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Giuseppe Granieri e io

Insomma, quando si sta in tour si passano molte ore in furgone, ed è andata a finire che ne ho usate un po’ per leggere alcune cose che mi stavano a cuore da un po’ di tempo. Di The Long Tail ho riferito in un post precedente; gli altri libri che ho letto sono stati Wikinomics di Don Tapscott e Anthony Williams e La società digitale di Giuseppe Granieri. In estrema sintesi:

  • Wikinomics propone la tesi secondo cui la collaborazione di massa conferisce alle imprese che la sanno usare un vantaggio competitivo molto forte. La selezione naturale dei mercati farà sì che molta pressione competitiva si scaricherà nei prossimi anni su quelle imprese che rimangono arroccate nei confini aziendali. Il libro è ben documentato e ricco di esempi, ma non molto profondo: chi pratica un po’ il web sociale non ci troverà novità sconvolgenti. Il libro è pensato per evangelizzare i managers ultracinquantenni USA, a cui consiglia di aprire una pagina su Myspace. Vabbè. Dal prodotto di una serie di ricerche costate complessivamente 9 milioni di dollari ci si poteva aspettare qualcosa di più.
  • Tutt’altro discorso va fatto per La società digitale. Qui non c’è l’irritante tendenza alla semplificazione di tanta letteratura business americana (Wikinomics inclusa, a mio parere): Giuseppe conosce bene la teoria e in più scrive benissimo (sono diventato un lettore abituale del suo blog). Ma se dovessi riassumere in dieci parole la tesi del suo libro non ne sarei capace. Sembra più un post glorificato che un contributo teorico (come invece è The Long Tail). Il succo del discorso è che internet è tata progettata in modo da avere una struttura aperta e acentrica; che questo permette di aggiungerci roba; che molta della roba che è stata aggiunta ha il senso di valorizzare la conoscenza organizzata e raccolta da singoli utenti e metterla a disposizione di tutti; che questo porta sempre di più verso applicazioni “sociali”; che queste hanno un profondo impatto sociale; che molte cose vanno ripensate; che lo scetticismo di fronte a questi cambiamenti non li può fermare; e che non bisogna pensare comunque che la digitalizzazione della società sia una panacea per il mondo, è semplicemente una cosa che c’è e che va affrontata. Tutte cose giuste, improntate al buonsenso, e solidamente argomentate, ma abbastanza note.

Risultato netto: ho chiuso Wikinomics senza rimpianti, sapendo che ne tratterrò essenzialmente gli esempi (geniale la roba su Geek Squad). Appena finito La società digitale, invece… ho iniziato a rileggerlo, per capire se c’è qualche messaggio tra le righe che non ho colto.
Il fatto è che ho incontrato Giuseppe un paio di volte, in relazione al progetto Visioni urbane a cui sto lavorando, e lui mi ha fatto una grande impressione attaccando frontalmente l’impostazione che ho dato al progetto. In sostanza, io mi sono mosso con un profilo molto basso, cercando di accreditare il progetto come un’interfaccia credibile tra istituzioni e mondo creativo lucano e aprendo una discussione di cui, onestamente, non sono in grado di garantire le conclusioni. Quindi io dico: ci impegneremo al massimo per una nuova politica della creatività in Basilicata, se avete tempo e voglia lavorateci con noi, ma sappiate che non siamo in grado di fare promesse. Giuseppe dice che il progetto è debole, che non governo la complessità, che ci sono troppe variabili che non controllo. Il che è vero, ma a me sembra veramente il meglio che si possa fare senza conoscere davvero il territorio e dovendo fare i conti con un livello politico molto autonomo; per cui non ci capiamo. Di fatto mi sono messo a leggere La società digitale nel tentativo di capire meglio il quadro teorico di Giuseppe. Ma nulla, di quello che ne ho capito, mi sembra supportare un approccio così ingegneristico all’eliminazione della complessità come operazione di progettazione! La ricerca continua.

Trasparenza e collaborazione

Sono partito per il tour americano dei Fiamma Fumana con tre libri nello zaino (più un saggio di Tito Bianchi sull’hard drive). Il primo – che ho già finito – è l’ormai classico The Long Tail di Chris Anderson, che avevo sentito citare tante di quelle volte che mi sembrava di averlo già letto. Il secondo – che sto leggendo ora – è Wikinomics di Tapscott e Williams. Il terzo ve lo racconto tra qualche giorno.

