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Diritto d’autore: Techcrunch contro le majors

Fa abbastanza impressione leggere su Techcrunch che

nessuno che sia minimamente lucido potrebbe sostenere che scaricare musica su internet sia “sbagliato” a questo punto

Fa impressione sia per il tono perentorio che perché a sostenerlo è, appunto, Techcrunch, cioè il blog che si occupa di internet con un taglio business. Una citazione di Michael Arrington è in genere un fortissimo segnale di qualità per le startup, e i venture capitalists si muovono molto volentieri – a suon di milioni di dollari – sulle aziende che incontrano la sua approvazione. Naturalmente Arrington sa che, invece, ci sono diverse persone molto lucide che sostengono proprio questo. Queste persone, a suo dire, mentono, e lo fanno perché

la legge, e in particolare la disponibilità del governo americano a perpetuare l’assurdità della legislazione sul copyright applicata alla musica registrata, è tutto ciò che rimane alle etichette

E’ chiaro che la legislazione attuale sul copyright inibisce diversi modelli di business potenzialmente interessanti per le imprese hi-tech della Silicon Valley, di cui Techcrunch è una voce importante.  Hmm. Sbaglio o queste imprese hanno generosamente finanziato la campagna vittoriosa del presidente Obama, il primo presidente 2.0? Non sarà che adesso queste imprese stanno presentando il conto al loro uomo a Washington?

(traduzioni mie)

Questione di punti di vista

Distratto da tutt’altro, non ho ancora commentato il caso Nine Inch Nails – Ghosts I-IV. Per chi come me si fosse distratto, la storia è più o meno questa: Trent Reznor completa il suo contratto discografico con Interscope Records, decide di non rinnovarlo, e pubblica queste 36 tracce strumentali di “dark ambient” (!) con una propria etichetta. Decide di licenziarle in Creative Commons (attribuzione, non-commerciale, condividi allo stesso modo). Questo significa che:

  1. è legale scaricare “Ghosts” da Bit-Torrent o e-Mule
  2. è legale copiare il cd e distribuirlo in giro

L’album può essere ottenuto anche in molti altri modi, dal download a pagamento all’edizione limitata “Ultra-Deluxe” a 300 dollari al pezzo (2500 copie, esaurite in tre giorni secondo Arstechnica). I risultati sono stati notevolissimi: 1,6 milioni di dollari di ricavi generati nella prima settimana (fonte: Wired); album più scaricato (a pagamento) da Amazon; primo posto nella classifica Billboard nella musica elettronica e piazzamenti molto lusinghieri in altre categorie (compreso un 14° posto assoluto); 4° album più ascoltato nel 2008 su Last.fm, con oltre cinque milioni di ascolti.

Chris Anderson, che sta scrivendo un libro su “The economics of free”, commenta che “Un album gratuito è stato il più venduto come MP3!”. Ha ragione.

Joi Ito, impegnato su Creative Commons, fa notare che “Un album licenziato in CC è stato il più venduto come MP3!”. Anche lui ha ragione.

Ma perché la gente comprerebbe musica che può facilmente ottenere gratis? Il blog di CC: “I fans hanno capito che comprare gli MP3 avrebbe direttamente sostenuto la vita e la carriera di un artista che amano (traduzione mia)”. E, secondo me, lui ha più ragione di tutti. Nel mio piccolissimo, sostengo da un pezzo (per esempio in un articolo del 2001 su “Diario”) che i musicisti “vivono di mance”, cioè di un rapporto forte con la propria fan base, e che è su questo rapporto che occore costruire un modello di business per l’era digitale. Il diritto d’autore inteso nel senso classico è diventato un ostacolo all’innovazione sui modelli di business, e va superato (ne ho parlato nel 2007 a eChallenges e in altre sedi). Su queste cose mi scontro da allora (abbastanza affettuosamente) con ciò che resta della discografia tradizionale.

E anch’io avevo ragione, pare. 😉

 

Consumatore sarà lei (Il CEO di EMI Music perde il Cluetrain)

Beh, in fondo un po’ patrioti lo siamo tutti, o lo saremmo se ce lo potessimo permettere, quindi fa piacere trovare un italiano, il 42enne Elio Leoni-Sceti, a fare il CEO di EMI. Gino Castaldo, che da molti anni si occupa di musica per Repubblica, lo ha intervistato per Affari e Finanza e ce ne racconta la strategia per assicurare alla musica magnifiche sorti e progressive. Ne risulta un articolo che fa un po’ impressione. Per due motivi.

