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Un tranquillo martedì wikicratico

Martedì 15 febbraio, qui a Milano, parteciperò a due eventi interessanti dal punto di vista della wikicrazia, cioè della riprogettazione partecipata del mondo in cui viviamo.

La giornata (a partire dalle 9.30) è dedicata al convegno sul design dei servizi organizzato dall’Associazione per il Design Industriale e dal Politecnico di Milano (programma e invito qui). Sono anche relatore: gli organizzatori considerano Kublai un servizio ben progettato, e in questo senso io e il mio team ne saremmo i designer. Siamo anche metadesigner, perché un’altra relazione racconterà CriticalCity Upload, incubato proprio dentro a Kublai.

La serata è dedicata a un esperimento molto intrigante. Pietro Speroni, matematico e supergeek, ha inventato un modo per trovare risposte condivise a domande aperte, basato su quelli che lui chiama “algoritmi genetici umani”, e ne farà un collaudo insieme agli intervenuti. L’idea è questa: c’è una domanda. Chiunque può dare una risposta. Tutti votiamo le risposte (“Sì” o “No”). Un software esamina la votazione e ne trova il cosiddetto fronte di Pareto, cioè l’insieme delle risposte non dominate: significa che una risposta che ha avuto il voto di Anna e Beatrice verrà scartata se ce n’è almeno un’altra che è stata votata da Anna, Beatrice e Carlo. Si dice che la seconda risposta “domina” la prima, perché ha tutti i votanti della prima più almeno uno. Fatto questo, si chiede ai partecipanti di riscrivere, usando – se lo vogliono – i pezzi delle risposte selezionate nel primo round. Questo dà luogo a una seconda generazione di risposte, che usano il “materiale genetico” già selezionato, su cui di nuovo tutti votano e il software cerca il fronte di Pareto, e si itera fino a che non evolve una sola risposta dominante. Il software, naturalmente, si chiama Vilfredo.

Gli esperimenti di Pietro e del suo gruppo finora hanno mostrato che l’algoritmo genetico umano converge. In un certo senso converge troppo in fretta: Vilfredo arriva a un’unica risposta dominante in dieci generazioni o meno, mentre gli algoritmi genetici in senso stretto convergono in diecimila generazioni. E ti credo: l’evoluzione deve provare tutte le mutazioni alla cieca, e lasciare che i vicoli ciechi genetici portino all’estinzione, mentre la discussione tra umani scarta a priori un gran numero di alternative. Se la domanda è “cosa facciamo stasera?”, per esempio, le risposte tipo “dichiariamo guerra al Guatemala” o “andiamo tutti a fare il bagno nel piombo fuso all’Italisider” non hanno bisogno di essere discusse e poi scartate, ma proprio non compaiono mai. Questo dovrebbe insegnarci che i modelli di emergenza nel mondo fisico (i cui agenti sono stupidi, come i neuroni o le formiche) sono molto diversi da quelli del mondo sociale (i cui agenti sono persone, e quindi intelligenti). Alle 20.00 a Musicopoli, Via Boifava 29/A (evento Facebook qui). Potete dire tutto, ma non che non viviamo in tempi interessanti.Pietro and his group have been experimenting, and so far the human genetic algorhythm always converges. In a way it converges too fast: Vilfredo gets to an unique dominant answer in ten generations or less, whereas non-human genetic algorhythms need more like ten thousands generations to converge. Makes sense: evolution has to blindly try every conceivable mutant and let genetic cul-de-sacs go extinct, whereas human discussion can discard a priori a lot of unpromising alternatives. If the question is “what shall we do tonight?”, answers like “let’s declare war to Guatemala or “let’s all go bathe in molten lead” don’t need to be discussed and discarded: they just never come up. This should teach us that emergence in the natural world (where agents are dumb, like neurons or ants) is very different from emergence in the social world (where agents are smart, like people or companies). At 8 p.m. at Via Boifava 29/A (Facebook event). You can say anything, but not that we don’t live in interesting times.