Comunque: in Wikinomics c’è la storia molto carina dell’IBM che “bussa alla porta” della comunità di sviluppatori di Linux. A un certo punto Dan Frye, il direttore del Linux Development Group, si rende conto che la rete interna di Big Blue è un problema per i suoi prgrammatori che partecipano al programma. Ragione: la comunità di sviluppatori comunica molto, in modo veloce e informale. Mentre lavora, il programmatore tiene spesso aperto Skype o MSN e chatta con altri che si interessano allo stesso problema. Domande, risposte, righe di codice vengono scambiate in modo molto rapido. I dipendenti IBM, però, accedono a internet dalla rete aziendale, sulla quale le parole si pesano, e le risposte sono molto più lente. E Frye cosa fa? Stacca il suo gruppo dalla rete di IBM, gli compra un accesso internet commerciale e lo incoraggia a chattare quanto gli pare, se questo serve a comunicare meglio con la community.

Il modo di comunicare nella pubblica amministrazione italiana, anche nei suoi pezzi più preparati, come il DPS, è veramente ingessato. Tu scrivi una cosa e tutti, invece di cliccare su “aggiungi un commento” ti mandano email: “io eliminerei il riferimento a questo”, “per quell’altro dobbiamo fare un passaggio politico”… in astratto capiscono benissimo i benefici della trasparenza e della multisoggettività, ma in concreto vedere scritto “io penso che qui bisogna fare questo” su un blog gli fa un certo effetto, anche se il post ha un autore e non rappresenta la linea ufficiale dell’istituzione.

Ma qui io tengo duro. Nelle cose di cui mi occupo creare coinvolgimento sul territorio è tutto. A cosa serve un bel documento che non diventa pubblico, e che non si può commentare e contraddire?

Comunicare i risultati

Da qualche giorno arrivano da Pescara segnali di aumento del pessimismo generale. In parte è fisiologico: sono due mesi che facciamo riunioni, e i soggetti della rete iniziano a stancarsi. Ma ci sono stati anche segnali più brutti: per esempio, Elisa mi ha riferito le parole di Claudio di Events 365, che ha partecipato ai primi incontri di ottobre-novembre ma poi è un po’ sparito: questa settimana è venuto a una riunione e ha commentato che questo metodo non va da nessuna parte, che avremmo dovuto “dare i compiti” noi dal centro dell’organizzazione, che lui non ha nessuna fiducia nel processo ecc. Martedì, poi, c’è stato un incontro tra Elisa e l’assessore comunale alla cultura Adelchi De Collibus, da cui sembrava che la fiducia che l’assessorato nutre nel nostro progetto fosse nettamente calata. Ma come? Eppure, in circa un mese, si vedono i primi risultati: stanno arrivando i progetti delle singole imprese e associazioni, e si sta scrivendo una bozza di statuto della costituenda associazione.

In questi giorni sto leggendo Chelsea Story di Susan Podziba, e ho fatto l’ipotesi che la colpa sia nostra: non siamo abbastanza attenti a comunicare a tutti i progressi che vengono fatti. A Chelsea, riferisce Podziba,
grande importanza ha avuto la mappa pittorica del processo di elaborazione del nuovo statuto, che consentiva a tutti di situarsi all’interno del percorso e di monitorare i progressi fatti. Per questa ragione, insieme a Marco e a Elisa, abbiamo deciso al volo di accorpare in una sola le riunioni della settimana prossima (gruppo evento e gruppo associazione), e usarla per presentare i risultati. Il gruppo associazione non ha molo bisogno di aiuto, perché ha un leader in Giulio Berghella di Loov e un tecnico in Fabio Falcone, che infatti sta scrivendo la bozza di statuto. Diversa la situazione del gruppo evento, dove ci sono già varie proposte ma si fa fatica a percepire il quadro complessivo. Ho incaricato Marco di preparare un programma provvisorio, in modo che l’evento sia visibile con un colpo d’occhio.

Poi mi sono messo al telefono per verificare il percorso. Ho parlato con Palmina Romano dell’assessorato (comunale)
alle politiche comunitarie e con Claudia Civitarese dell’assessorato (sempre comunale) alla cultura; ho riaperto il canale con Giovanni Bratti del settore (regionale) turismo; l’assessore De Collibus mi ha chiamato per assicurarmi che da parte sua non c’è il minimo scetticismo, anzi. Si va avanti, insomma. Tra l’altro, il gruppo del Comune ha reagito molto bene alla mia idea di trasformare la riunione finale di lunedì 26 in una conferenza stampa.

Nel frattempo è uscito Mente Locale numero 3, con una doppia pagina su Booster che si intitola “L’underground al potere”. Esagerati!