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Pensa coi cinghiali: spazi nuovi per musica nuova

A parte le emozioni personali, l’esperienza di Balla Coi Cinghiali mi è piaciuta molto. Come Radicazioni (ma in modo forse più evoluto e consapevole) mi sembra uno spazio per la musica di tipo nuovo, che ha alcune caratteristiche del tipico festival di fascia bassa italiano (pubblico molto giovane e simpaticamente fricchettone, ingresso libero, grandi folle) e altre dei festival di livello alto americani e canadesi (campeggio sul sito del festival, attenzione agli spazi di relax e all’intrattenimento tutto il giorno e non solo la sera, con un wake-up stage, stage di danza pomeridiani, l’half-pipe per gli skateboard etc., attenzione per l’ambiente e la buona cucina). Entrambi questi festival – e immagino altri, che non conosco – sono in forte crescita, e stanno allevandosi il “loro” pubblico.

Questa, finalmente, mi sembra una buona notizia per la musica.Con i Modena City Ramblers ho partecipato a due ondate di nuova musica, quella delle posse e quella del “nuovo rock italiano”. In entrambi i casi il punto non era che nuovi artisti cercavano di farsi largo su spazi esistenti: per esempio, non siamo andati a Sanremo per giocarcela con, per dire, Enrico Ruggeri. Il punto era che un’alleanza di musicisti e organizzatori culturali che condividevano età e riferimenti culturali (e ideali) hanno creato spazi nuovi: i centri sociali per le posse, la rete dei live club per il nuovo rock italiano.

Perché questa strategia riesca ci vogliono sia artisti che organizzatori, e la vera risorsa scarsa sono i secondi. Forse la via di uscita dall’impasse attuale della musica italiana passa dai sentieri aperti dai cinghiali.

Creatività l’è morta

A proposito di fine della musica. Antonio Incorvaia – Dio ce lo conservi – si è preso la briga di censire oltre 200 remake musicali usciti neilla prima metà del 2009. Sembra veramente un film di zombie: Take on me 2009 (due versioni), Like a prayer 2009, Losing my religion 2009 (due versioni), Tarzan Boy 2009, Footloose 2009, You spin me round 2009, American Pie 2009, What is love 2009 (due versioni) e via rifacendo. il tutto, ovviamente, “senza contare gli album di cover di Luca carboni, Morgan e compagnia bella”.

A questo punto ci sta bene il banner, anche questo segnalato da Antonio. Tiè.

Banner hackmeeting

La fine della musica

Photo: thornj

Photo: thornj

Una mia amica italiana, cantautrice, è andata a Vinilmania a presentare il suo disco, che è bello e sentitissimo (due anni di lavoro, in quasi totale autofinanziamento). Era una domenica mattina. A Milano c’era il giro d’Italia, per cui i mezzi pubblici erano bloccati e ha dovuto spendere 30 euro di taxi per arrivare sul posto. Naturalmente non c’era quasi nessuno ad ascoltare lo showcase, giusto le persone che gestivano gli stand lì intorno. A condurre l’incontro c’era un giornalista, che peraltro è un suo amico e avrebbe potuto chiederle le stesse cose anche al telefono, o davanti a una birra. Ha venduto un CD, e ne ha dovuti regalare tre.

Un’altra mia amica cantautrice è danese, e vive quindi in un paese per certi versi musicalmente più avanzato del nostro, ma la sua situazione non è molto diversa. Anche lei è molto talentuosa, anche lei ha pubblicato un disco bello e sofferto, anche lei stenta moltissimo a trovare spazi, e si sente molto giù. Sembra che tutta questa passione, tutto questo talento, non interessino più a nessuno.

Ormai di questi aneddoti ne ho tanti, troppi. Faccio sempre più fatica a ritrovarmi nell’ambiente musicale, nel quale mi sono mosso per tanti anni. Sono sempre meno le cose che mi piacciono. Non sopporto più i discorsi sulla saturazione delle chitarre, i richiami agli anni sessanta-settanta-ottanta-novanta, le “e” aperte alla romana di chi canta “tèmpo” e “vènto” anche se è di Brescia, il piagnisteo. La stessa gente che fa dischi si rifiuta di comprarli, e scarica tutto da BitTorrent. Tutti suonano, ma nessuno ascolta. E dunque nessuno cresce, e continuiamo allegramente a imitare gruppi sciolti – i Beatles, i Pixies, i Nirvana, in un’orgia commemorativa e necrofila.

Forse sono io che sto diventando vecchio, ci sta. O forse la creatività si è spostata. Quando ero ragazzo, un giovane vispo con ambizioni creative faceva una band: era una risposta naturale, un linguaggio comune, un modo per avere attenzione “nel mondo dei grandi”. I musicisti erano cool, creavano tendenze. I ragazzi e le ragazze più interessanti, oggi, fanno aziende internet, o tecnologie per il risparmio energetico. Marco, che a 14 anni ha creato la più grande scuola online d’Italia, o il gruppo di CriticalCity sono più creativi di qualunque musicista con il jeans a vita bassa e la Rickenbacker. E ti credo: che spazio può trovare uno così in un’arena gerontofila come quella musicale, in cui pochissime grandi star hanno meno di 55-60 anni?

Ogni tanto mi riguardo la lista dei progetti creativi di Kublai. La nozione di creatività usata è volutamente aperta: in questo modo lasciamo alla community creativa stessa la definizione dei propri confini. Quello che emerge è che la creatività non coincide affatto con le arti. Molto più calde sono la tecnologia, il sociale, l’e-government, l’ambiente… quanto alla musica vi gioca un ruolo abbastanza marginale.

Conclusione con consiglio non richiesto: non suonate, non fate band, girate al largo dalla musica e dal suo ambiente. E’ un mondo da Notte dei morti viventi, con il morto che afferra il vivo e ne divora la linfa. Se avete altri talenti cercate campi in cui ci sia più spazio. E se, come me, avete la sfortuna che vi piace la musica, e non riuscite a sostituirla con nient’altro, scomparite nelle cantine a suonare, ad ascoltare, a cercare un po’ di verità. Forse, se avrete abbastanza pazienza e amore, un giorno i tempi cambieranno di nuovo.

[Grazie a Francesco]