Finora le politiche wiki sono state poco più di un esperimento interessante. Sono nate e cresciute ai margini dell’azione di governo “vera”, quella di cui si occupano i leader più importanti e le macchine amministrative più potenti e prestigiose. Ma i primi risultati di questo esperimento sono incoraggianti. Cosa succederebbe se questo modo di prendere decisioni collettive, e di realizzarle, diventasse una modalità normale per l’azione di governo? Che tipo di governo, e di governati, vi corrisponde? In questo capitolo e nei due che lo seguono tentiamo di dare una risposta a queste domande.
Le politiche wiki promettono risultati notevoli per l’azione di governo al tempo della rete. Ma a quale prezzo? Fino a che punto si possono innestare sulle autorità pubbliche che ci sono? La loro adozione richiede riforme profonde, e quali? Gli studiosi di organizzazione aziendale sottolineano che le imprese devono modificare la propria cultura per poter cogliere le opportunità offerte dalla produzione collaborativa in rete. Per le pubbliche amministrazioni il problema è lo stesso, e ce n’è un altro: che spesso le loro procedure operative sono regolamentate da strumenti giuridici. Per riformare l’organigramma dello Stato italiano, al ministro Franco Bassanini non è bastato scrivere un memo che dice “da oggi si fa così”. Ha dovuto scrivere progetti di legge e convincere il Parlamento ad approvarli, e la cosa ha richiesto diversi anni; inoltre, una volta formalmente conclusa, la sua azione di riforma ha avuto e continua ad incontrare molti ostacoli nel dispiegare completamente i suoi effetti. Quindi è opportuno chiedersi come funziona oggi la macchina amministrativa, e se essa è in grado di porre in essere politiche wiki.
Il governo prima del remix: gerarchie e confini amministrativi
Le amministrazioni pubbliche, è quasi banale dirlo, sono diversissime tra loro. Il mio interesse per le politiche pubbliche mi ha portato in questi anni a frequentare ambienti e persone davvero di tutti i tipi, e alcuni di questi sono raccontati in questo libro. Quindi ci sono eccezioni, e anche eccezioni alle eccezioni, ma resta vero che c’è una regola che resiste, e questa regola è la burocrazia.
Burocrazia è una parola connotata negativamente nel linguaggio comune: qualcosa di noioso e pesante. I sociologi, però, sono consapevoli delle proprietà positive della burocrazia. Max Weber, padre degli studi moderni su questo fenomeno, ritiene che la burocrazia sia la forma organizzativa che realizza ciò che egli chiama il potere legale, cioè quello detenuto in virtù di norme impersonali, stabilite razionalmente per realizzare valori e obiettivi che una comunità si dà. Le burocrazie – almeno in teoria – sono costituite da individui mossi da un astratto senso del dovere, reclutati sulla base delle loro competenze, i cui ambiti di intervento sono regolati da norme scritte. Sono impersonali come dovrebbe esserlo la legge, e si basano sul calcolo razionale, quindi sono imparziali ed efficienti. Insomma, una gran noia. Infatti non sembrano piacere a nessuno, neanche allo stesso Weber – la loro incapacità di dare ai problemi risposte creative e il loro carattere disumanizzante erano piuttosto chiari anche ai suoi tempi – che però pensa che siano “semplicemente inevitabili”1.
L’organizzazione delle autorità pubbliche, dunque, è quasi sempre di tipo burocratico. Il totale dei compiti che esse devono svolgere viene suddiviso sulla base, appunto, delle competenze necessarie per svolgerli: la difesa verrà svolta dai soldati, la sanità dai medici, la scuola dagli insegnanti e così via. Queste persone vengono coordinate con una burocrazia strutturata come una piramide. Per esempio, al momento in cui scrivo lo Stato italiano è articolato in ventidue ministeri. Il ministero dello Sviluppo economico, nave madre di Kublai, si occupa di politiche di sviluppo e coesione, prezzi, energia, ricerca e sviluppo. È suddiviso in quattro dipartimenti, ognuno dei quali è suddiviso in direzioni generali. Quindi, un singolo problema che riguarda il governo italiano viene instradato verso un ministero, da lì incasellato in un dipartimento e infine appoggiato sulla direzione generale competente. I direttori generali coordinano il lavoro dei singoli funzionari alle loro dipendenze; i capi dipartimento coordinano i direttori generali; i ministri, assistiti dai propri staff, coordinano i capi dipartimento; e il presidente del consiglio coordina i ministri. I direttori generali coordinano il lavoro dei singoli funzionari alle loro dipendenze; i capi dipartimento coordinano i direttori generali; i ministri, assistiti dai propri staff, coordinano i capi dipartimento; e il presidente del consiglio coordina i ministri.
