Con la conferenza Living On The Edge, altrimenti detta #LOTE, la squadra di Edgeryders al Consiglio d’Europa stava cercando di colpire più bersagli con una stessa freccia. Bersaglio numero uno: cominciare a condensare la massa di dati etnografici sulla transizione dei giovani europei che il progetto ha raccolto, per ottenerne una sintesi utilizzabile. Anche prima della conferenza avevamo raccolto oltre 400 storie di transizione, con 3000 commenti da oltre 1000 persone: una big picture è indispensabile per orientarsi. Bersaglio numero due: sperimentare una versione offline della delicata interfaccia tra comunità e istituzioni. Possiamo progettare un formato che sia i più radicali e brillanti tra i giovani europei sia politici e funzionari pubblici trovino significativo e appagante? Bersaglio numero tre: farsi un’idea del potenziale virale di progetti cutting-edge come Edgeryders all’interno delle istituzioni che li promuovono – ma poi devono cederne il controllo, almeno in parte, alle comunità che li usano se vogliono avere successo. Come reagiranno le istituzioni al protagonismo di cittadini che vogliono influenzare questi progetti? Con uno shock anafilattico e il rigetto del trapianto? Ignorandoli? Traendone ispirazione?
Colpire il bersaglio numero uno era relativamente facile: avevamo mirato con molta cura. Edgeryders è progettato con supporto nativo per l’indagine scientifica. L’infrastruttura legale è tale che tutto ciò che produce ha licenza Creative Commons-attribuzione, e quindi può essere riutilizzato e condiviso legalmente e in tutta sicurezza. Un Privacy Manager (volontario membro della comunità), neodynos (grazie!), controlla che il nostro condividere non comprometta il senso di sicurezza che uno spazio pubblico come Edgeryders dovrebbe avere. Estraiamo dati per l’analisi di rete direttamente dal database, attraverso un modulo di Drupal che si chiama Views e uno script di estrazione in Ruby scritto da Luca, mio collaboratore al progetto Dragon Trainer (grazie!) (github). Stiamo facendo – nel nostro piccolo, ma orgogliosamente – open science. Il resto è solo implementazione.
Il bersaglio numero due è stato difficile. Mentre progettavamo il programma della conferenza, ammetto che a volte ci siamo sentiti un po’ limitati. Per fortuna i miei colleghi al Consiglio d’Europa – e specialmente Gilda Farrell, il direttore della divisione per cui lavoro– sono stati negoziatori pazienti anche se tenaci, e ci hanno spiegato che sì, abbiamo davvero bisogno di un discorso di apertura, e tre di chiusura. E che è importante assicurarsi che diverse istituzioni siano rappresentate, e che vi sia equilibrio di genere e nazionalità tra gli oratori. È un problema di legittimità, e una conferenza in cui le istituzioni non fossero sufficientemente visibili avrebbe mandato il segnale, sbagliato, che stessimo solo giocando mentre gli adulti si occupavano del lavoro serio di progettare le politiche pubbliche.
Ha funzionato, però. Ha funzionato quasi troppo bene. La sala era pienissima, con gente che arrivava da tutta Europa, ma anche da posti come il Sudafrica o gli Emirati Arabi Uniti. L’impronta online era assolutamente fuori scala – penso sia la prima volta che un evento del Consiglio d’Europa diventa trending topic su Twitter. Il Twitter wall ha funzionato benissimo. Ci sono stati disaccordi, e opinioni espresse in modo franco, ma sempre con rispetto. Tutti quelli con cui ho parlato – sia dal lato della comunità che da quello istituzionale – hanno molto apprezzato, e hanno imparato molto. La comunità è tornata a casa super-energizzata, e si è messa con entusiasmo a fare le cose più avanzate che abbia visto fare finora a un progetto pubblico. Basta guardare DemSoc, che guida la scrittura collaborativa di una “lettera ai finanziatori” che propone un negoziato per riscrivere le regole di allocazione per i fondi pubblici in modo da renderli più efficaci e equi. O Nadia, che collauda la vita senza denaro, guidata dal moneyless sensei Elf Pavlik. Il Consiglio d’Europa si è comportato magnificamente, dimostrando attenzione e apprezzamento per i giovani europei che avevano fatto lo sforzo di raggiungere Strasburgo e contribuire al progetto. Quando gli addetti alla sicurezza hanno accettato di fare entrare Elf – che non crede negli Stati e si rifiuta di usare documenti di identità, ho capito che la battaglia culturale era vinta. Ho imparato due cose: che un’istituzione e un gruppo di cittadini autoselezionati possono intrecciare una conversazione utile ed entusiasmante offline; e che una socializzazione online precedente è necessaria perché quella conversazione non si disintegri tra polemiche sul processo e sulle definizioni.
Quanto al terzo bersaglio, non ho tutte le informazioni, né l’autorità di parlare a nome del Consiglio d’Europa o di qualunque altra istituzione. So che Edgeryders, che ha cominciato come un progetto assolutamente periferico, un po’ di denaro e un paio di contratti a tempo ai margini dell’organizzazione, è entrata nel radar dei decisori del livello più senior; e che si sta riflettendo su un prototipo per usare una metodologia stile Edgeryders per dare input a conferenze ministeriali sui temi più diversi. Questo era prima di #LOTE: il giorno dopo abbiamo ricevuto due nuove proposte – una delle quali è di chiedere alla comunità di consigliare le città europee su come condurre la lotta alla povertà. Abbiamo sfondato una porta, e il Consiglio d’Europa sta esplorando lo spazio oltre la soglia.
Se fossi più bravo ad autopromuovermi, a questo punto vi racconterei quanto è stato difficile, e come abbiamo eroicamente superato ostacoli enormi. Il senso di questo racconto sarebbe che io sono molto intelligente, e fareste bene a pagarmi molto per lavorare con voi. Ma purtroppo io non sono affatto bravo ad autopromuovermi, e la verità è che fare tutto questo è stato facile in modo quasi imbarazzante. Naturalemente abbiamo dovuto lavorare come schiavi, ma questo è più una conseguenza dei tempi serratissimi (sette mesi dal lancio a #LOTE) che non del lavoro in sè. Non c’è stato bisogno di nuova regolamentazione. Non c’è stato bisogno di un cambio di leadership. Non c’è stato bisogno di innovazione, a meno di un po’ di cosmesi su Drupal e qualche linea di Rails. Non c’è stato bisogno nemmeno di una esecuzione impeccabile: abbiamo fatto molti errori, io più di tutti. Tutto quello che ci è servito è integrità morale, un atteggiamento rispettoso e inclusivo, e il riutilizzo intelligente dell’infrastruttura amministrativa del Consiglio d’Europa. Saprei rifarlo. Sapreste rifarlo anche voi.
Questo è un motivo per essere, cautamente, ottimisti. In generale, non potevo chiedere di più al mio anno da eurocrate, che ora è finito.