Domenica ero con alcuni amici a fare una pedalata lungo il Ticino, e ci siamo imbattuti in quest’uomo che faceva surf sul naviglio, nei pressi di Turbigo. Immediatamente a valle di una chiusa si forma un’onda statica: il surfista può cavalcarla stando fermo, mentre l’acqua scorre verso la poppa della tavola (se si dice così).
In un colpo solo, il surfista di Turbigo rovescia il concetto di surf (nel surf normale l’acqua sta ferma: a muoversi è l’onda, e il surfista con lei) e reinventa il naviglio come un luogo di sport acquatici normalmente associati con il Pacifico. Non ha costruito nulla, non ha scritto business plans né prototipi, non ha proposto la propria idea a nessuno, non si è chiuso in laboratorio. Ha solo guardato la chiusa e si è detto “Ehi, ma lì si potrebbe fare surf! Voglio provare”.
Eppure è proprio questo sguardo diverso, a mio avviso, ad essere il cuore dell’innovazione territoriale: tutti gli sviluppi futuri, compresa la fioritura di una – per ora ipotetica – surf culture ticinese, sono impliciti in esso. Chissà se accetterebbe di fare il responsabile dell’Expo 2015, il surfista di Turbigo. O il sindaco. O il ministro.
Che meraviglia il Naviglio della Martesana! Per i non milanesi, e i molti milanesi che non lo conoscono, si tratta di un bellissimo canale lungo 37 chilometri che porta le acque dell’Adda fino praticamente alla stazione centrale di Milano. Iniziato dal duca Francesco Sforza nel 1457 (e progettato con il contributo della più grande archistar di tutti i tempi, Leonardo da Vinci), il Naviglio è contemporaneamente un’opera per l’agricoltura (raccoglie le acque in eccesso, che alimentavano paludi, e ne permette la redistribuzione su terreni che ne abbisognano: si calcola che in questo modo siano stati valorizzati oltre 25.000 ettari di terreno coltivabile), e un’idrovia navigabile che collega la città all’Adda (e dalla fine del settecento in poi, attraverso il Naviglio di Paderno, al Lago di Como). Tanto per non lasciare le cose a metà, l’idrovia sforzesca è raddoppiata da una strada (alzaia), oggi trasformata in una splendida pista ciclabile che attraversa parchi e centri storici. Il tratto milanese mi ricorda un po’ Camden Town nei miei anni londinesi.
Pedalando sull’argine, pensavo che siamo abituati a considerare in qualche modo necessaria – inevitabile – la Milano attuale, con il sistema delle tangenziali, la quasi-autostrada cittadina di Viale Padova eccetera. Vista da qui, invece, mi appare caotica, priva di progetto e di visione: chiarissimo, invece, è il disegno sottostante la Milano quattrocentesca, le chiuse, i capofossi, i ponti, i parchi, i collegamenti strategici con l’Adda a est, il Ticino all’Ovest, il lago di Como a nord. Milano, insomma, è emergente: è andata così, ma poteva andare diversamente. La città che vediamo è il foglio su cui uomini (e donne, ma meno) separati dai secoli e dai loro diversi atteggiamenti culturali hanno scritto, cancellato, provato a integrare i vecchi disegni in disegni nuovi. E la tecnologia, con l’emergenza delle città, c’entra e molto: il Naviglio della Martesana è un’infrastruttura che valorizza appieno le tecnologie dell’agricoltura intensiva e della navigazione fluviale (gli Sforza avevano chiarissime le implicazioni logistico-militari di potere attraversare il ducato per via d’acqua). La tangenziale è un’infrastruttura che valorizza la tecnologia del motore a combustione interna.
Consiglierei a Diana Bracco e Lucio Stanca, che sono a capo della Società di Gestione dell’Expo, di farsi un giro in bicicletta lungo il Naviglio della Martesana per confrontarsi con le grandi ombre degli Sforza e di Leonardo. E per riflettere sulle scelte di tecnologie e stili di vita – le une, come sempre, strettamente intrecciate agli altri – che informeranno di sé la Milano di domani. La forma della città verrà di conseguenza.