Tag Archives: trasparenza

Spaghetti open data (Italiano)

Tanto per cambiare, una buona notizia dall’Italia: la scena degli open data – database pubblici resi accessibili ai cittadini, che possono utilizzarne i contenuti come desiderano – comincia a muoversi anche da noi. Si muove come un po’ tutto in Italia, cioè alla spicciolata: non esiste una iniziativa trasversale come data.gov o data.gov.uk, non so se sia in programma ma francamente mi stupirei. Esistono, invece, le avanguardie. In questi mesi ho notizia di due operazioni: uno è il sito della Regione Piemonte, dati.piemonte.it. I database sono ancora pochi e soprattutto poco rilevanti: le codifiche degli stati esteri le trovo su Google in qualunque momento, quello che mi piacerebbe vedere sono statistiche sulla spesa dell’ente Regione, sulla sanità, sulla dispersione scolastica, sulla raccolta differenziata etc., in modo da potere confrontare territori. Ad ogni modo è un inizio, e c’è anche una rassegna degli usi che i cittadini fanno di questi dati.

La seconda operazione è stata fatta dalla Ragioneria Generale dello Stato. Qui i dati sono davvero sugosi: i bilanci preventivi e consuntivi e i trasferimenti alle ammministrazioni regionali e locali 2007-2010. Per capire davvero la discussione sui famosi tagli di bilancio, non c’è niente di meglio di scaricarsi i dati e giocarci un po’, magari producendo qualche bel grafico colorato. La RGS fornisce anche una guida alla costruzione di tavole di sintesi usando Excel.

Questa è una bella opportunità per i civic hackers di cui parla sempre David Osimo. Non c’è più bisogno di fidarsi (o di non fidarsi, che è lo stesso perché comunque la nostra opinione finisce per dipendere da una fonte giornalistica che non possiamo verificare): quando sentiamo dire “lo Stato non investe in cultura”, “la spesa sanitaria è fuori controllo” o “stiamo mandando la scuola pubblica in malora” possiamo controllare di persona, accedendo ai dati, filtrandoli e mettendoli in fila per vedere se è vero, e condividere con gli altri le nostre conclusioni. Anche così crescono le democrazie (e le Wikicrazie).

Spaghetti open data

An unusual piece of good news from Italy: the local open data scene – open data are databases owned by the public sector that are made accessible to the general public for reuse and remix – is starting to take off. It does so like everything gets done in Italy, in an irregular fashion, with different authorities doing different things. There is no all-encompassing initiative, no dat.gov or data.gov.uk; I am not aware of one being planned, and if it were I’d be surprised. What there is episodes, early adopters, forward looking people who get stuff done as much as it is in their power to. Lately I got wind of two initiatives: one is the Piemonte region data website, dati.piemonte.it. Its available databases are still few, and not very relevant: I don’t care about local food markets, and foreign states codes I can find on Google anytime, what I’d like to see is data on the regional administration’s expenditure, on health care, waste recycling etc., so as to be able to compare across towns and provinces. But it’s a start, and there’s a survey of how citizens are using the data.

The second initiative comes from the State’s Accounting Service. Here the data are real juicy: the state’s budget and balance sheet AND the transfers to regional authorities for financial years 2007 to 2010. If you really want to understand the discussion about budget cuts, nothing better than download the data and play around, maybe producing some nice colourful chart as an added bonus.

This is a wonderful opportunity or the civic hackers David Osimo likes to talk about. We don’t need to take things on trust anymore (or to mistrust them, which amounts to the same thing because we are still unable to form our opinions autonomously); when we hear that “health care expenditure is out of control” or “this government is cutting culture’s life support” we can actually download the data and do the math to see for ourselves how much truth there is in those statements, and share our conclusions with our peers. This way, too, do democracies grow and thrive.

La wikicrazia può funzionare?

In questi giorni, come vi preannunciavo, mi sono dedicato a riscrivere Wikicrazia (è la quarta volta!). Ho riletto attentamente tutti i commenti che mi sono arrivati (quasi 200, contando le mie risposte): complimenti a parte, la maggior parte contengono correzioni o proposte di integrazione su punti specifici. Ci sono però anche — e per fortuna — alcune critiche “di sistema”, cioè critiche che, se accettate, renderebbero inutile tutto il ragionamento. Le posso dividere in due filoni; per chiarezza espositiva mi permetto di esagerare un po’ e chiamarli, rispettivamente, “antidemocratico” e “benaltrista” (seguite i links ai commenti, in cui gli autori esprimono le loro critiche in modo più assennato).

