Il globalista. Una rotta per il prossimo decennio

Ho l’onore di essere stato invitato a insegnare (se questa è la parola giusta) al Salzburg Global Seminar 2018.

Ho scoperto che è stato fondato nel 1947 da Clemens Heller, un salisburghese che studiava a Harvard, insieme a due colleghi americani. L’idea era di

creare almeno un piccolo centro in cui giovani Europei da tutti i paesi, e di tutte le opinioni politiche, potessero incontrarsi per un mese, e lavorare in modo concreto in una situazione accogliente, e costruire le basi per un possibile centro permanente per la discussione intellettuale in Europa.

E questa discussione era urgente. L’Europa era in rovine. L’Austria in particolare, come la Germania, era occupata delle truppe alleate, e divisa in quattro zone: americana, britannica, francese, sovietica. Non era affatto chiaro quale strada l’Europa avrebbe percorso. La storia recente mostrava che le guerre mondiali potevano susseguirsi a breve distanza – solo vent’anni di una “pace” sempre più tesa separavano la prima dalla seconda. Era invece chiaro che gli europei dell’ovest e del centro non erano più padroni del loro destino. Sia l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America volevano plasmare il futuro dell’Europa. Gli europei, demoralizzati ed esausti, non potevano certo impedirglielo.

Ma c’era una cosa che potevano fare. Potevano usare piccoli spazi creati dalla concorrenza tra le due superpotenze per chiamarsi a raccolta, montare una visione comune per il vecchio continente, e costruire la capacità per realizzarla. Questa era la missione del Salzburg Seminar: “un Piano Marshall della mente”, l’abilità di immaginare un futuro diverso come elemento decisivo per la ricostruzione. Questo piano era rivolto ai giovani, quelli che avevano il potenziale di guidare l’Europa e l’America postbelliche.

La missione ha avuto successo. Gli stimoli intellettuali erano straordinari: Margaret Mead e Wassily Leontief, per dire, erano tra i docenti dell’edizione 1947. Nel corso dei decenni, mentre l’Europa diventava più pacifica, integrata e prospera, il seminario si spostava dall’essere centrato sull’asse euroamericano a un focus globale. Oggi è un leadership program per futuri dirigenti di tutto il mondo.

Ci troviamo in una situazione in cui luoghi come il Salzburg Global Seminar sembrano quasi antiquati. A quanto pare, il nazionalismo, il nativismo, l’eccezionalismo, la de-umanizzazione degli avversari politici, perfino il razzismo, sono di nuovo in pista. Clemens Heller che li aveva visti sepolti sotto le macerie del Terzo Reich, non crederebbe alle sue orecchie. Ci si dice che le percezioni dei nostri concittadini sono altrettanto importanti, e altrettanto capaci di dare forma al nostro mondo, dei fatti della scienza. La narrativa della superiorità per nascita, è potente (padroni a casa nostra è infondato in tanti di quei modi che non so da che parte cominciare a farlo a pezzi, ma indubbiamente funziona). Avere un capro espiatorio, poi, torna sempre utile in politica. E così, questa è la nuova normalità, o almeno ne fa parte.

Ma io rifiuto di accettare tutto questo. È, semplicemente, insensato. Abbiamo enormi problemi da risolvere: proteggere l’ambiente globale, prima che l’Antropocene spazzi via le ultime tigri e annerisca le barriere coralline. Rigenerare le nostre democrazie. Costruire una capacità di azione decente nelle strutture di governo. Ricondurre la popolazione globale verso il basso, a un livello sostenibile sul lungo periodo. Inventare modi di vivere in un mondo senza posti di lavoro in senso tradizionale, e costruire una simbiosi con le intelligenze artificiali. Custodire, estendere e venerare il glorioso arazzo delle culture della terra.

