Oggi mentre leggevo “Che cos’è l’architettura? – intervista a Renzo Piano” mi sono imbattuto in questo passaggio:
“…circola il malinteso che per creare ci voglia una libertà totale, ed è la più grande sciocchezza che si possa credere. Perchè su questa base si cresce con l’idea che se non si è liberi, allora si ha un alibi per dire: “Non ci riesco”.
Questa era precisamente la poetica dell’Oulipo, di cui Calvino era membro: che a stimolare la creatività è la presenza delle costrizioni, e non l’assenza di regole.
“E la stessa cosa succede non solo nella letteratura, o nella musica, ma anche nel quotidiano. Ad esempio, vedo con piacere che lei prende appunti su un quaderno a quadretti: davanti a un foglio bianco uno è completamente perso, ma con le righe è già meglio, e coi quadretti ancora meglio. E la matematica è tutto uno struggersi, una disperata ricerca di un inquadrettamento, appunto, come àncora di salvezza. […]
Non si dice sempre, però, che gli architetti sono completamente liberi nel progettare, mentre è agli ingenieri che tocca dover pensare alle costrizioni?
Sì, ma è la classica scemenza. La verità è, invece, che l’ispirazione corretta nasce subito ancorata. E la matematica è questo sostanziale bisogno di ancoraggio, che naturalmente va di pari passo con la voglia di disancorarsi. […]
Non so, ma a me i progetti architettonici così come li descrive Piano (avventure di conoscenza e ad un tempo rispetto e cambiamento dei luoghi e della loro storia – mi riferisco soprattutto al libro “La responsabilità dell’architetto“) ricordano molto i progetti di sviluppo locale…