La vittoria di CriticalCity a TechGarage ha dell’incredibile. Intanto per le proporzioni schiaccianti: i ragazzi di Milano hanno vinto tutto (il primo premio, il premio di Wired e il premio del pubblico, con una colletta da 100mila euro improvvisata per fornire loro i fondi di startup. Non sto scherzando: leggete il racconto di Marco, che era presente). E poi perché il loro progetto è esplicitamente sociale e not-for-profit (“non vogliamo monetizzare l’impegno per migliorare le città dei nostri giocatori”, dicono), mentre TechGarage è un luogo consacrato all’impresa pura e dura, for profit, promossa dall’azienda di venture capital Dpixel e frequentata dal gotha degli investitori in hi-tech di casa nostra. In qualche modo, queste persone hanno percepito CC come un’idea troppo bella per non essere realizzata.
Questa storia ha dell’incredibile anche per una terza ragione. CC non esce dal vivaio di uno dei tanti progetti di incubazione di startup promossi dal settore privato, tipo Working Capital (di Telecom). Esce, invece, da un ambiente di progettazione creativa di una pubblica amministrazione italiana, cioè da Kublai, che ho l’onore di avere ideato e di dirigere per conto del Ministero dello Sviluppo. Anche Gianluca, presidente di Dpixel e artefice dell’operazione TechGarage, ha incontrato CC da membro della giuria che ha assegnato il Kublai Award a gennaio. Questo, secondo me, vuol dire due cose.
1. Le communities, se orientate nel modo giusto, sono tendenzialmente in grado di riconoscere le buone idee. Quelli di Kublai sono progetti creativi, non video di gatti: quindi sono complessi, vanno valutati su più dimensioni. Il documento di progetto di CriticalCity, per esempio, è lungo oltre 30 pagine con gli allegati. Il consenso creatosi all’interno della community kublaiana su CC ha predetto con grande precisione ed energia quello verificatosi a TechGarage e in altri contesti.
2. Il settore pubblico, per tradizione più orientato ai beni collettivi di quello privato, si trova oggi in una posizione assolutamente strategica. Oggetti come Wikipedia, Delicious, Flickr, Twitter hanno natura di beni pubblici, risorse a disposizione di tutti. Anche CriticalCity potrebbe diventarlo. Ora, i beni pubblici sono una gran bella cosa, ma se sono pubblici vuol dire che il loro consumo non è escludibile, quindi sono per definizione molto difficili da monetizzare – e infatti molte bellissime idee del web 2.0 hanno problemi sul modello di business. Questa è una grande opportunità per il settore pubblico, la cui missione è proprio quella di produrre beni pubblici. Dopo la tragedia dei commons messa in moto nel settecento, le tecnologie digitali consentono oggi di invertire la tendenza e di creare nuovi commons. E chi vince la gara dei commons vince la gara della competitività globale.
Si è aperta, mi pare, una finestra di opportunità straordinaria, che non credevo avrei visto nella mia vita. Abbiamo democratizzato la creatività, per cui concepire e tentare di realizzare progetti ambiziosi come CriticalCity fa ormai parte dell’orizzonte del possibile per ragazzi e ragazze normali come Augusto, Duccio, Chantal e gli altri; abbiamo nel web 2.0 uno strumento potentissimo per aggregare idee e persone, e ormai forse anche per selezionarle; ormai cominciamo anche ad avere una prima generazione di persone che stanno nelle pubbliche amministrazioni, capiscono questo linguaggio e sanno usarne gli strumenti.
Questa prima generazione ha oggi una nuova missione: ricablare l’economia per permettere la produzione di commons. Wikipedia e gli altri possono avere modelli di business instabili, ma il loro contributo al benessere collettivo e alla competitività globale è indiscutibile. Un governo degno di questo nome deve promuovere queste cose. E può farlo, perché ha risorse enormi, normalmente impiegate in attività a produttività bassissima: tutti i progetti presentati a Public Services 2.0, messi insieme, costavano quanto un unico progetto del programma europeo e-participation. Si tratta di ricablare l’economia, per convogliare attenzione e un po’ di denaro verso le persone come i ragazzi di CriticalCity, che sognano di costruire risorse a disposizione di tutti, e proprio per questo difficili da monetizzare. E’ difficile, ma non impossibile, e assolutamente necessario. Io ci provo. Spero, e credo, che non resterò solo su questa strada.