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Foto: Wikimedia

OpenPompei: verso l’ultimo atto, con un direttore scientifico in meno e un volontario in più

(ripostato da OpenPompei)

Il 2015 è stato, per OpenPompei, un anno di attività intensa e aperta sul mondo. Abbiamo lavorato tanto in collaborazione stretta e diretta con il territorio pompeiano; con la piccola ma attivissima comunità degli archeologi accademici che producono e usano dati aperti; con le associazioni di Civic Hackers. Le tappe principali di quest’anno sono state lo STVDIVM, cioè una scuola di dati aperti per l’archeologia; lo SCRIPTORIVM, cioè il primo archeo-hackathon d’Italia e uno dei primi al mondo; e TEDxPompeii, un momento di incontro e di raccordo per gli innovatori del Sud, nel segno della legalità. Ho già proposto un riepilogo e una riflessione sul progetto fin qui. L’unica cosa da aggiungere è la nuova versione del sito open data del Grande Progetto Pompei (http://open.pompeiisites.org/), che verrà pubblicata entro fine anno. E’ basata su DKAN ed è stata costruita dialogando in modo continuo con la Direzione Generale del MIBACT che si occupa del GPP.

Patti_Marina_OSM

Ci sono diversi segni che la strategia di apertura, collaborazione con le istituzioni pur mantenendo una forte autonomia di pensiero e di azione, e di leading by example di OpenPompei comincia a funzionare. Diverse persone ci hanno raccontato che si stanno muovendo, stanno prendendo coraggio. L’ultimo episodio di cui ho avuto notizia è la mappatura della villa romana di Patti Marina su OpenStreetMap che secondo il suo realizzatore, il civic hacker siciliano Nino Galante, è direttamente ispirato a OpenPompei. Il TEDxPompeii, con la scelta forte di invitare Roberto Saviano per unire beni culturali e legalità, è stato molto apprezzato, anche fuori dall’Italia. Visti attivismo passato e segnali incoraggiati, immagino che alcuni si aspettassero un turbine di attività dopo l’estate, per poi avviarsi alla fine del progetto. Così non è stato, e sento di dovervi una spiegazione.

TEDxPompeii_win

Succede questo: da maggio 2014 (non è un errore, proprio duemilaquattordici) la struttura amministrativa di OpenPompei è andata in sofferenza. Sono successe due cose:

  1. È diventato via via più difficile utilizzare in modo intelligente la fonte finanziaria di OpenPompei, il Piano Operativo Nazionale Governance e Territorio, per gli amici PONGAT. Nonostante gli sforzi e la competenze di Studiare Sviluppo (la nostra “nave madre”), gli strumenti a nostra disposizione sono venuti riducendosi. Per esempio, ci è divenuto impossibile fare attività in qualunque luogo non sia Pompei; e ci è molto difficile invitare a Pompei civic hackers e archeologi che risiedono altrove, pagando loro il viaggio. La scheda di progetto di OpenPompei specifica con chiarezza che la platea degli stakeholders del parco archeologico di Pompeii, forse il più famoso sito archeologico al mondo, è per definizione globale; e ci assegna il compito di collegare il locale con il globale, il territorio con il mondo. Ma poi non ci dà gli strumenti amministrativi per farlo! Mah. Per fortuna c’è Internet, e molte relazioni sono passate da lì.
  2. Studiare Sviluppo stessa è entrata in una fase di ritardi nei pagamenti. Fatica a farsi pagare; fatica a pagare i collaboratori (io, per dire, non ho ricevuto ancora nessun compenso per il 2015). Ai ritardi, purtroppo, si aggiunge l’incertezza; non si sa quando e se le cose si risolveranno. Abbiamo deciso di non essere troppo puntigliosi, di dare la priorità a fare le cose, e le abbiamo fatte; però, inutile negarlo, il mix micidiale di pagamenti in forte ritardo, totale mancanza di certezze e ostacoli amministrativi hanno logorato lo spirito del mio team. Dopo la doccia di adrenalina di SCRIPTORIVM e TEDx, dopo le vacanze estive, avevamo in mente una chiusura di progetto molto ambiziosa, ma non siamo (ancora) riusciti a concretizzarla.