Il lavoro da fare è titanico. Abbiamo bisogno di tutti, fino all’ultima persona che voglia giocare questo gioco fino in fondo, e accetti di contribuire all’avventura umana su questo pianeta azzurro, la nostra casa. Nella mia esperienza, praticamente tutti vogliono partecipare, e lavorare, e amare, e imparare gli uni dagli altri. Quindi, con le ovvie eccezioni, rare e soprattutto individuali, voglio che gli stati nazione, i doganieri, le polizie, il clero, i giornalisti televisivi, e qualunque maledetto idiota voglia fare sentire agli altri che non sono i benvenuti stiano fuori dai piedi. L’inclusione, l’abolizione delle frontiere, la libertà di commercio e di movimento sono meglio per tutti. E dire che gli Europei, più degli altri, avrebbero dovuto capirlo dopo il 1945. Clemens Heller lo capiva.

Lo capisco anch’io. Sono un globalista. Lo sono fin dai tempi in cui suonavo nei Modena City Ramblers e costruivo una Grande Famiglia per crescere insieme, e fantasticavo su Paddy García, che attraversava il tempo e i continenti per combattere al fianco degli oppressi. Ora voglio costruire reti di amicizie, e amori, e rapporti di lavoro che ricoprano il pianeta. Voglio costruire conoscenza condivisa, e diffonderla dovunque qualcuno la voglia. Questa è la nostra eredità in quanto umani: contribuire a costruire il futuro della specie, e del pianeta che abita. È un obiettivo globale, e ha bisogno di un teatro d’azione altrettanto globale. Giuro di oppormi a qualunque movimento politico, ideologico o religioso che cerchi di impedire a persone dalle buone intenzioni, da dovunque arrivino, di lavorare insieme a questo obiettivo.

In Europa, questo vuole dire sostenere un’integrazione europea più profonda e irreversibile, e accogliere con gioia qualunque trasferimento di sovranità dagli stati membri all’unione, purché si possa dimostrare che i cittadini europei (soprattutto i meno privilegiati) ne trarranno beneficio. Vuole anche dire sostenere l’accoglienza di nuovi stati membri nell’unione. Giuro di fare anche queste cose.

Oggi, il Salzburg Global Seminar è esattamente. Dove. Voglio. Essere.

Come scegliere le proprie battaglie (e capire quando si ha perso)

Molte persone in tutto il mondo stanno cercando di portare avanti progetti di cambiamento. Se stai leggendomi, è probabile che tu sia una di queste persone. Ciò che cerchiamo di cambiare dipende dai livelli di ambizione e di hybris di ciascuno di noi: può essere le proprie abitudini personali, una città, un settore industriale, o tutto il mondo. Ma a tutti i livelli abbiamo le stesse due decisioni da prendere.

  • Cosa tentare. Ci sono molte cose che ci piacerebbe cambiare, ma la maggior parte di quelle interessanti sono difficili. E comunque le nostre risorse sono scarse: possiamo fare uno o due tentativi ogni qualche anno, al massimo. Come scegliere il campo di battaglia?
  • Quando fermarsi. Immaginate questa situazione: da un paio d’anni cercate di cambiare qualcosa. Non avete fallito: la vostra iniziativa è ancora in piedi, e sta facendo progressi. Ma non è nemmeno chiaro che stiate vincendo. Il vostro movimento raccoglie adesioni, ma non avete ancora impatto sul problema che vi interessa. La vostra impresa si regge, ma non siete ancora in grado di pagare compensi di mercato. State vincendo? State perdendo? La cosa giusta da fare è continuare a spingere o dichiararvi sconfitti e abbandonare il campo?

Continua in inglese qui.

Photo credit: Cathy Davey on Flickr.com

Guida alla costituzione di una società in Estonia usando il programma di e-residency

Ai primi del 2017, i miei soci ed io abbiamo fondato una nuova società in Estonia, Edgeryders Osaühing. Fare cose del genere è diventato molto più facile grazie al lancio del programma di e-residency, avvenuto nel 2014. Abbiamo spiegato il perché di questa mossa in un post a parte. Ma abbiamo dovuto fare parecchia ricerca per capire come farla. Vogliamo condividerla, sperando che possa aiutare quelli di voi che stanno pensando di fare lo stesso.

La guida è in inglese e si trova qui.