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Notizie dal pianeta musica: il vecchio che non vuole morire, il nuovo che non riesce a nascere

Rock Band Screenshot

Qualche notizia sparsa dal pianeta musica:

1. dei 13 milioni di brani disponibili su iTunes UK su un sito di download che probabilmente è iTunes UK, 10 milioni sono fermi a zero download. Per un artista o una band essere rintracciabile out there non basta. Occorre anche guadagnare visibilità (fonte: Chris Anderson).

2. Internet può generare fenomeni virali in grado di dare molta visibilità, ma è molto difficile trasformarla in vendite. Prendete gli OK Go!, autori di un video geniale cliccato oltre 41 milioni (sì, ho scritto proprio quarantuno MILIONI) di volte su YouTube. Sono delle webstars, ma alzi la mano chi di voi ha comprato un loro disco o file, o assistito a un loro concerto. Nessuno? Bene, alzi la mano chi conosce qualcuno che ha comprato un album o un biglietto di un concerto degli OK Go!. Nessuno? Ecco, appunto. Tra gli altro gli OK Go! non sono un’invenzione della rete: sono diventati “famosi” prima del successo virale in internet, facendo da band residente per un programma radiofonico negli USA, e al tempo del loro video virale avevano già un contratto con Capitol (fonte).

3. la cantante italiana Giusy Ferreri, 260mila copie vendute del suo primo album, ha deciso di non lasciare il lavoro (faceva la cassiera all’Esselunga, probabilmente finirà a lavorare in ufficio). Motivazione: è un momento difficile per la discografia, potrebbe andare male. Quindi, anche se si riesce a trasformare la visibilità (nel suo caso deriva da una trasmissione televisiva, quindi old media) in vendite, si ha la sensazione di stare su un modello di business non sostenibile.

4. nel frattempo, sul mercato apparentemente lontano dei videogame, il titolo Rock Band di Harmonix (acquisita da Viacom nel 2006) ha polverizzato i record di vendite: sette milioni di copie del gioco vendute, 26 milioni di canzoni scaricate dagli acquirenti del gioco. Non è un successo isolato: questo gioco è una versione multiplayer (dove player vuol dire sia giocatore che suonatore) del precedente successo Guitar Hero. In entrambi si gioca con controllers che sono, in essenza, versioni ipersemplificate dell'”interfaccia utente” di una chitarra o una batteria. Ciò che esce dalle casse, la musica, è la risultante di ciò che il gioco è programmato per fare e di ciò che il giocatore fa con questi controllers. Non è proprio suonare uno strumento, ma non è nemmeno ascoltare un brano seduti in poltrona.

Ripensandoci, queste non sembrano notizie sparse, ma epifenomeni di una stessa tendenza. Che è questa: alla musica – forse – sta accadendo ciò che è accaduto alla fotografia (ne ha parlato Alberto D’Ottavi al Photocamp). Il dilagare delle macchine fotografiche digitali e la loro integrazione nei telefoni cellulari ha portato alla luce una grande massa di appassionati che la fotografia vogliono viverla in prima persona. Questo ha probabilmente spiazzato molti fotografi professionisti di livello medio e basso, a cui i prosumers potevano fare una concorrenza impossibile da battere, e polverizzato molti laboratori di sviluppo della pellicola fotografica; ma, nello stesso tempo, ha creato un nuovo sistema di mercato, il cui modello di business si basa sulla vendita di macchine fotografiche, accessori e servizi come Flickr. Il giro di affari della fotografia, preso nel suo complesso, è certamente aumentato molto, ma i soggetti che beneficiano di questo aumento non sono i protagonisti dei vecchi modelli di business.

Sia nella musica che nella fotografia, comunque, c’è un messaggio chiarissimo: l’audience passiva diminuisce, ed aumentano i prosumers disposti a pagare per fare musica, per fare fotografia. Nel tempo, questo porterà ad un aumento della capacità critica e di apprezzamento della società, il che a sua volta dovrebbe avere un effetto positivo sulla domanda di musica (e di fotografia) a tutti i livelli: strumenti, lezioni e corsi, libri sulla musica, concerti, forse perfino cd. Nell’attesa che il nuovo nasca, un consiglio a tutti i giovani che vogliono occuparsi di musica: tenetevi lontano dal vecchio che non vuole morire, contratti con etichette etc. Meglio studiare, aspettare, concentrarsi sulla propria musica. Io farò così – e non sono più una giovane promessa da un pezzo.