Questa divisione del lavoro per competenze si incrocia in alcuni paesi – tra cui l’Italia – con una per territori. Laddove la tradizione di governo locale è forte, gli stati-nazione si suddividono in unità amministrative più piccole, come i Lænder tedeschi o le regioni italiane. In questi casi alcune competenze, come la difesa nazionale, restano prerogativa esclusiva delle amministrazioni centrali, ma molte altre vengono attribuite a queste unità amministrative, ed esse si dotano di burocrazie che ripetono lo schema già descritto2 .
Ciascuna azione di governo in Italia trova quindi un confine di competenza e uno territoriale. Questa suddivisione aiuta la macchina amministrativa a scomporre la complessità di una società moderna in pezzi più piccoli e gestibili, senza contare i vantaggi di poter individuare facilmente un responsabile per ciascun pezzo. Così, di formazione professionale a Potenza si deve occupare l’assessorato al lavoro (competenza) della Regione Basilicata (territorio).
Ma naturalmente il mondo non funziona così. Non è sempre facile capire se, per dire, un grande festival come la Notte della Taranta sia di pertinenza della cultura (si fa spettacolo), delle attività produttive (è un’impresa, e produce ricchezza) o perfino del turismo (attira turisti nell’area e contribuisce alla comunicazione del territorio salentino nel mondo). Questo non è solo un problema astratto di classificazione: la ripartizione per competenza tende a collocare in mani diverse le diverse leve che potrebbero risolvere un problema. Per esempio, nel sistema italiano il ministro dell’Ambiente non può intervenire direttamente sulla politica energetica (è competenza del suo collega dello Sviluppo economico) né sulle politiche dei trasporti (in capo al ministro delle Infrastrutture), sebbene sia evidente a tutti che l’una e gli altri sono strumenti fondamentali per ottenere una buona qualità dell’ambiente. Allo stesso modo, il mondo reale ha la tendenza a ignorare i confini amministrativi. Se il piano regolatore di Sesto San Giovanni autorizza la costruzione di molte nuove abitazioni, il traffico a Milano aumenta.
L’approccio burocratico di divisione del lavoro per competenza e per territorio funziona bene per problemi relativamente circoscritti. Quando i problemi sono complessi e hanno un raggio d’azione ampio, però, le cose si complicano: ci sono territori diversi, ognuno con una propria amministrazione; e, anche all’interno della stessa amministrazione, autorità pubbliche diverse. Possono nascere conflitti di competenza, malintesi e divergenze strategiche, in cui non vi è accordo tra le diverse autorità su chi dovrebbe fare cosa, e a volte nemmeno sulle soluzioni desiderabili. In molti casi ne deriva un diabolico sovrapporsi di assessorati, competenze, veti, normative, in cui anche le persone più motivate e competenti rischiano di perdersi. I problemi complessi e ad ampio raggio d’azione, quindi, sono difficili da risolvere con l’approccio burocratico. Sfortunatamente, tendono a essere anche i più importanti per il nostro futuro comune.
Obiettivi, communities, interfacce
Le politiche wiki ignorano completamente questa doppia classificazione. Non c’è da stupirsene, perché la rete è fatta di link, di collegamenti tra i contenuti delle diverse pagine; e, cosa ancora più importante, i link li creiamo tutti noi. Chiunque abbia anche solo un profilo Facebook può associare mediante link qualunque argomento con qualunque altro semplicemente condividendoli sulla propria pagina personale. Per esempio, io posso condividere sul mio profilo Facebook un articolo di giornale sul riscaldamento globale e, subito dopo, un saggio che parla di investimenti in tecnologia per la generazione di energie alternative. Faccio questo perché penso che i due temi siano collegati: l’innovazione tecnologica nel campo delle energie alternative è un contributo alla soluzione del problema del riscaldamento globale. Risultato: tutti i miei contatti su Facebook vedranno l’accostamento dei due temi. Qualcuno di loro potrebbe essere indotto a riflettere sulla connessione fra i due argomenti, e magari, a condividere a sua volta gli stessi link, amplificando l’effetto di sottolineare questa connessione. E così via.
