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Semi che germogliano: la lunga marcia di Visioni Urbane

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Era il 2007 quando ho iniziato a lavorare a Visioni Urbane, un progetto della Regione Basilicata che si proponeva di realizzare alcuni spazi per la cultura. Nel gruppo di lavoro rappresentavo il Ministero dello sviluppo economico; il mio compito era di spingere il progetto nella direzione di investire molto sulle competenze creative e imprenditoriali invece che nella costruzione di edifici.

I risultati di Visioni Urbane hanno superato le migliori previsioni. Il progetto – almeno per ora – ha avuto successo: la scena creativa lucana, in precedenza divisa da una cultura di sospetto reciproco, ha collaborato con generosità e competenza con la Regione per progettare una rete di nuovi centri per la cultura. Quattro di questi sono stati anche realizzati, non costruendo nuovi edifici ma recuperando edifici pubblici esistenti ma in decadenza e non utilizzati (in questo modo, circa 3 milioni di euro di nuovi investimenti in mattoni hanno messo a valore 10 milioni di euro di investimenti pubblici già effettuati), mentre un quinto, a causa di problemi strutturali insanabili, ha dovuto essere demolito ed è attualmente in corso di ricostruzione. La gestione di tutti e quattro i centri completati è stata messa a bando; in tre casi è già stata assegnata, mentre il quarto bando scade a gennaio. Due dei tre bandi già assegnati sono stati vinti da consorzi di associazioni e piccole imprese della comunità di creativi raccolta intorno al progetto.

Questi sono già ottimi risultati. Ma ancora più notevole è il fallout di Visioni Urbane: il piccolo gruppo di funzionari che lo ha condotto, e che risponde direttamente al Presidente della Regione, ha esteso l’approccio del progetto ad altre policies, parzialmente integrate con VU stesso. A quanto ne so io:

  • la rete di coordinamento tra i centri immaginata per Visioni Urbane si è evoluta in una fondazione di comunità, partecipata dalle associazioni e le imprese della comunità creativa, da diversi enti locali e dalla Fondazione per il Sud (che funziona da acceleratore, perché raddoppia la dotazione finanziaria raccolta dagli altri soci). La comunità appoggia energicamente questa operazione.
  • la linea di apertura a collaborazioni nazionali e internazionali di VU ha attecchito; i bandi per lo startup dei centri saranno aperti anche a soggetti esterni al territorio.
  • il gruppo di VU è stato protagonista nel lanciare la candidatura di Matera a capitale europea della cultura nel 2019. La responsabile del progetto e il direttore vengono entrambi dall’esperienza di Visioni Urbane.
  • la Basilicata ha costituito una film commission negli ultimi mesi del 2011. La comunità creativa ha chiesto più volte che il metodo molto partecipato di Visioni Urbane venisse applicato anche in quel caso. Non sono sicuro, però, che questo sia effettivamente accaduto.

Visioni Urbane è stato un progetto generativo. Nei primi tempi è stato necessario fare un investimento iniziale di attenzione, tempo e libertà. Attenzione ai dettagli, per imparare a fare fruttare al massimo ogni occasione e ogni euro di denaro pubblico; e tempo e libertà di azione per crescere, esplorare le alternative a disposizione, rimettere in discussione il proprio modo di pensare la policy (ne ho parlato nel mio libro). Questo ha ridotto, inizialmente, l’efficienza amministrativa misurata in velocità di spesa (ci abbiamo messo diversi anni a spendere quattro milioni di euro), ma ha lasciato all’amministrazione nuovi strumenti per analizzare e per fare. In tempi di crisi e di risorse calanti, è un pensiero che mi dà speranza.

Avanti i pensatori radicali!

“Sei un radicale!” Quando ero un adolescente scontroso e polemico, mio padre intendeva questa frase come una critica. Nel mondo in cui siamo cresciuti, essere nella media era una buona cosa: bianco, maschio, un diploma superiore o una laurea presso un’università non troppo prestigiosa, un lavoro fisso, un appartamento ipotecato, 2.3 figli e una tessera del sindacato. L’obiettivo era essere una persona seria, e come tale protetta dall’ombrello della NATO e del welfare state europeo.

