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Disrupting learning III: scende in campo Clay Shirky

Sono da parecchi anni un lettore attento di Clay Shirky. Lo considero un pensatore profondo e originale, e ho imparato molto da lui. Il suo ultimo post è, come sempre, chiaro e coraggioso: ma, per la prima volta, non mi ha colto di sorpresa.

Shirky – che di mestiere fa il professore universitario – si occupa per la prima volta di come Internet impatta l’istruzione superiore; coglie l’occasione del lancio di Udacity e Coursera (“i Napster dell’istruzione”) per spiegare come quelli che chiama MOOCs (Massive Open Online Courses) hanno già cambiato il panorama del mondo accademico, anche se lo schianto non si è ancora fatto sentire.

C’è poco da dire. Sono d’accordo con tutto: che i corsi funzionano mediamente bene, quando non addirittura molto bene (qui c’è la mia prova su strada della Khan Academy); che scalano magnificamente, e che non minacciano le grandi università ma mettono a rischio quelle di provincia (qui trovate un resoconto della mia esperienza con Coursera – sto preparando proprio adesso l’esame finale – alla fine trovate le riflessioni su Harvard vs. Università di Camerino). Avevo perfino usato il parallelo tra istruzione e industria musicale (un anno fa). Shirky scrive meglio di me ed è più lucido, come al solito; al di là di questo, la differenza principale è che io sono uno studente, mentre lui vede l’accademia dall’interno e può fare una previsione sul come reagirà al cambiamento. Ed è questa:

rischiamo di essere gli ultimi ad ammettere che il nostro mondo è cambiato.

Commons vs. terremoto in Emilia: buone ragioni per sperare

Oggi non riesco a concentrarmi sul lavoro. Sono di Modena, che oggi è stata colpita da un terremoto di magnitudine 5.8. Io vivo in Francia, ma gran parte della mia famiglia e tanti amici molto cari sono nelle zone colpite.

Tengo una finestra aperta su Twitter per seguire gli aggiornamenti, e improvvisamente mi rendo conto che gli italiani si stanno mobilitando spontaneamente per creare – apparentemente dal nulla – risorse comuni, che fanno la differenza per la popolazione che cerca di affrontare le conseguenze del terremoto. Vediamo:

  • prima di tutto, c’è Twitter stesso. Ormai noi occidentali ci siamo abituati alla velocità straordinaria con cui le reti sociali online, Twitter in particolare, raggiungono l’informazione e la diffondono mentre sta ancora accadendo. Conosco la matematica che c’è dietro (Twitter ha una struttura scale-free e multihub, ottima per diffondere informazione), ma vederlo succedere è sempre affascinante. A Modena oggi la rete cellulare è andata giù: ho appreso che la mia famiglia stava bene da un tweet di mia sorella. L’hashtag #terremoto è stato usato per passarsi informazioni e coordinarsi: portate acqua potabile nella frazione tale, i genitori dei bimbi coinvolti nell’evento sportivo talaltro stiano tranquilli, stanno tutti bene, etc. Come è già successo spesso in situazioni paragonabili, i giornalisti si sono ridotti ad aggiornare i loro siti sulla base di… Twitter.
  • in secondo luogo, visto che le reti cellulari non funzionavano e il bisogno di comunicare era molto urgente, le persone si sono rese conto che potevano montare una rozza rete dati semplicemente togliendo la necessità di una password per accedere al wi-fi delle loro case, negozi o uffici. Cittadini, imprese, enti pubblici e almeno due società di telecomunicazioni con offerte commerciali sul wi-fi (TIM e Vodafone – qui ci sono le istruzioni della seconda) hanno partecipato a questa iniziativa. Le istruzioni per riconfigurare gli hotspots si stanno diffondendo sui social network mentre scrivo. In città densamente popolate come Modena, questo significa una copertura abbastanza completa, gratis e nel giro di minuti.
  • in terzo luogo, migliaia di persone hanno dovuto abbandonare temporanemente le loro case, in attesa che gli esperti possano attestare che sono sicure. La rete di Couchsurfing è immediatamente entrata in azione, chiedendo ai suoi membri di segnalare eventuali disponibilità ad accogliere qualche sfollato su una apposita pagina web, indicando quante persone si possono ospitare e per quanto tempo. Immediatamente le offerte hanno riempito diverse pagine. Molte indicano una durata di “fino a che ne avranno bisogno”. Per chi non lo conosce, Couchsurfing è un sito dove molte persone, prevalentemente giovani, mettono a disposizione il proprio divano-letto o la propria camera degli ospiti. È un modo di viaggiare low-cost (si risparmia l’albergo) e sociale (si conoscono persone che abitano in ogni città che si visita).

Questi tre sono commons che ieri non esistevano, e oggi ci aiutano a superare la difficoltà. Probabilmente ce ne sono altri di cui conosco l’esistenza. È troppo presto per tirare conclusioni, ma vorrei tentare ugualmente due osservazioni.

  1. I commons sono nell’occhio di chi guarda. I routers wi-fi c’erano anche prima. È solo quando li si guarda e si pensa “Ehi, se apro la mia wi-fi il mio vicino portà chiamare la famiglia lontana; in più, se lo facciamo tutti, possiamo compensare il crollo della rete cellulare e la mia famiglia potrà chiamare me” invece che “Devo proteggere la mia wi-fi dagli scrocconi e dai pirati” che il bene comune viene creato.
  2. la cultura di Internet incoraggia la creazione e il mantenimento di commons. Non c’è niente da fare: tutti e tre questi fenomeni (e molti altri collegati alla condivisione) sono intimamente connessi con Internet: è la grande rete che li rende possibili, e sono coerenti con i valori dell’etica hacker (“ehi, anch’io posso farlo!”).

Può esserci una terza conclusione, ma non è molto scientifica. La naturalezza apparente con cui i miei conterranei e le mie conterranee adottano questi comportamenti di condivisione è un messaggio di speranza. Sono curioso di vedere cosa succederà dopo.

Buon compleanno web, l’Italia ha bisogno di te

Di nuovo in viaggio! E questa volta è per una festa: quella del ventesimo compleanno del World Wide Web. Si tiene lunedì 14 novembre a Roma, al tempio di Adriano, in presenza dell’orgoglioso genitore sir Tim Berners-Lee, che terrà il keynote speech. Su scala molto più modesta, anch’io terrò un piccolo intervento, parlando di Wikicrazia, ovvero di governance collaborativa mediata da Internet.

Sullo sfondo della festa, tempi difficili. Ma la festa serve, e teniamocela ben stretta! come scriveva Sant’Agostino sedici secoli fa, i tempi siamo noi: se non ci piacciono, possiamo sempre inventarne di nuovi, o almeno provarci. Un numero sempre crescente di italiani, connessi proprio dal ventenne World Wide Web, ci sta provando. Nel mio piccolo, ci provo anch’io: Wikitalia, di cui parleremo lunedì, è appunto un regalo di compleanno dell’Italia all’Internet, e dell’Internet all’Italia.

(Il video qui sopra è stato un tentativo di qualche mese fa di spiegare ad alcuni non italiani molto interessati cosa voglio fare nella vita. Però c’entra.) (The video above was not made for the occasion: it is rather an attempt to explain to some interested non-Italians what I want to do with my life. But I find it fits the occasion well.)