Il primo è il meno importante, ma resta un po’ spiacevole. Castaldo si accosta alla sua notizia nella migliore tradizione “in ginocchio da te”. “I conti mostrano sensibili miglioramenti. C’è addirittura voglia di rilanciare […]. Merito di un brillante romano, Elio Leoni-Sceti […]”. Però, uno pensa, bravo questo. Poi gli viene il dubbio e si controlla il Times, da cui salta fuori che il 27 giugno EMI stava “prendendo in considerazione” l’assunzione di Leoni-Sceti. Per quanto possa essere bravo e veloce, i risultati del terzo trimestre difficilmente possono essergli attribuiti integralmente. Peccato: figura non bellissima, che getta un’ombra su tutto il resto dell’articolo.

Il secondo, ben più rilevante, è il contenuto delle dichiarazioni del manager italiano. Leoni-Sceti sembra del tutto impermeabile ai tremendi colpi presi dall’industria musicale negli ultimi sette anni. A leggere l’intervista viene il dubbio che la ragione sia che non sa assolutamente nulla; certamente non sembra averne tratto alcuna lezione significativa. Infatti sostiene  alcune posizioni che davvero pensavo fossero superate definitivamente dagli eventi. Eccole:

1. E’ stato un errore lasciare che l’innovazione tecnologica avvenisse al di fuori dell’industria “Tutto […] i cd, gli iPod e altro, è stato gestito da altri. […] Non si capisce perché dobbiamo lasciare ad altri qualcosa che noi facciamo da anni.” Ehm… Leoni-Sceti, le dice niente il nome Napster? Si ricorda? Quella che era allora la più grande community online della storia con 60 milioni di utenti registrati, creata da uno studente di liceo. E che, puntualmente, si disintegrò circa cinque minuti dopo che l’aveva comprata BMG, cioè la discografia major: gente che non capisce internet e che tendenzialmente la odia. E PressPlay, le dice niente? I suoi colleghi litigarono per anni su formati, interoperabilità, DRM, chi doveva gestire il negozio online etc. Poi arrivò Steve Jobs, uno che capisce internet e la generazione che ci vive dentro. Il resto è storia. Le majors del disco non sono assolutamente in grado di fare innovazione. Le majors vivono (con qualche ragione) l’innovazione come la cacciata dall’Eden. Sono gli ultimi luddisti.

2. Vogliamo ispirarci al consumatore. “Se scopriamo che per il merchandising il fan dei Coldplay spende cinque dollari e quello degli Iron Maiden venti questa informazione può essere elaborata per capire in quale direzione muoversi.” Eccerto, noi siamo consumatori, quindi telecomandabili a forza di MTV e di Sorrisi e Canzoni, quindi ci possono fare comprare i pupazzetti dei Coldplay. Leoni-Sceti, ma si rende conto che lei, manager di un’industria divenuta famosa negli ultimi anni per fare causa ai propri clienti, adesso li insulta sui giornali? Consumatore, scusi, sarà lei. Noi siamo altro: appassionati, smanettoni con chitarre e computer, a volte fruitori a volte artisti. Ha presente il movimento prosumer? World of Warcraft, gli hack sull’iPod, il passaggio epocale del settore della fotografia con l’avvento del digitale? Ha presente Rock Band? Ma sì, le cose che ha letto su The Long Tail e Wikinomics… il ClueTrain Manifesto? Neanche? Niente. Proprio non ci arrivano, le major, a capire che noi non vogliamo essere consumatori della loro musica ma protagonisti della nostra. Del resto, Leoni-Sceti ha maturato la sua idea di consumatore in Reckitt Benckiser (quella del Finish, il detersivo per lavastoviglie) e prima ancora in Procter&Gamble (quella del Dash, il detersivo per lavatrice). Quasi quasi uno si aspetta che annunci una campagna su Carosello.

3. E’ colpa della pirateria. “Ha portato uno scarso riconoscimento al valore del contenuto”. Maddai, ancora? Una prece. E un consiglio: confrontarsi con Joi Ito. Ma andrebbe bene anche un qualunque appassionato di musica. Il prossimo, per favore!