emerge. Oppure no. A volte tutto funziona benissimo, ed è difficile resistere alla tentazione di attribuirsene il merito; altre non funziona niente, e per quanto ci provi non riesci a trovare l’errore. E l’errore – come il merito, del resto – potrebbe non esserci: le dinamiche sociali non sono deterministiche, e i nostri migliori sforzi non sono sempre sufficienti a garantire il risultato.

Per come la vedo io, la competenza che sto cercando di sviluppare – chiamiamola crowdsorcery – richiede:

  1. pensare in probabilità (con varianza alta) anziché in modo deterministico. Un’azione efficace non è quella che, a colpo sicuro, mobilita dieci contributi di buon livello, ma quella che raggiunge mille sconosciuti, di cui novecento ti ignorano, novanta contribuiscono cose di bassissimo livello, nove ti danno cose di buon livello e uno ti scrive il contributo geniale, che ti rivolta il progetto come un guanto e influenza tutti gli altri novantanove (i novecento sono persi comunque). Il trucco è che nessuno sa chi sia quell’uno, neppure lui o lei, fino a che non cominci a sparare nel mucchio.
  2. monitorare e reagire anziché pianificare e controllare (adaptive stance). Costa meno e funziona meglio: se una comunità ha un tropismo naturale, ha più senso incoraggiarlo e cercare di capire come valorizzarlo che non reprimerlo. Il monitoraggio online è tendenzialmente gratis, anche quello “profondo” alla Dragon Trainer, quindi meglio non risparmiare sulle web analytics.
  3. costruirsi un arsenale teorico ridondante anziché appoggiarsi sulla linea del pragmatismo (“faccio così perché funziona”). La teoria pone domande interessanti, e trovo che cercare di leggere il proprio lavoro alla luce della teoria aiuti il crowdsorcerer a costruirsi attrezzi migliori. Io sto usando molto l’approccio complexity e la matematica delle reti. Per ora.

Economist pride (Italiano)

Inutile negarlo: noi economisti non siamo simpatici alla gente. La nostra disciplina è soprannominata “la scienza triste”; veniamo accusati, in modo più o meno velato, di complicità con i peggiori eccessi del capitalismo di rapina; alcuni dei più famosi e rispettati esponenti della professione si sono visti affibbiare dalla stampa soprannomi da supercriminale dei fumetti, come “Dottor Destino” (Nouriel Roubini) e “Il Cigno Nero” (Nassim Taleb). Non mi risulta che questo succeda ai linguisti o agli astronomi.

La scienza economica, proprio come la scienza in generale, ha i suoi scheletri nell’armadio: posizioni ideologiche a cui è stata data una copertura di pretesa oggettività; previsioni completamente sbagliate; prescrizioni di politica economica che hanno causato molta povertà e sofferenza. Ma altrettante sono state le vittorie intellettuali, le invenzioni straordinarie, i contributi di valore alla prosperità umana. A mio modo di vedere, questo dualismo è inevitabile, perché l’economia politica nasce da una costola della filosofia morale: Adam Smith, da molti considerato il fondatore della disciplina, scrisse una Teoria dei sentimenti morali a cui teneva almeno quanto alla più famosa Ricchezza delle nazioni. E la filosofia morale non è un pranzo di gala: è un campo in cui devi fare scelte terribili ad ogni passo. Libertà o eguaglianza? Meritocrazia o sicurezza? Come i Cavalieri Jedi di Guerre Stellari, i filosofi morali e i loro cugini economisti sono sempre esposti sia al lato luminoso che a quello oscuro della Forza.

