Sto leggendo un libro straordinario, The Virtual Community di Howard Rheingold. Rheingold è un signore californiano che si occupava già di comunità virtuali nel 1985 – ai tempi di Usenet e delle BBS, mentre io mi guardavo il Live Aid in televisione. Con le sue 447 pagine, TVC è tante cose diverse: una storia della rete vista dalla prima fila, una vena ricchissima di spunti sull’innovazione e sulle sue sorgenti, un resoconto vivacissimo dell’approccio irriverente e controculturale dei pionieri della tecnologia IT. Ma è soprattutto una vera miniera di esperienze, saggezza, riflessioni sul comportamento sociale degli esseri umani nelle reti di computer, e sotto questo aspetto è di gran lunga il libro più ricco e stimolante che abbia mai letto. Ne risulta un bel bagno di umiltà. Ieri, per dire, me ne ritornavo da Potenza tutto compreso di me stesso e del mio orizzonte teorico di politiche pubbliche user generated (ne ho accennato in questo post) quando, sul volo Napoli-Milano, ho letto a pagina 289 questa frase:
I cittadini [nelle comunità virtuali civiche] possono mettere dei punti sull’agenda della città, ma se volete coinvolgere persone che hanno un ruolo istituzionale chiarite a tutti cosa si può e cosa non si può fare con questo medium per cambiare le politiche cittadine, e datevi delle regole di comunicazione educata in un contesto di libertà di parola. Avere sia forum moderati che forum totalmente non moderati sui soggetti “caldi” è una delle tecniche per mantenere uno spazio per il ragionamento senza comprimere la libertà di espressione. La gente che usa il sistema può progettare queste regole, ma se l’esperienza PEN ha una cosa da insegnare è che i cittadini non possono sperare di lavorare con il municipio senza una zona libera da flames per queste discussioni.
Ma tu guarda. Tutte le mie preoccupazioni sull’interazione amministrazione-creativi nel progetto Visioni Urbane spiegate in dieci righe e riferite a un caso solido, studiato a fondo e lanciato nel 1989! E io che mi facevo il viaggio di essere innovativo.
Leggere questo libro si sta rivelando un’esperienza esaltante e frustrante allo stesso tempo. Esaltante perché è bellissimo vedere l’intelligenza umana in movimento, che crea dal nulla tecnologie con il potenziale di cambiare – letteralmente – il mondo. Frustrante perché è impossibile reggere il paragone, almeno per me. Mi piace e mi interessa molto l’esperienza di unAcademy (ne ho parlato, in vari posts, tra cui questi), ma Mr. Rheingold mi fa gentilmente notare che Amy Bruckman e Mitchel Resnick hanno fatto MediaMOO, una “versione virtuale [e user generated] del Media Laboratory del MIT”… nel 1993. Sì, ma noi stiamo lavorando sul cazzeggio creativo e l’interazione sociale… niente da fare, Mr. Rheingold ha disegnato alcuni abiti per il ballo inaugurale del 20 gennaio 1993. E la mia idea di usare Second Life come ambiente di lavoro quotidiano (“ufficio online”)? Puah, una combinazione di MediaMOO e del sistema di comunicazione “2.0” che l’EuroPARC della Xerox (a Cambridge, Inghilterra) aveva in piedi già nel 1992, quando Mr. Rheingold l’ha visitato.
Capite cosa intendo? L’ha espresso benissimo Mr. Rheingold stesso, in citando un colloquio che ha avuto con il progettista di comunità virtuali su reti pre-internet (in Giappone) Jeffrey Shapard. Questi incontrò internet nel 1988, a una conferenza, e commentò:
Mi sono sentito come se stessimo vivendo in una versione elettronica del medioevo, costruendo piccoli villaggi in regioni remote, cercando di inventarci dei modi in cui la gente potesse arrivare a noi e in cui noi potessimo accedere ai nostri vicini, pensando di fare qualcosa di nuovo e interessante… e poi scoprissimo la Cina, con una civiltà vasta, complessa e antica.
Che dice, Mr. Rheingold, forse sarà meglio studiare un altro po’, no? 😯