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Punk’s not dead

Found between the pages of Chris Anderson’s The Long Tail (ok, ok I admit it, I had not read it yet, just filled that gap during the Milan-London-Baltimore flights getting to the first show of the tour. My heart grieves, my mouth is full of ash. Your Wiredness, O Wise One, forgive me! And forgive me, you all true believers in the Holy Word of Online Marketing, whose mantle I am not worth kissing etc. etc.)

Through punk rock, we saw a premium on fresh voices, new sounds, vigor, and an anti-establishment sentiment that could have only come from outside the system. It was inspirational to see people out there with no more talent than you, having fun, being admired, doing something novel. To put it in economic terms, punk rock lowered the barriers of entry to creation.

The notion of barriers to entry is used here in a very broad sense, but the meaning is very clear and, to me, very right. Since 1997 – three years before the decline in the recorded music market even started – I have been trying to teach underground musicians to be entrepreneurial. I have quoted extensively Sebastiano Brusco and his refreshing portraits of Emilian entrepreneurs of the 60s, often poorly schooled but endowed with a deep awareness – intuitive, not just formal – of mechanic technology, who would pencil a few numbers on the formica tables of a bar in Sassuolo or Carpi and then just go out, borrow a little money and start a company. This feels like punk to me. Punk somehow implies an entrepreneurial attitude in the sense that “everyone can do that”. Of course this implies taking some risks and go out of one’s role: the farmer, son of farmers, reinvents himself as a machine tools designer and manufacturer, the Arts School kid dyes his hair purple and starts a band. This attitude not only implies, but actually is the refusal to accept the conventional notion of what a machine tool manufacturer or a musician should be.

In this sense I like to put a little punk rock in Fiamma Fumana -and also in my other business as an economist. FF never stood in line waiting for the approval of the small Italian folk music community (part of which frowns upon the idea of trad music played to techno beats): if we can’t convince the circuit of Italian folk-world festivals the way we do in America we just move on, we look for new opportunities, like collaborating with Jovanotti and gaining lots of commercial radio airplay, or making a feature film with producer Davide Ferrario and the Choir of Mondine di Novi. Of course, this does not make me very popular in some circles, where we are seen as blasphemous people that sold out the Music in the name of commercial success (which commercial success, btw?)

As an economist, too, I feel a wee bit the punk rocker. I mix creativity with regional development issues, marketing people with the clergy of high-brow avantgarde culture, hi-tech with everything. I lead workgroups by low-intensity, always-on Msn or Skype chat sessions. I have convinced the (fairly conservative, thank you very much) Italian Department of economic development to run a project – Visioni urbane – through a blog and to seek involvement from the local blogosphere (more on that here). I fight the good fight to keep all decision processes wide open and fully transparent, taking all the risks that come with this. Anyone can click on “Add a comment” and speak out on what we are doing with taxpayer’s money… and I and my people might not like what they have to say. But that will be an incentive to do our very best, and anyway it’s a chance worth taking. We’ve got a wave to catch, folks, a big one which is changing everything. I’m not sure what it will leave behind, but I am ready to bet that the future will carry a healthy dose of punk attitude.

Punk’s not dead (Italiano)

Trovato tra le pagine di The Long Tail di Chris Anderson (ok, ok, lo ammetto: non lo avevo mai letto, ho rimediato in aereo sul Milano-Londra-Baltimora per la prima data del tour. Il mio cuore è pesante per la colpa, la mia bocca piena di cenere. Chris, saggio tra i saggi, perdonami! E perdonatemi voi, veri credenti nel verbo del marketing online cui non sono degno di baciare l’orlo del mantello! etc. etc.).

Attraverso il punk rock abbiamo visto un valore nelle voci fresche, nei suoni nuovi, nel vigore e nel sentimeno anti-establishment che poteva venire solo dal di fuori del sistema. E’ stata un’ispirazione vedere gente la fuori, che non aveva più talento di noi e che si divertiva, era ammirata, faceva qualcosa di nuovo. Per dirla in termini economici, il punk rock ha abbassato le barriere all’entrata della creazione artistica. [traduzione mia, in stile appunto punk]

La nozione di barriera all’entrata è qui usata in senso molto lato, ma il significato è chiarissimo, e secondo me giustissimo. Dal 1997 – tre anni prima dell’inizio del declino del mercato discografico – provo a insegnare ai giovani musicisti emergenti a essere imprenditori di se stessi. Ho citato in lungo e in largo Sebastiano Brusco e i suoi vivificanti ritratti di imprenditori emiliani degli anni sessanta, magari poco o niente scolarizzati ma con una conoscenza profonda – e intuitiva, oltre che formale – della tecnica meccanica, che fanno quattro conti a matita sul tavolino in formica di un bar di Carpi e Sassuolo e poi mettono su l’azienda. Secondo me questo è spirito punk: il punk in qualche modo implica uno spirito imprenditoriale, nel senso che “tutti possiamo farlo”. Naturalmente questo significa assumersi dei rischi e uscire dal proprio ruolo: il contadino e figlio di contadini si inventa imprenditore metalmeccanico o tessile, lo studente della Arts School si tinge i capelli di viola e mette su un gruppo. Questa attitudine non solo implica, ma direi che è il rifiuto di accettare la nozione convenzionale di ciò che un imprenditore, o un musicista, dovrebbe essere.

In questo senso mi piace mettere un po’di punk nei Fiamma Fumana – e anche nella mia attività di economista. Con i FF non stiamo ad aspettare l’avallo della piccola comunità folk italiana (che non sempre apprezza l’uso dell’elettronica con le canzoni tradizionali): se non riusciamo a convincere il circuito dei festival folk-world andiamo avanti, cerchiamo nuovi canali, passiamo magari su Radio DeeJay con Jovanotti, facciamo un film con Davide Ferrario sulle mondine. Questo naturalmente non mi rende più simpatico in quell’ambiente, che tende a vedere in noi dei profanatori o dei “venduti” per il successo commerciale (ma quale, poi?).

Anche come economista mi sento punk. Mischio la creatività con lo sviluppo locale; la gente di marketing con i santoni del teatro d’avanguardia; l’hi-tech con tutto. Partecipo a gruppi di lavoro che sono essenzialmente una lunghissima riunione in chat con Messenger o Skype. Ho convinto il Ministero dello Sviluppo Economico a gestire un progetto – Visioni urbane – tramite un blog e con un coinvolgimento importante della blogosfera locale (ne parlo meglio qui). Combatto per tenere tutti i processi aperti e trasparenti, con tutti i rischi del caso: chiunque può cliccare su “aggiungi un commento” e dire la sua… che potrebbe non piacere a me e ai miei committenti. Ma bisogna correre il rischio, e comunque questo è un incentivo a lavorare meglio. C’è un’onda da prendere, gente, un’onda bella grossa che sta cambiando tutto. Non so cosa succederà, ma scommetto che il futuro avrà dentro una sana dose di attitudine punk.