Di recente mi è capitato di leggere Towards a General Theory of Consumerism: Reflecions on Keynes’s Economic Possibilities for Our Grandchildren (in questo libro) di Joseph Stiglitz e Governing the Commons di Elinor Ostrom. Stiglitz usa da maestro la teoria neoclassica per illuminare un problema su cui si riflette troppo poco, e cioè il perché, pur potendoselo permettere, le società moderne non scelgano di lavorare meno, rinunciando a un po’ di consumi in cambio di tempo libero. Tra le altre cose, Stiglitz mostra come semplicissime estensioni del modello standard conducano a ribaltarne le previsioni: per esempio, in un modello a due settori non è necessariamente vero che l’aumento del salario in un settore conduce a una riduzione dell’offerta complessiva di lavoro. In me questo suscita ammirazione per la potenza e la flessibilità del modello e un certo imbarazzo nel riscontrare quanto male venga utilizzato nella discussione comune.

Ostrom racconta gli sforzi di diverse comunità umane, dalla Svizzera alle Filippine, nel coordinarsi per gestire in modo sostenibile risorse comuni come tratti di mare pescoso, foreste o sistemi di irrigazione. Successi, fallimenti, episodi di auto-organizzazione e tentativi di riforma dall’esterno sono analizzati con rigore teorico, potenza esplicativa, radicalità, empatia.

Joseph, Elinor: grazie. Questa è l’economia del Lato Luminoso, quella che volevo studiare da ragazzo e che mi rende orgoglioso di essere, nel mio piccolo, un lontano parente dei grandi pensatori come voi. Se organizzate una parata per rivendicare l’orgoglio di essere economisti – un po’ sul modello del Gay Pride, che ha funzionato bene – contate su di me.

Dragon Trainer begins (Italiano)

Una bella notizia: un progetto di ricerca che ho contribuito a scrivere è stato approvato per un finanziamento nell’ambito del programma Future and Emerging Technologies della Commissione Europea. Il progetto è guidato da uno degli scienziati che ammiro di più, David Lane, e si inserisce fortemente nella tradizione di scienze della complessità associata al Santa Fe Institute. Intendiamo attaccare un problema molto grande e molto fondamentale: l’innovazione è fuori controllo. L’umanità inventa per risolvere problemi, ma finisce per crearne di nuovi: l’automobile migliora la mobilità, ma comporta riscaldamento globale e l’isolamento dello stile di vita suburbano; l’agroindustria hi-tech attenua la scarsità di cibo, ma partorisce l’epidemia dell’obesità. Dice uno dei nostri documenti di lavoro:

While newly invented artifacts are designed, innovation as a process is emergent. It happens in the context of ongoing interaction between agents that attribute new meanings to existing things and highlight new needs to be satisfied by new things. This process displays a positive feedback […] and is clearly not controlled by any one agent or restricted set of agents. As a consequence, the history of innovation is ripe with stories of completely unexpected turns. Some of these turns are toxic for humanity: phenomena like global warming or the obesity epidemics can be directly traced back to innovative activities. We try to address these phenomena by innovation, but we can’t control for more unintended consequences, perhaps even more lethal, stemming from this new innovation.

Noi vogliamo (1) costruire una teoria solida che colleghi progettazione e emergenza nell’innovazione e (2) usarla per costruire strumenti che la società civile possa usare per prevenire le conseguenze negative del progresso tecnico. Una cosa da niente! E infatti la valutazione del progetto è stellare: 4,5 su 5 per l’eccellenza tecnica e scientifica, e 5 su 5 per l’impatto sociale.

Il progetto contiene la realizzazione di Dragon Trainer, un software che dovrebbe aiutare i responsabili di comunità online ad “ammaestrarle” come si ammaestrerebbe un animale molto grande e forte (un drago, appunto), che non si può costringere con la forza ma solo influenzare. Il responsabile della creazione di Dragon Trainer sono io, ed è una bella responsabilità.

Sono molto contento, ma anche preoccupato. Ci sono fondi pubblici di ricerca, e quindi è ancora più importante produrre il miglior risultato che siamo in grado di portare a casa. Dovrò studiare come un dannato. Sto pensando seriamente di dedicarmi alla ricerca a tempo pieno per un paio d’anni a partire dal 2012. Che ne dite, faccio bene?