La fine di OpenPompei era prevista per la fine di ottobre 2015; a quella data tutti i nostri contratti sono andati in scadenza. Studiare Sviluppo ha chiesto e ottenuto una proroga a fine gennaio 2016 per terminare il progetto con ordine; ha inoltre proposto al mio intero team una proroga dei rispettivi contratti per lavorare su una seconda linea di attività di OpenPompei, che si chiama “azioni territoriali”, e di cui io non sono, nè sono mai stato, responsabile (anzi, non ne so praticamente niente). Anche se mi sembra una buona idea in generale, per quanto mi riguarda ho rifiutato la proroga, perché non mi sento di accettare responsabilità a fine progetto per una linea d’azione che non ho mai seguito, e perché non vedo la serenità amministrativa necessaria per lavorare bene.

Conclusione: io scendo qui. A partire dal 1 novembre 2015 non sono più il direttore scientifico di OpenPompei. Il lavoro fatto a novembre sull’evento di chiusura è stato lavoro volontario; non escludo di farne altro, ma non accetterò più pagamenti, nè responsabilità, per farlo. Il team di OpenPompei resta in sella con contratto prorogato, e sta decidendo su come chiudere il progetto. Continuate a seguire il blog per restare aggiornati.

L’ultima parola è: grazie. Grazie a tutte le persone con cui ho condiviso questa avventura entusiasmante e imperfetta. Impossibile ricordarle tutte. Ho già citato, ma voglio citare ancora, il “mio” team e Studiare Sviluppo, che ha portato la notevole responsabilità di fare da ponte tra il nostro piglio civic hacker e la pubblica amministrazione. Dal lato pubblica amministrazione sono particolarmente grato a Giampiero Marchesi, presidente dello Steering Committee del Grande Progetto Pompei, memoria storica e regista dell’intera policy governativa sull’area pompeiana dalla plancia del Dipartimento Politiche di Sviluppo (oggi Agenzia per la Coesione Territoriale); a Fabrizio Barca, vero ideatore dell’operazione al tempo in cui era ministro, e al suo staff; al Soprintendente Osanna e ai suoi collaboratori (spero che questi ultimi ci perdoneranno alcuni rapporti non proprio idilliaci; alla fine siamo tutti dalla stessa parte, la parte della cultura e della legalità). Un saluto militare al Direttore Generale del MIBACT responsabile del Grande Progetto Pompei, Generale Giovanni Nistri, e ai suoi collaboratori: per merito loro, tutti noi a OpenPompei siamo diventati fans sfegatati dell’Arma. Menzione speciale per il tenente-civic hacker Emanuele Riganelli, che ha sfidato il fuoco nemico un giorno sì e l’altro pure nel nome di trasparenza, legalità, e open data. Dal lato associazionismo e archeologia open, mi vengono in mente Eric Poehler e il Pompeii Bibliography and Mapping Project, Julian Richards e l’Archaeological Data Service, il progetto MAPPA dell’Università di Pisa, la conferenza Computer Applications in Archeology, Wikimedia Italia, Libera, Open Knowledge Foundation Italia, MappiNa, OnData, Spaghetti Open Data, Wikitalia, Monithon, e sicuramente ne dimentico molte altre. Grazie a tutti voi, esco da questa esperienza un po’ più civic hacker, un po’ più esperto di politiche pubbliche, un po’ più ricco di relazioni e del sapere che mi avete regalato. Conosco Pompeii molto meglio di prima, e la sento molto più mia.

E ho capito questo: la strada di OpenPompei è difficile, ma giusta. Ha senso occuparsi di beni culturali dal lato open data, trasparenza e civic hacking. Soprattutto al Sud. Intendo continuare a occuparmene in futuro, anche come presidente di Wikitalia.

I dati di budget di OpenPompei sono pubblicati come open data sul sito di Open Knowledge Foundation. Li trovate qui: ho chiesto che vengano aggiornati, spero che il mio ormai ex gruppo provveda rapidamente.

