Secondo Business Insider la Khan Academy ha appena ricevuto altri cinque milioni di dollari di fondi. Tutto è cominciato nel 2004, quando un laureato del MIT, Salman Khan, ha cominciato a dare lezioni di matematica a sua cugna usando Doodle, il block notes virtuale di Yahoo. Ha funzionato così bene che altri membri della famiglia hanno chiesto di partecipare; così, Salman ha pensato di registrare le sue lezioni in video e metterle su YouTube. A questo punto potevano essere condivise, e lo sono state. Questo modo di imparare è diventato popolare: sette anni dopo, la Khan Academy è una charity ben finanziata, con 39 milioni di page views al mese.
Supponiamo che 20 pageviews (video) equivalgano a un giorno di scuola per uno studente; supponiamo che una classe (fisica, non virtuale) contenga 25 studenti, e che i giorni di scuola siano 22 al mese. Questo significa che la Khan Academy equivale a una scuola con 3500 classi, ma solo una decina di insegnanti molto bravi. In questa scuola, però, ogni studente procede al proprio passo, senza doversi sincronizzare con compagni di classe più lenti o più veloci, e può seguire le lezioni a qualsiasi ora del giorno o della notte. Visti i noti limiti dell’istruzione tradizionale è facile prevedere che queste iniziative continueranno ad avere successo.
Ci saranno conseguenze. Secondo il World Factbook della CIA, il 4,4% del PIL mondiale viene speso in istruzione (dato del 2007). E il PIL mondiale è stimato a 75mila miliardi di dollari (2010, parità di potere d’acquisto). Questo significa che il mercato mondiale dell’istruzione vale qualcosa come 3.300 miliardi di dollari all’anno, più del debito pubblico italiano. Il successo della Khan Academy indica che una parte significativa di quel mercato potrebbe essere sulla soglia di una trasformazione disruptive. Quando una cosa simile è successa all’industria musicale, questa ha reagito in modo aggressivo, assumendo lobbisti per costruire barriere legali intorno alle sue fonti di ricavi e avvocati per fare causa a studenti di liceo colpevoli di condividere illegalmente files musicali. Sono preoccupato di quello che potrebbero fare le università quando si accorgeranno che gli studenti le bypassano. E gli studenti – almeno in paesi come il Regno Unito, dove le tasse universitarie sono di 5000 euro all’anno – certamente cercheranno di bypassarle. L’alternativa è contrarre debiti per pagarsi l’istruzione, e la crisi finanziaria ci sta insegnando molto sulle conseguenze del debito. Le cose potrebbero mettersi male.
Marco De Rossi, il giovane fondatore della scuola peer-to-peer e online Oilproject, sogna di videoregistrare e mettere online, gratuitamente, tutte le lezioni di tutti i corsi di tutte le università italiane. Potrebbe farlo a costo zero, migliorando moltissimo l’accesso all’istruzione, ma per farlo ha bisogno di una legge di una riga che dice: tutte le lezioni pagate dal contribuente sono di pubblico dominio, e condividerle non costituisce violazione di nessun copyright. La mia ipotesi è che questa legge potrebbe essere fatta adesso, mentre l’attenzione politica è concentrata su altre cose, o mai più: questione di mesi e i lobbisti dell’accademia la bloccheranno per sempre. Fino alla prossima Tahrir Square.