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Il blog come strumento di project management

Il progetto Visioni Urbane ha da qualche giorno un proprio blog, che mi sembra partito bene. molto vivace! E’ da un po’ che penso al blog come a uno strumento molto utile per il project management e le attività di valutazione e monitoraggio. La ragione è che i blog contengono informazioni che sono situate nel tempo (i post hanno una data), intersoggettive (i post hanno un autore, e in genere usano un linguaggio semplice e diretto, in cui la soggettività di chi scrive non è troppo mediata dalla necessità di essere “fedeli a una linea” aziendale o istituzionale), e interattive (si può cliccare su “aggiungi un commento” e dire la propria).
Leggendo i post di un blog di progetto (in cui, immagino, ci saranno più bloggers principali), si può quindi ricostruire l’evoluzione del progetto – sia nel senso delle cose fatte che delle trasformazioni nel modo in cui i suoi protagonisti pensano al progetto, a se stessi, e agli altri attori importanti. Si può quindi ricostruire, del progetto, non solo “la storia”, ma anche “le storie” che ciascuno di noi racconta sul progetto: e le nostre storie, cambiando, influenzano l’andamento di ciò che facciamo. Questo metodo è stato teorizzato da Giovanni Francesco Lanzara in un libro molto bello, che purtroppo non si trova più, Capacità negativa: e, nel mio piccolo, utilizzato anche da me in uno studio sul progetto Booster a Pescara.

Booster, “meglio di Un Posto al Sole”

Mi trattengo per ora dallo scrivere su questo blog il mio punto di vista completo sulla situazione attuale di Booster perchè mi ci vorrebbe un paio di giorni per farlo e… per altre ragioni. La storia di Booster sta però assumendo tutti gli aspetti di una telenovela infinta (la battuta che lo paragona a Un Posto al Sole è di Elisa), con continui colpi di scena, che da un certo punto di vista è interessante analizzare, ma il fatto di esserci contemporaneamente “dentro” rende la cosa molto stressante e snervante, oltre che rischiosa dal punto di vista finanziario e non solo.

Mi limiterò ad elencare alcuni degli aspetti che mi sembrano più interessanti:
1) esiste una Grande Famiglia degli Enti di Formazione (e dei soggetti ad essi collegati) che ha acquisito competenze di processo elevate sulla gestione dei fondi comunitari. Questa Grande Famiglia si muove in modo compatto nella aquisizione e gestione delle risorse comunitarie: o sei loro alleato, di tutti, o no;
2) se, come è, i controlli della Regione sono solo formali, chi ha competenze procedurali (come scrivere carta in modo che passi i controlli formali della Regione) ha molto più potere (capacità di bloccare e indirizzare le azioni e le decisioni) all’interno della PS rispetto a chi nel processo mette i contenuti e le azioni “vere”. Allo stesso modo grande enfasi nella discussione delle azioni da realizzare viene data alla loro “presentazione formale/rendicontabilità” (secondo le prassi consolidate) e molto poca alle azioni in se e agli obiettivi e risultati delle stesse (da notare che si sta parlando di progetti che dovrebbero essere innovativi e di sviluppo, quindi in qualche modo di rottura rispetto al passato);
3) il progetto è sempre strettamente legato al contesto, e il contesto in questo caso è fatto di ritardi cronici e strutturali (qualsiasi cosa è gestita in emergenza all’ultimo minuto e oltre), di inefficienze delle strutture pubbliche e para-pubbliche (per non dire di peggio), etc. E’ importante conoscerlo, capirlo, e in una qualche misura accettarlo, senza però rassegnarsi.
4) Esiste infatti una difficoltà di relazione e comprensione fra i soggetti del territorio, nel nostro caso spesso del Mezzogiorno d’Italia, e chi viene “dal Nord” e cerca di portare un modo diverso di lavorare e vedere le cose. Spesso si viene guardati con diffidenza e in caso di conflitti liquidati con un “non potete capire… qui non funziona così…”. La strada per il cambiamento è quindi molto difficile (ma non impossibile, citando Seravalli) e impervia.
5) E come sempre nelle relazioni umane, i rapporti fra due o più soggetti sono fragili: lungo e faticoso è il tempo che serve per costruirli, molto breve quello necessario per infrangerli. Dopodichè è molto difficile ricomporli. E i progetti vivono di relazioni umane.
6) Concordo su quanto mi dicevi ieri: la perdita di fiducia dell’associazione Pescara Duepuntozero (associazione di imprese e soggetti che si occupano di creatività a Pescara, nata su proposta e iniziativa di Booster) e dei soggetti che la compngono verso il progetto e le istituzioni in generale, a causa dei problemi dello stesso e del comportamento di chi lo gestisce, è una perdita per il territorio e per tutti. Sarebbe un vero peccato se il loro contributo allo sviluppo, in termine di energie e competenze, andasse disperso.
7) E concordo quindi anche sulla grande soddisfazione nel sentire i rappresentanti dell’associazione Pe2.0 dire: “ok, sentiamo quello che ci viene proposto ora da questi enti di formazione – che mai abbiamo incontrato prima – ma devono venire loro alla nostra assemblea, e farci proposte per noi interessanti. Se non vengono allora vuol dire che a loro non interessa e quindi neanche a noi, non abbiamo bisogno dei loro soldi, per noi il lato più importante del progetto è stato farci conoscere e far nascere l’associazione e le collaborazioni fra i suoi componenti.”

per ora mi fermo qui, a breve altre riflessioni…

Letture estive

Oggi mentre leggevo “Che cos’è l’architettura? – intervista a Renzo Piano” mi sono imbattuto in questo passaggio:

“…circola il malinteso che per creare ci voglia una libertà totale, ed è la più grande sciocchezza che si possa credere. Perchè su questa base si cresce con l’idea che se non si è liberi, allora si ha un alibi per dire: “Non ci riesco”.
Questa era precisamente la poetica dell’Oulipo, di cui Calvino era membro: che a stimolare la creatività è la presenza delle costrizioni, e non l’assenza di regole.
“E la stessa cosa succede non solo nella letteratura, o nella musica, ma anche nel quotidiano. Ad esempio, vedo con piacere che lei prende appunti su un quaderno a quadretti: davanti a un foglio bianco uno è completamente perso, ma con le righe è già meglio, e coi quadretti ancora meglio. E la matematica è tutto uno struggersi, una disperata ricerca di un inquadrettamento, appunto, come àncora di salvezza. […]
Non si dice sempre, però, che gli architetti sono completamente liberi nel progettare, mentre è agli ingenieri che tocca dover pensare alle costrizioni?
Sì, ma è la classica scemenza. La verità è, invece, che l’ispirazione corretta nasce subito ancorata. E la matematica è questo sostanziale bisogno di ancoraggio, che naturalmente va di pari passo con la voglia di disancorarsi. […]

Non so, ma a me i progetti architettonici così come li descrive Piano (avventure di conoscenza e ad un tempo rispetto e cambiamento dei luoghi e della loro storia – mi riferisco soprattutto al libro “La responsabilità dell’architetto“) ricordano molto i progetti di sviluppo locale…