Photo: Marco Giacomassi

Dettare l’agenda: come la comunità open data è entrata nel radar delle politiche europee

Il 17 luglio, intervenendo all’Open Knowledge Fest a Berlino, il commissario europeo Neelie Kroes ha fatto la seguente affermazione:

Vogliamo lavorare con voi, e vedervi lavorare insieme attraverso i confini geografici e linguistici. Abbiamo messo in piedi Erasmus per gli Open Data per sostenere questo, e cominciamo da un evento a Nantes, Francia, in settembre. Ma se avete un’idea per altre cose che potremmo fare, fatecelo sapere! – fonte

Normalmente non presto attenzione agli annunci, ma questo è arrivato davvero in fretta. Per quanto ne so, l’idea di un Erasmus per gli open data non esisteva nemmeno prima di aprile 2014. Un’idea passata in tre mesi dalla prima apparizione in un blog privato alla rampa di lancio in quanto policy della prima economia al mondo, credo, non ha precedenti. Cosa sta succedendo?

Riassunto delle puntate precedenti.

  1. Il 7 aprile, a seguito del raduno di Spaghetti Open Data, scrivo un post in cui propongo un programma simile a Erasmus per gli open data. L’idea è di costruire relazioni orizzontali per connettere le comunità open data, oggi largamente nazionali, in una comunità di livello europeo. Il post innesca una piccola discussione con alcuni attivisti di altri paesi europei, come Ton Zijlstra in Olanda e Martìn Alvarez in Spagna.
  2. l’8 luglio ricevo un’email dall’associazione francese LiberTIC. Con il sostegno della città di Nantes, sta organizzando una conferenza pensata come la rampa di lancio di una futura iniziativa di Erasmus Open Data. Il gruppo di EPSI platform è coinvolto in modo attivo. La Commissione Europea parteciperà, probabilmente rappresentata dal project officer di EPSI platform stessa. Per mostrare che si fa sul serio, LiberTIC ha perfino destinato un piccolo budget al rimborso dei costi di viaggio verso Nantes di alcuni dei partecipanti. Con la solita generosità, Spaghetti Open Data ha già risposto alla sfida – vi prometto che la comunità italiana sarà ben rappresentata a Nantes.
  3. Con il discorso del 17 Kroes ci fa sapere che anche lei fa parte del percorso. Trovo straordinario che un’iniziativa così piccola sia arrivata alla sua attenzione: qualcuno a DG CNECT (forse il team EPSI?) sta facendo un ottimo lavoro nel vendere l’idea alla gerarchia.

Può darsi che avremo il nostro Erasmus Open Data. O forse no. Comunque vada a finire, una cosa è chiara: se un tipo qualunque come me può proporre un’idea dal suo blog personale in aprile e ascoltare un commissario europeo offrirle tutto il suo sostegno a luglio, significa che la comunità open data sta dettando l’agenda. Ci siamo, e facciamo cose interessanti con i dati, e tutti lo sanno. Siamo noi che parliamo con le agenzie governative che devono scrivere le leggi e le linee guida, e che spesso le scriviamo per loro. Possiamo mobilitarci rapidamente ed efficacemente – la stessa LiberTIC ha messo insieme una conferenza internazionale in due mesi. tutti sanno che, semplicemente, non si può fare open data senza una comunità forte e indipendente, con una forte presenza di società civile e settore privato.

Quindi, l’Europa sta molto attenta a quello che facciamo. E ci sono segni che anche lo Stato italiano sia in ascolto, al di là dei soliti balletti e dell’attenzione al breve termine.  Sarebbe un peccato sprecare questa opportunità per arricchire il nostro mondo di un po’ di trasparenza e conoscenza data-powered. Ma io credo che la comunità sia pronta, e che l’opportunità non sarà sprecata.

Nel frattempo, signora Kroes, grazie del suo supporto. C’è un piccolo errore in quella parte del suo discorso (“Abbiamo messo in piedi…”): Erasmus per gli open data è, a oggi, un’iniziativa della comunità, non dell’unione europea. Ma non è grave; non siamo gelosi, e adesso l’idea è pubblica e tutti possono contribuirvi e migliorarla. Venga a Nantes, sarà la benvenuta, sia in forma ufficiale che in forma privata. Se viene in forma privata, ci mandi una mail: ci sarà codice da scrivere, dati da pulire, pizza e esperienze da scambiarci. Ci siederemo insieme a rifare qualche sito dell’UE, e ci sarà da divertirsi.

