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Open government Xtreme: le politiche pubbliche in mezzo a noi

Photo by Bridget McKenzie
Il Consiglio d’Europa ha un progetto chiamato Edgeryders (info). Mentre si avvicina alla chiusura, sembra avere catturato un’intuizione sul futuro: non avevo mai visto un progetto lanciato da un’istituzione pubblica e così tecnico nei contenuti (scrivere raccomandazioni per una riforma delle politiche giovanili europee: non è esattamente rock’n’roll) produrre tanta partecipazione civica, tanto senso di ownership.

Nel corso del progetto abbiamo organizzato una conferenza chiamata Living On The Edge (#LOTE per gli iniziati), che ha avuto luogo a Strasburgo a giugno 2012. Con mia grande sorpresa, circa un mese fa la comunità di Edgeryders si è autoconvocata a Bruxelles per una #LOTE2 (info), che avverrà dal 6 al 9 dicembre. Ecco cosa sta succedendo:

  • le persone pagano di tasca loro per partecipare. Siccome gli edgeryders tendono ad essere giovani e a non avere molti soldi, stanno provando a trovare modi per aiutarsi a vicenda. Quelli che abitano a Bruxelles aprono le loro case per ospitare #LOTErs da fuori.
  • il Parlamento Europeo ha offerto gratuitamente una sede per il venerdì 7. Il credito va alla 25enne Amelia Andersdottir, parlamentare del Partito Pirata svedese, e ai suoi assistenti.
  • un’artista di Bruxelles ha offerto di affittare a prezzo politico un grande studio per le altre giornate – gli edgeryders più poveri possono anche accamparsi.
  • una edgeryder francese particolarmente intraprendente ha preso il telefono e chiamato AirB’n’B. Risultato: uno sconto di 25 euro ai #LOTErs che staranno presso AirB’n’B nei giorni della conferenza. Intrigata dal progetto, AirB’n’B ha deciso di partecipare all’evento con due esperti di community building.
  • tutta l’organizzazione è basata sul lavoro volontario di membri della comunità. Il risultato è uno straordinario arcobaleno di giovani europei generosi e capaci. Asta (islandese) si è incaricata della logistica. Noemi (romena) e Andrei (moldavo) tengono aggiornato il sito e si assicurano che non ci siano vuoti di informazione. Giovanni (italiano) si occupa di ufficio stampa. Matthias (tedesco), Michal, Petros, Mike (polacchi) e Eimhin (irlandese) stanno scrivendo le specifiche per riprogettare il sito di Edgeryders basato sulle richieste della comunità.
  • le istituzioni cominciano ad accorgersi che sta succedendo qualcosa. Ogni giorno riceviamo offerte e suggerimenti, anche da dirigenti senior.
  • nel frattempo Elena – una 23enne russa che vive in Svezia – ha tratto ispirazione dal progetto per lanciare Edgeryders Sweden, che riutilizza il nome, l’estetica, il materiale visivo e i valori di Egderyders (non c’è problema – è tutto in licenza Creative Commons). Elena non ha partecipato a Edgeryders, l’ha scoperto di recente attraverso una conoscente.

Tutto questo è un assaggio di quello che potrebbe succedere se cercassimo davvero il coinvolgimento dei cittadini nelle politiche pubbliche. Al centro, il Consiglio d’Europa regge il suo ruolo. Ma la sua parte in #LOTE2 è diventata una strana creatura: da una parte tutti ne riconoscono la leadership in Edgeryders, il progetto che ha ispirato queste attività. Dall’altra, però, non ha molta scelta se non accodarsi. La comunità ha messo insieme un evento a budget praticamente zero: paradossalmente, se il Consiglio d’Europa volesse dissociarsene, i #LOTErs probabilmente si stringerebbero nelle spalle e farebbero l’evento ugualmente. E perché no? “Dovremmo pensare al governo come a una piattaforma”, dicono le persone che si occupano di open government. E le piattaforme non prendono decisioni operative: abilitano le persone a fare qualunque cosa essi ritengano utile a costruire il bene comune.

Questo potrebbe essere il futuro dell’azione di governo: costruire piattaforme per l’azione collettiva, poi fare un passo indietro e accettare che rappresentanti eletti e funzionari pubblici facciano da secondo violino ai cittadini semplici nella maggior parte delle situazioni. D’altra parte, potrebbe anche essere solo un momento dorato, l’ultimo bagliore dell’autunno: è così che ci sembrerà, in retrospettiva, se le istituzioni europee non vedranno il potenziale di tutta questa voglia di collaborare, o se semplicemente non riusciranno a cedere abbastanza controllo perché i cittadini prendano in mano parte delle politiche pubbliche. In quel caso, il sistema ritornerà alla sua modalità di default – decisioni prese dall’alto e attuate in modo amministrativo-burocratico – senza che ci sia nemmeno bisogno di prendere una decisione. Questa modalità non funziona: chiedete ai cittadini europei, ormai prossimi all’insofferenza, cosa pensano dell’efficacia delle loro istituzioni comuni. Ma è molto, molto più rassicurante.