Economista, ma concreto: Visioni Urbane consegna il prodotto (con contorno di Wikicrazia)

Gli economisti hanno fama di tendere al ragionamento astratto più che alla concretezza dell’azione. C’è un po’ di verità in questo luogo comune, tanto che nei dipartimenti di economia fiorisce il sottogenere delle barzellette sugli economisti. Questa, per esempio:

Un economista, dopo un naufragio, si ritrova su un’isola deserta. Si guarda intorno e vede una cassa di legno depositata sulla spiaggia dalla marea. La apre: è piena di scatolette di cibo, nutriente e a lunghissima conservazione! Purtroppo non ha nessuno strumento per aprirle: è forse condannato a morire di fame seduto di fronte a tutto quel cibo? L’economista non si perde d’animo e affronta il problema così: “Ipotizziamo di avere un apriscatole…”

Molti di noi soffrono per la mancanza di concretezza associata talvolta alla nostra professione. Per questo sono così contento di andare a Potenza venerdì 4: perché tre anni e mezzo fa il Ministero dello sviluppo economico mi ha chiesto di assistere la Regione Basilicata nell’elaborazione di una politica di spazi laboratorio per la creatività. Io ho insistito per prendere la strada, lunga e accidentata, del coinvolgimento dei creativi lucani; e oggi, finalmente, il primo spazio (si chiama Cecilia) è pronto, e gli altri quattro sono in consegna. Non solo gli spazi sono stati coprogettati insieme ai creativi di quel territorio; non solo sono sorretti da un’analisi dettagliata di quali imprese e associazioni creative, su quei territori, intendono fare con quegli spazi; ma sono integrati con un bando-tipo per l’assegnazione della gestione, concordato con i Comuni competenti, e con un modello di governance regionale delle politiche culturali.

Il progetto si chiama Visioni Urbane. Ne ho parlato spesso in questo blog. Mi dicono che ultimamente è diventato una specie di bandiera dell’amministrazione regionale; tanto che le associazioni chiedono ora lo stesso tipo di coinvolgimento in altre politiche, come l’istituzione della Film Commission, e la stessa amministrazione, forte del buon rapporto di collaborazione con i creativi, si è impegnata per lanciare la candidatura di Matera come capitale europea della cultura 2019. Non è un caso che la coordinatrice del progetto di candidatura sia Rossella Tarantino, il referente di VU, e che anche il direttore scientifico, Paolo Verri, sia stato “pescato” dalle personalità che hanno collaborato con VU.

Di Visioni Urbane parlo molto nel mio libro Wikicrazia, e l’inaugurazione di Cecilia conterrà, tra le altre cose, una presentazione del libro. Ma quello è il meno: pregusto l’emozione di toccare con mano una policy che ho contribuito a progettare, e che è diventata molto concreta, tanto che mi ci posso sedere dentro per ascoltare un concerto. Per un economista è una soddisfazione relativamente rara.

Accountability da accesso: i funzionari pubblici vanno su Facebook

Racconta il notevole PSD Blog della Banca Mondiale che un anonimo alto funzionario del governo del distretto di Kanpur, nell’India settentrionale, ha ordinato ai suoi collaboratori più alti in grado di creare “quanto prima” i loro profili personali su Facebook, e di associarlo alla pagina creata per l’amministrazione distrettuale stessa.

L’idea è che i funzionari, risultando più accessibili ai cittadini, ne sentano il fiato sul collo, e quindi siano spinti a uno sforzo per rispondere rapidamente a eventuali sollecitazioni, critiche o lodi. Rispondere, naturalmente, usando la pagina Facebook dell’amministrazione distrettuale. “Ai cittadini questo piacerà, perché saranno in grado di tracciare i loro suggerimenti e i loro reclami.”

L’intuizione mi piace molto: è in linea con quello che scrivo in Wikicrazia, in particolare nei capitoli sulla “trasparenza” e sul “parlare con voce umana”. Nella decisione in quanto tale rimangono alcuni problemi, e uno è che il mio profilo Facebook è mio, non del mio datore di lavoro, anche se questo è una pubblica amministrazione. Forse si potrebbe risolvere questo problema creando accounts multipli, o usando piattaforme in cui gli utenti hanno pieno controllo su cosa condividono con chi, come Diaspora.

La cosa che mi incuriosisce di più, però, è che l’iniziativa del distretto di Kanpur ribadisce che più trasparenza c’è e meglio è per tutti. Che poi è la cosa che pensavo fosse condivisa da tutti fino a che non è scoppiato l’affaire Wikileaks, e molti commentatori (anche autorevoli, come Shirky) hanno dichiarato – ma, a mio avviso, non dimostrato – che i governi hanno bisogno di segretezza per default per funzionare. Chi ha ragione? A occhio il distretto di Kanpur mi sembra più sintonizzato con i tempi: noi umani abbiamo dovuto ripensare la privacy al tempo della rete, sembra logico che anche i governi si trovino a ripensare la loro riservatezza – anche perché francamente non vedo molte alternative. I fenomeni alla Wikileaks non spariranno tanto presto.

Nota: non ho trovato la pagina Facebook in questione – ma sono in Cina, e l’accesso a Internet è un po’ problematico, per cui cerco di risparmiarmi ricerche dettagliate in rete. Se qualche lettore la trovasse e me la segnalasse mi farebbe una cortesia.