Filone antidemocratico: le persone sono facili da influenzare, e anche la democrazia in fondo è una cosa troppo seria per lasciarla fare al popolo. La wikicrazia non è un correttivo perché non porta alla convergenza alla soluzione “più saggia”. Questa preoccupazione è esposta da Francesco Silvestri, Paolo (che scrive in prima persona plurale, perché affiancato dal suo e mio amico Stefano) e Tito. Mi scrive Paolo in una mail (niente paura, mi ha autorizzato a pubblicarla):

Tu sostieni che se c’è abbastanza gente che guarda si correggono gli errori, e citi il caso di Linux e di Wikipedia. Bene, hai ragione. Nel caso di Linux, c’è un gruppo, una rete di tecnici con uno scopo preciso e condiviso, gli errori, se così posso dire, sono dello stesso ordine dell’obiettivo, se non si eliminano l’obiettivo non può essere raggiunto. […] Nel caso delle politiche gli errori e i dati, sono di ordine diverso dalle conclusioni, l’importante è che tutto suoni bene […] Dunque, non si guardano e non si trovano errori, se si trovano la cosa non è troppo importante per il dibattito.

Filone benaltrista: la wikicrazia è un gingillo carino, ma se i governanti sono ottusi e corrotti nulla può. Questo è un tema saltato fuori più volte; due commenti in cui si vede bene sono il precedente commento di Paolo (si legga la parte dove si parla dei rifiuti in Campania) e uno di Giuseppe Paruolo (che è anche l’unico contributo alla discussione lasciato da un politico: Giuseppe, un informatico, è stato assessore comunale a Bologna). Scrive Giuseppe:

Credo sia illusorio pensare che un approccio wiki possa di per sè impedire malgoverno o malafede […] La buonafede di chi governa è un prerequisito indispensabile.

Prendo molto sul serio tanto le critiche quanto le persone che le esprimono, che stimo. Ma non sono d’accordo.

Agli “antidemocratici” c’è un’obiezione facile: nemmeno la democrazia rappresentativa garantisce che si faccia sempre la scelta più saggia: anzi, sappiamo da Churchill che essa è “il peggior sistema di governo mai inventato… salvo tutti gli altri”. Tuttavia rimango abbastanza sereno, la storia ci ha mostrato che i despoti illuminati possono vincere qualche partita, ma il torneo lo vincono sempre le democrazie, con tutti i loro difetti: allargare il novero di coloro che esercitano potere e influenza sembra garantire risultati migliori. Ma c’è anche un’obiezione specifica, ed è che, invece, nella mia esperienza il consenso emerge quasi sempre. Non sono le persone a convergere, ma le conversazioni: cioè, nessuno che sia veramente convinto di una cosa cambia idea, ma chi si avvicina al processo in modo abbastanza laico vede emergere una posizione nettamente più convincente delle altre. In genere succede che a un certo punto qualcuno propone una cosa e tutti si mettono a discutere della proposta, ignorando completamente le posizioni precedenti (e magari contrapposte). Il messaggio è chiaro: quelle posizioni, semplicemente, non hanno trazione, e quindi non hanno legittimità. Certo, chi le sostiene può continuare a spingerle, ma otterrà solo di irritare gli altri: ha già detto la sua, la discussione è andata avanti, cosa vuole ancora? Se le decisioni sono tanto più legittimate quanto più sono partecipate, il dissidente si trova perdente in una discussione fortemente legittimata.

Ai “benaltristi” rispondo che, in un ambiente informativamente trasparente e in cui l’attenzione è una risorsa abbondante le rogne saltano fuori prima o poi e il malgoverno diventa più difficile. La versione finale di Wikicrazia riporta questo esempio canadese, in cui una politica di open data ha permesso di scoprire 3 miliardi di dollari di evasione fiscale (la scoperta l’ha fatta un cittadino, non l’agenzia delle entrate). Mi viene in mente il passo famosissimo in cui Adam Smith scrive che noi non ci affidiamo alla benevolenza del macellaio per mangiare, ma alla sua capacità di fare il proprio interesse; non vedo perché la cosa non dovrebbe valere anche per i politici e i governanti. Non chiediamo loro di essere santi o eroi, ma persone ragionevolmente intelligenti che agiscono in un ambiente che fornisce loro gli incentivi giusti.

Troppo ottimista? Forse. Ma in Wikicrazia ho deciso di non lasciare nessuno spazio alla lamentazione e al cinismo, al “governo ladro” e al vaffa. Sono posizioni che comprendo e rispetto, ma in questa fase scelgo di non farle mie e di concentrare i miei modesti sforzi su ciò che possiamo migliorare qui e adesso, senza aspettare cambiamenti sistemici o rinnovamenti culturali. E senza scuse.