Vieni con noi Nantes per la conferenza Erasmus Open Data

Gli open data diventano grandi

Se abiti in Italia e sei curioso di quanto e come spende (e tassa) il tuo Comune, è il tuo giorno fortunato. Dalla settimana scorsa, OpenBilanci pubblica in rete i dati finanziari dettagliati degli ultimi dieci anni su tutti gli 8,092 comuni italiani. Sono disponibili sia i dati di preventivo che quelli di consuntivo, così come indicatori di performance come autonomia finanziaria e velocità di spesa. Non solo tutti i dati sono in formato aperto e scaricabili: Open bilanci ha anche un’elegante interfaccia web per l’esplorazione preliminare dei dati. Interfacce simili si trovano anche in altri progetti open data italiani, come l’ammiraglia OpenCoesione, che espone dati di spesa su 749,112 progetti finanziati dalle politiche di coesione. Questo non sorprende: OpenCoesione è un progetto pubblico, OpenBilanci è nonprofit, ma la stessa squadra di sviluppatori visionari li ha montati entrambi, usando a volte un’associazione, altre volte un’impresa.

Nello spazio di pochi anni, i dati aperti sono diventati una forza formidabile per l’apertura, la trasparenza e perfino la data literacy in un paese che ha molto bisogno di tutte e tre. Funzionari pubblici lungimiranti in alcune Regioni (e qualche città) lavorano ormai normalmente insieme ai civic hackers: OpenBilanci è stata finanziata dalla Regione Lazio attraverso la sua politica per l’innovazione rivolta alle PMI, mentre l’Emilia-Romagna ha costruito una solida alleanza con la più grande comunità italiana civic hacker, Spaghetti Open Data. Con una mossa elegante, la città di Matera ha deciso di ospitare sul proprio portale open data anche , purché aperti, e così incoraggia una cultura del dato aperto.

Quando le autorità pubbliche non cooperano, i civic hackers italiani semplicemente si aprono i dati pubblici da soli. Uno dei miei progetti preferiti in questo campo è Confiscati bene, nato durante un epico hackathon di Spaghetti Open Data. Il gruppo ha scritto un programma per scaricare tutti i dati (non aperti) contenuti sul sito dell’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata. Li ha ripuliti, georeferenziati, resi scaricabili, costruito una bella interfaccia web di esplorazione, messi su un elegantissimo sito nuovo di zecca e regalato il tutto a ANBSC. Anche OpenBilanci è stato costruito a partire dallo scraping di oltre due milioni di pagine web.

La scena italiana è quella che conosco meglio, ma progetti open data interessantissimi appaiono dovunque. Il mio preferito in assoluto è inglese: OpenCorporates raccoglie dati su oltre 60 milioni di imprese di tutto il pianeta. Usando identificatori unici e informazioni sugli assetti proprietari, OpenCorporates porta un po’ di luce sul mondo delle imprese, che ha molti meno obblighi di trasparenza del settore pubblico. Questa visualizzazione interattiva basata su OpenCorporates, per esempio, vi insegnerà molto su Goldman Sachs.

Il movimento open data, pare, è diventato grande. È successo molto in fretta: in meno di quattro anni siamo passati da ristretti circoli di nerd che si entusiasmavano per il discorso “raw data now” di Tim Berners-Lee a una comunità forte e numerosa (siamo quasi mille sulla mailing list di Spaghetti Open Data, e maciniamo una media di venti messaggi al giorno, 365 giorni all’anno) e una falange di giovani decisori che conoscono il tema e sono a stretto contatto con la community. Sono orgoglioso di voi, sorelle e fratelli d’arme. E il meglio deve ancora venire: probabilmente verrà quando ci riuniremo da tutta Europa, e sono sicuro che succederà presto perché i tempi sono maturi. Chissà, la cultura dei dati potrebbe perfino riuscire a spostare la politica europea dalla retorica populista al dibattito basato sui fatti.