Debugging democracy: riprogettare la partecipazione con la network analysis

Qualche settimana fa ho presentato al TEDx Bologna. Ne ho approfittato per provare a mettere insieme i pezzi del mio percorso degli ultimi cinque-sei anni per vedere se ne usciva qualcosa di coerente.

Quello che è uscito è il video qui sopra. Detto in pillole: l’intelligenza collettiva è l’arma migliore che abbiamo per affrontare i molti e gravi problemi che minacciano la nostra specie, e che trascendono la scala individuale. Riscaldamento globale, finanza fuori controllo, disuguaglianze in aumento; non possiamo toccare questi fenomeni, perché non esistono alla stessa scala a cui esistiamo noi, ma a una superiore – un po’ come i neuroni non possono capire, né tantomeno governare, il cervello. Purtroppo la democrazia rappresentativa è congegnata in un modo che non consente l’emergere di soluzioni collettive all’interno delle istituzioni democratiche (nel senso in cui Wikipedia è una soluzione collettiva al problema di scrivere e tenere aggiornata un’enciclopedia). La democrazia partecipativa in teoria potrebbe portare a queste soluzioni, ma non scala. Per farla scalare possiamo usare Internet. Prima progettiamo ambienti di interazione online per sviluppare soluzioni collettive; poi misuriamo le dinamiche sociali che questi ambienti ospitano e favoriscono, come barriere coralline colonizzate da molte specie. Ho scritto misurare, perché, grazie all’analisi di rete, le dinamiche di interazione sociale si possono misurare, anche per comunità piuttosto grandi.

Forse, usando queste tecniche, potremo finalmente realizzare il sogno di una democrazia partecipativa che funziona su scala grande. Dopo venticinque secoli! Sicuramente vale la pena di provarci.A few weeks ago I presented at TEDx Bologna. I used the opportunity to try and stitch together the pieces of my intellectual journey of the past five-six years, and see if they form some coherent pattern.

The result was the video above. In a nutshell: collective intelligence is the most promising weapon we have to face the many dire problems threatening our species, and that transcend the individual scale. Climate change, feral finance, mounting inequalities; we can’t touch these (and others), because they don’t exist at the same scale as us – they emerge from the interaction of billions of us. To address these problems, it seems intuitive that we should deploy an equally emergent, same-level collective intelligence. Unfortunately, representative democracy is concocted in such a way that does not allow the emergence of solutions (in the sense that Wikipedia is an emergent solution to the problem of writing an encyclopedia) within democratic institutions. Participatory democracy could, in theory, lead to such a result, but it does not scale. To make it scale we can use the Internet. First, we design online interaction environments from which we think collective solutions might emerge; then we measure the social dynamics the these environments host and foster, as if they were coral reefs colonized by many species. I wrote “measure” because, thanks to network analysis, social interaction dynamics have become measurable, even for large communities.

Maybe, using these techniques, we’ll finally be able to make the dream of a working, large-scale participatory democracy come true. We have held on to it for twenty-five centuries! It’s certainly worth trying.

La singolarità nella credibilità delle istituzioni

Ho a cuore la democrazia, e sogno di farla funzionare. Per anni, in contesti diversi, ho tessuto narrative di collaborazione tra cittadini e istituzioni per il bene comune. Queste narrative sono state l’infrastruttura ideologica per il lavoro comune di creativi, innovatori e funzionari pubblici, sfruttando i benefici della diversità reciproca e scoprendo che si possono fare cose insieme.

Questo, però, sta diventando sempre più difficile. Problemi di portata globale incalzano l’umanità (cambiamento climatico, finanza ferale, disuguaglianze montanti, c’è solo l’imbarazzo della scelta); una cittadinanza connessa a livello globale, infiammata dall’ideologia Steve Jobs-Obama del cambiamento come desiderabile, possibile e morale ha alzato il suo livello di aspettative. Le istituzioni, anche se probabilmente non sono più lente rispetto a vent’anni fa, non sono riuscite a tenersi al passo con questa accelerazione. Il risultato è una specie di singolarità (negativa) della loro credibilità: si sente che i cittadini diventano ogni giorno più impazienti. E non senza ragione: fuori dai palazzi del potere è molto difficile giustificare, per esempio, la mancanza di azioni profonde sul cambiamento climatico. Cosa potrebbe rispondere un’agenzia governativa alla richiesta di agire immediatamente di Anjali Appadurai nel video qui sopra? “Dateci dieci anni!” E lei risponde: “Ne avete già sprecati venti.” “Non dobbiamo essere troppo radicali.” E lei risponde: “Pensare a lungo termine non vuol dire essere radicali.” C’è poco da dire: ha ragione.

Il punto di singolarità è il luogo in cui i cittadini decidono che le istituzioni democratiche non stanno facendo il loro lavoro, e si sganciano da esse, anche psicologicamente, per cercare di fare da soli. Non credo che sarà un buon giorno. Continuo a pensare che le istituzioni di governo democratiche siano la carta migliore che abbiamo per coordinare una risposta globale a minacce globali. Ma perché questo succeda, molto pensiero radicale dovrà mettere radici a Bruxelles (e a Roma, a Madrid, a Washington D.C… ). E in fretta, prima che sia troppo tardi per ricostruire la credibilità delle istituzioni.

(Thanks: Vinay Gupta and Jay Springett)