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La carica dei wikicratici


È suonata l’ora dell’open government in Italia. Come molti fenomeni nel nostro paese, non è immediatamente evidente perché parte dalla periferia e si diffonde a macchia di leopardo, invece di essere avviate da una decisione strategica dello Stato centrale come è avvenuto negli USA e nel Regno Unito. In questa fase sembra che i soggetti più vivaci siano le città: basta guardare ePart a Udine), Karaliscrazia a Cagliari, Wikicrazia a San Benedetto del Tronto. Si attendono le mosse della nuovissima giunta di Milano: nel frattempo sia il sindaco Giuliano Pisapia che, soprattutto, l’assessore all’Expo Stefano Boeri (molto attivo su Facebook) continuano a intrattenere una conversazione serrata con i loro sostenitori sui social media.

Scavando un po’, però, si capisce che la vera protagonista di questa fase dell’open government italiano è la società civile. L’iniziativa di San Benedetto parte da un gruppo di cittadini e dal quotidiano Riviera Oggi; a Cagliari le iniziative sono addirittura due, entrambe di matrice società civile (oltre a Karaliscrazia c’è l’Ideario per Cagliari); a Milano, le aperture verso il governo aperto esercitato con strumenti internet sono spinte dell’associazione GreenGeek, che si è mostrata in grado di convogliare verso la collaborazione istituzionale una buona parte dei cittadini connessi che hanno partecipato alla campagna elettorale dell’attuale sindaco (a Udine, invece, l’iniziativa ePart è stata presa dalla giunta). Le giunte, più che prendere iniziative, stanno reagendo alle iniziative dei cittadini. La via italiana all’open government, quindi, è caratterizzata da una doppia anomalia: si svolge più a livello locale che a livello centrale, e la società civile vi svolge un ruolo guida che non mi risulta avere precedenti negli altri paesi.

Altre città seguiranno. Ogni settimana vengo contattato da persone, gruppi e amministrazioni che vogliono lanciare iniziative di collaborazione tra cittadini e giunte; mi chiedono un confronto, mi invitano a iniziative pubbliche. Mi sento onorato e un po’ commosso dal fatto che molte di queste persone usino il mio libro Wikicrazia come un manuale di istruzioni: un libro che non solo ti informa, ma ti abilita a fare.

Questa ricchezza di partecipazione è una risorsa straordinaria, ma nasconde un rischio: quello che gli amministratori si sentano messi alle corde, e percepiscano come una forzatura quella che dovrebbe essere una collaborazione naturale. Il mio primo consiglio alle persone che stanno cercando di costruire esperienze wikicratiche nelle loro città e mi chiedono “come facciamo?” è sempre lo stesso: avete bisogno di coinvolgere il sindaco o la giunta, e preparatevi a modellare l’esperimento in modo che loro ci si ritrovino a loro agio, anche se questo comporta rinunciare ad alcune delle vostre idee. Certo, i cittadini hanno tutto il diritto di fare proposte in autonomia; ma fare proposte non è open government. Per fare open government deve esserci una collaborazione esplicita tra cittadini e amministrazioni: queste ultime detengono la legittimità democratica necessaria a prendere e attuare decisioni che, necessariamente, riguardano tutti i cittadini, anche quelli che non partecipano al processo.

Nei prossimi mesi mi riprometto di dare spazio su questo blog alle tante esperienze di governance collaborativa a livello locale in preparazione o in atto in Italia e all’estero. Le passerò anche un po’ ai raggi X, per distillare le idee migliori da tutta questa energia civica. Se ne conoscete qualcuna e avete voglia di propormela, ve ne sarò grato; mi trovate su questo blog, sui principali social network o all’email alberto[chiocciola]cottica[punto]net.