😉

Scusi, per l’industria musicale?

Molti studenti mi scrivono per avere consigli o materiale per i loro studi sull’industria musicale. Un consiglio che mi sento di dare a chi vuole davvero intraprendere una carriera in questo settore è quello di prendere in considerazione il Master in musica, comunicazione e marketing, che secondo me è il migliore corso universitario sull’industria musicale in Italia. Nato sull’onda dell’interesse delle aziende di telefonia cellulare per la musica, MMCM ha sempre mantenuto uno stretto contatto con le imprese del settore e con le tendenze del business: la lista dei partners in questi anni è diventata davvero impressionante. Quest’anno, per dire, si sono aggiunte Warner Music Italia, MySpace Italia, The Base, Roma Europa Festival e Just One. Anch’io, da qualche anno, vi tengo qualche lezione, stimo molto il coordinatore Francesco D’Amato da tre anni, e siamo diventati anche amici. La sua è in un certo senso una tipica storia italiana: è un giovane accademico (insegna alla Sapienza) totalmente trascurato dall’università, che con le sue forze è riuscito a costruire e consolidare una bella realtà didattica, che riesce a fare anche un po’ di ricerca sui nuovi modelli di business. Tra l’altro MMCM sembra attirare studenti molto in gamba: nelle mie attività mi è già capitato due volte di coinvolgere ex studenti, ed entrambe le volte mi sono trovato bene.

Il bando per partecipare all’edizione 2008-2009 scade tra due settimane, quindi chi fosse interessato farà bene ad affrettarsi.

La musica è roba da vecchi

 

Sabato scorso mi hanno telefonato di accendere il televisore per vedere il Concerto per i ragazzi di strada, un evento benefico mandato poi in onda (in una sintesi) da Rai Uno. Oltre ai miei ex soci Modena City Ramblers, ho fatto in tempo a vedere Al Bano, i Matia Bazar, Andrea Mingardi, i New Trolls, Roberto Vecchioni, Eugenio Bennato, Frankie Hi-NRG. Gusti musicali a parte (i miei sono piuttosto distanti da alcune di queste proposte, ma questo non ha la minima importanza) ciò che mi ha colpito è l’estrema vecchiezza degli artisti. A parte i MCR e Frankie (comunque tra i 40 e i 50 anni, e qualcuno anche oltre i 50), gli altri erano tutti over 60. Spirava un’aria sinistra, molto italiana, di inamovibilità: hic manebimus optime, qui sono e da qui non mi muovo, senza nessun senso di autocritica, nessuna vergogna per repertori non rinnovati da decenni e proposte stantìe. Vecchioni (con una maglietta grigia a maniche corte da reparto ospedaliero che gli scopriva le braccia da vecchio) ha cantato, indovinate un po’, Samarcanda (1977). I New Trolls, ebbene sì, Quella carezza della sera (1978). I Matia Bazar, proprio così, Ti sento, grande pezzo ma del 1985.

La cosa che mi amareggia di più è vedere giovani musicisti collaborare con queste persone in ruoli chiaramente subalterni, senza potere mai crescere. Mi ha fatto male al cuore vedere la “giovane” (40 anni giusti) ed energica Roberta Faccani (Matia Bazar) usata da Golzi e Cassano come una trasfusione di sangue per mantenere artificialmente in vita un progetto in sè vecchio: forse Roberta meriterebbe di avere un’occasione tutta sua, come lo meriterebbero altri musicisti giovani che sono saliti sul palco quella sera con un ruolo, invece, da comprimari.

Purtroppo non credo che ne avranno mai una, salvo casi molto fortunati. La tempesta di internet, distruggendo il modello di business basato sulla vendita di supporti come il CD, ha spezzato la capacità dell’industria musicale di sviluppare talento e portarlo all’attenzione del mercato, per cui – razionalmente – discografici e promoter cercano di prolungare la gloria di quegli artisti che sono riusciti a costruirsi una notorietà prima del 2000 – meglio ancora se prima del 1985. Al Bano ha pubblicato 30 album, Mingardi  e Vecchioni 26 ciascuno, i Matia Bazar 25, i New Trolls 33.  Fino a che un modello di business nuovo non emergerà, quella musicale è destinata ad essere una delle industrie più conservatrici e gerontocratiche del mondo. Meglio fare altro.