Il sogno di stabilità e inclusione sociale di una buona fetta della popolazione (certo non di tutta) è stato bello finché è durato. Ma sembra che l’egemonia della cultura moderata abbia condotto a una conseguenza imprevista: l’incapacità collettiva di riconoscere l’ascesa di problemi globali (disuguaglianze terribili, riscaldamento del pianeta, il rinselvatichimento dei ricchi e la società della sorveglianza) e affrontarli in modo credibile, pensando al di fuori dagli schemi. Non è tanto un problema di conoscenza (anche se certo, ci serve più conoscenza): per almeno alcuni di questi problemi abbiamo risultati scientifici indiscutibili, come ha osservato Stewart Brand (vedi anche il video qui sopra). La capacità cognitiva dell’elettore mediano, quello che fa vincere le elezioni… quella no, non l’abbiamo.

Che fare? In termini di velocità di reazione e rapporto risultati-risorse, credo che l’opzione di gran lunga la migliore sia mettere in campo i pensatori radicali. Esistono, e costituiscono una riserva di pensiero non utilizzata: come ha scritto di recente Vinay Gupta, molti dei problemi veramente importanti per l’umanità (e quasi tutte le soluzioni candidate a risolverli) occupano i pensieri e le giornate di molte persone interessanti. Quasi tutte sono povere, perché i loro progetti sono fuori dalla sfera finanziabile (con questo termine, Vinay intende l’insieme di quelle idee e progetti che i decision makers di buon senso nel mondo accademico, nel settore privato e nel governo ritengono “seri” e quindi meritevoli di attenzione). Questa riserva potrebbe essere messa a valore per mettere in piedi una risposta di policy in qualche modo evolutiva: dare a queste persone lo spazio per collaudare le loro soluzioni, provandone molte, ciascuna in un ambiente ben controllato e con risorse economiche limitate. Provare tutto: geoingegneria, colonizzazione dello spazio, autosufficienza energetica di piccole comunità, reputazione al posto del denaro. Scartare le cose che non funzionano, e investire su quelle che funzionano. Ripetere. Nassim Taleb lo chiamerebbe “posizionarsi per intercettare i Cigni Neri positivi“: ciascuna di queste idee ha una piccola probabilità di produrre benefici enormi, quindi ha senso fare piccoli investimenti in tutte.

Per questa ragione, applaudo la recente mossa di NESTA (l’agenzia britannica per la scienza, la tecnologia e le arti) di cercare e raccogliere intorno a se i pensatori radicali che potrebbero trasformare la società britannica. A quanto ne so, è la prima volta che la parola “radicale” viene usata in un’accezione positiva in un contesto di politiche pubbliche. Non mi sorprende che sia stata NESTA a farlo: il suo direttore, Geoff Mulgan, è uno dei policy makers più interessanti che conosco. La call di NESTA non è molto operativa: non ci sono risorse significative, o piani espliciti di dare leve vere a questi pensatori radicali. Ma è un inizio. Prevedo un’ondata di pensiero più radicale nelle politiche pubbliche: gli scienziati e i policy makers interagiscono in modo più stretto, e un po’ della hybris dei primi rimane attaccata ai secondi. Speriamo che non sia troppo tardi.

Buon compleanno web, l’Italia ha bisogno di te

Di nuovo in viaggio! E questa volta è per una festa: quella del ventesimo compleanno del World Wide Web. Si tiene lunedì 14 novembre a Roma, al tempio di Adriano, in presenza dell’orgoglioso genitore sir Tim Berners-Lee, che terrà il keynote speech. Su scala molto più modesta, anch’io terrò un piccolo intervento, parlando di Wikicrazia, ovvero di governance collaborativa mediata da Internet.

Sullo sfondo della festa, tempi difficili. Ma la festa serve, e teniamocela ben stretta! come scriveva Sant’Agostino sedici secoli fa, i tempi siamo noi: se non ci piacciono, possiamo sempre inventarne di nuovi, o almeno provarci. Un numero sempre crescente di italiani, connessi proprio dal ventenne World Wide Web, ci sta provando. Nel mio piccolo, ci provo anch’io: Wikitalia, di cui parleremo lunedì, è appunto un regalo di compleanno dell’Italia all’Internet, e dell’Internet all’Italia.

(Il video qui sopra è stato un tentativo di qualche mese fa di spiegare ad alcuni non italiani molto interessati cosa voglio fare nella vita. Però c’entra.) (The video above was not made for the occasion: it is rather an attempt to explain to some interested non-Italians what I want to do with my life. But I find it fits the occasion well.)