Category Archives: musiconomics

La fine della musica

Photo: thornj

Photo: thornj

Una mia amica italiana, cantautrice, è andata a Vinilmania a presentare il suo disco, che è bello e sentitissimo (due anni di lavoro, in quasi totale autofinanziamento). Era una domenica mattina. A Milano c’era il giro d’Italia, per cui i mezzi pubblici erano bloccati e ha dovuto spendere 30 euro di taxi per arrivare sul posto. Naturalmente non c’era quasi nessuno ad ascoltare lo showcase, giusto le persone che gestivano gli stand lì intorno. A condurre l’incontro c’era un giornalista, che peraltro è un suo amico e avrebbe potuto chiederle le stesse cose anche al telefono, o davanti a una birra. Ha venduto un CD, e ne ha dovuti regalare tre.

Un’altra mia amica cantautrice è danese, e vive quindi in un paese per certi versi musicalmente più avanzato del nostro, ma la sua situazione non è molto diversa. Anche lei è molto talentuosa, anche lei ha pubblicato un disco bello e sofferto, anche lei stenta moltissimo a trovare spazi, e si sente molto giù. Sembra che tutta questa passione, tutto questo talento, non interessino più a nessuno.

Ormai di questi aneddoti ne ho tanti, troppi. Faccio sempre più fatica a ritrovarmi nell’ambiente musicale, nel quale mi sono mosso per tanti anni. Sono sempre meno le cose che mi piacciono. Non sopporto più i discorsi sulla saturazione delle chitarre, i richiami agli anni sessanta-settanta-ottanta-novanta, le “e” aperte alla romana di chi canta “tèmpo” e “vènto” anche se è di Brescia, il piagnisteo. La stessa gente che fa dischi si rifiuta di comprarli, e scarica tutto da BitTorrent. Tutti suonano, ma nessuno ascolta. E dunque nessuno cresce, e continuiamo allegramente a imitare gruppi sciolti – i Beatles, i Pixies, i Nirvana, in un’orgia commemorativa e necrofila.

Forse sono io che sto diventando vecchio, ci sta. O forse la creatività si è spostata. Quando ero ragazzo, un giovane vispo con ambizioni creative faceva una band: era una risposta naturale, un linguaggio comune, un modo per avere attenzione “nel mondo dei grandi”. I musicisti erano cool, creavano tendenze. I ragazzi e le ragazze più interessanti, oggi, fanno aziende internet, o tecnologie per il risparmio energetico. Marco, che a 14 anni ha creato la più grande scuola online d’Italia, o il gruppo di CriticalCity sono più creativi di qualunque musicista con il jeans a vita bassa e la Rickenbacker. E ti credo: che spazio può trovare uno così in un’arena gerontofila come quella musicale, in cui pochissime grandi star hanno meno di 55-60 anni?

Ogni tanto mi riguardo la lista dei progetti creativi di Kublai. La nozione di creatività usata è volutamente aperta: in questo modo lasciamo alla community creativa stessa la definizione dei propri confini. Quello che emerge è che la creatività non coincide affatto con le arti. Molto più calde sono la tecnologia, il sociale, l’e-government, l’ambiente… quanto alla musica vi gioca un ruolo abbastanza marginale.

Conclusione con consiglio non richiesto: non suonate, non fate band, girate al largo dalla musica e dal suo ambiente. E’ un mondo da Notte dei morti viventi, con il morto che afferra il vivo e ne divora la linfa. Se avete altri talenti cercate campi in cui ci sia più spazio. E se, come me, avete la sfortuna che vi piace la musica, e non riuscite a sostituirla con nient’altro, scomparite nelle cantine a suonare, ad ascoltare, a cercare un po’ di verità. Forse, se avrete abbastanza pazienza e amore, un giorno i tempi cambieranno di nuovo.

[Grazie a Francesco]

IFPI dalla discussione alla propaganda

Il presidente FIMI, Enzo Mazza (profilo Linkedin), è un uomo intelligente e aperto. Abbiamo posizioni radicalmente diverse sul tema centrale del copyright, ma ci stimiamo, o perlomeno io stimo lui e lui mi tratta come se mi stimasse. Con la solita gentilezza, mi ha spedito la versione italiana del rapporto IFPI 2009 sulla musica digitale.

Si capiscono tre cose:

1. Le cose vanno male, molto male per l’industria discografica italiana. Il fatturato complessivo 2008 (178 milioni di euro) è calato del 21% rispetto al 2007. Il calo dura da otto anni, e ha riportato il fatturato (nominale, immagino, il che significa che quello aggiustato per l’inflazione sarebbe ancora più basso) al valore del 1989. Anche la crescita del fatturato sul digitale si è quasi fermata, appena il 4% nel 2008. In più ci sono le solite debolezze del sistema paese (ritardi nella diffusione della banda larga, dell’e-commerce etc. etc.)

2. IFPI (e per estensione FIMI, che ne è il pezzo italiano) non fa neppure più finta di partecipare alla discussione sulla società digitale da costruire, e si dà definitivamente a quella che una volta si chiamava propaganda. Il rapporto è sostanzialmente un pamphlet. Non c’è il minimo tentativo di discutere posizioni alternative, neanche per criticarle. Nokia Comes With Music viene citato 10 volte – le ho contate –  come modello di business emergente per la musica digitale, ma non si parla mai dell’esperienza Nine Inch Nails (ne ho parlato qui). Questa è davvero una mancanza macroscopica: ci si potrebbe aspettare che il rapporto sulla musica digitale guardasse con qualche interesse  all’album più venduto nel 2008 in download su Amazon, primo nella classifica di Billboard nella categoria “musica elettronica”. Allo stesso modo, la posizione degli autori letterari viene rappresentata dalla sola Tracy Chevalier (pro copyright) senza citare, chessò, Cory Doctorow (usa Creative Commons e fa un sacco di soldi)

3. In 32 pagine  (comprese copertina, indice, retrocopertina e pagine di foto) usano 38 volte la parola “pirateria”; 36 volte la parola “governo”, “governi” o “governativo”; 27 volte la parola “diritto” o “diritti”; 17 volte la parola “legge”; 16 volte la parola “copyright”, ecc. Techcrunch probabilmente ha ragione: la legge è tutto ciò che rimane alle etichette.

Diritto d’autore: Techcrunch contro le majors

Fa abbastanza impressione leggere su Techcrunch che

nessuno che sia minimamente lucido potrebbe sostenere che scaricare musica su internet sia “sbagliato” a questo punto

Fa impressione sia per il tono perentorio che perché a sostenerlo è, appunto, Techcrunch, cioè il blog che si occupa di internet con un taglio business. Una citazione di Michael Arrington è in genere un fortissimo segnale di qualità per le startup, e i venture capitalists si muovono molto volentieri – a suon di milioni di dollari – sulle aziende che incontrano la sua approvazione. Naturalmente Arrington sa che, invece, ci sono diverse persone molto lucide che sostengono proprio questo. Queste persone, a suo dire, mentono, e lo fanno perché

la legge, e in particolare la disponibilità del governo americano a perpetuare l’assurdità della legislazione sul copyright applicata alla musica registrata, è tutto ciò che rimane alle etichette

E’ chiaro che la legislazione attuale sul copyright inibisce diversi modelli di business potenzialmente interessanti per le imprese hi-tech della Silicon Valley, di cui Techcrunch è una voce importante.  Hmm. Sbaglio o queste imprese hanno generosamente finanziato la campagna vittoriosa del presidente Obama, il primo presidente 2.0? Non sarà che adesso queste imprese stanno presentando il conto al loro uomo a Washington?

(traduzioni mie)