Centinaia di milioni di persone fanno proprio questo, utilizzando i blog e i social network. Il risultato: argomenti collegati tra loro da un punto di vista logico (per esempio l’ambiente e l’energia) sono anche collegati da molti link, così tanti che è naturale e immediato cominciare a interessarsi di uno e apprendere cose sull’altro. La discussione in rete è a tutti gli effetti impossibile da contenere nella classificazione ad albero propria delle burocrazie governative. Crea corto circuiti che scavalcano le strutture codificate. Mi pare probabile che, se le politiche wiki dovessero diventare una modalità amministrativa normale, le istituzioni pubbliche dovrebbero abbandonare questa classificazione per competenze e territorio, e organizzare le politiche in un’architettura per obiettivi, communities e interfacce.
Obiettivi
La ragione per cui penso questo è semplice. Le politiche wiki si fanno perché si desidera coinvolgere molte persone nella ricerca di una soluzione a un certo problema. È proprio questo il loro vantaggio: risolvono o attenuano la crisi di attenzione delle politiche pubbliche mobilitando su di esse l’intelligenza collettiva. Normalmente in rete ci si mobilita intorno a degli obiettivi. Le persone si attivano perché vogliono ottenere qualcosa, perché sentono che il loro contributo può portare a un risultato concreto, anche piccolo. “Ci troviamo sul sito di guerrilla gardening per piantare una nuova aiuola in via Palestro.” Gli obiettivi, dunque, forniscono alle politiche wiki un innesco e una direzione.
Gli obiettivi non sono affatto la stessa cosa delle responsabilità verticali che innescano l’azione di governo tradizionale. I primi tendono ad essere molto più circoscritti delle seconde: se il governo ha un’agenzia per la protezione civile, le politiche wiki attivano i cittadini per costruire una base dati in seguito al ciclone Katrina, come nel caso di Katrinalist; se il governo ha un ministero che si occupa di sviluppo economico, le politiche wiki generano progetti creativi di buon livello che possano essere accompagnati alle politiche di sviluppo, come nel caso di Kublai; se il governo fornisce assistenza sanitaria ai cittadini, le politiche wiki sollecitano, raccolgono e organizzano il feedback dei pazienti rispetto alla qualità dei servizi di cui fruiscono, come nel caso di Patientopinion3 .4
Alcune persone potrebbero trovare questi obiettivi troppo circoscritti. Come può una visione d’insieme emergere dalla combinazione di singoli approcci a singoli problemi? A mio parere, la risposta è ancora una volta nella capacità di associare problemi, concetti e soluzioni diversi che le persone esplicitano e condividono tutte le volte che creano un link. Per esempio, io sono molto visibile su Kublai: partecipo a molte discussioni, e molti dei suoi membri mi conoscono. Kublai ha un obiettivo specifico – quello di abilitare la scrittura di documenti che aiutino i creativi a comunicare i loro progetti – e la mia attività su quel social network è tutta indirizzata a quell’obiettivo. Però, naturalmente, il mio profilo su Kublai5 riporta informazioni su di me, compresi anche l’indirizzo del mio blog personale e i titoli dei miei ultimi post. Il mio blog si occupa prevalentemente di economia della creatività e – appunto – di politiche pubbliche wiki; è del tutto possibile che qualche kublaiano passi da una conversazione su Kublai, a cui partecipiamo insieme, alla mia pagina, e da questa al mio blog, dove può seguire i link a saggi che parlano di economia creativa o altri progetti di politiche wiki. Il fatto di interagire su Kublai apre a tutti noi che vi partecipiamo una finestra sul mondo di connessioni degli altri partecipanti: nel lungo termine, alcune di queste connessioni si affermeranno, diventando senso comune, come quella tra ambiente ed energia. Quando questo succede non è così importante che la politica wiki A (che si occupa di ambiente) faccia esplicito riferimento a un quadro comune che la lega alla politica B (che si occupa di energia). Questo quadro è implicito nella struttura delle connessioni condivise tra i partecipanti ad A e B: emerge dalle conversazioni in A e B, e a sua volta le influenza. I link sono il quadro. Naturalmente è essenziale che vi sia chi cerca di delineare il quadro generale, la bigger picture come si dice in inglese: ma non è così necessario che questo quadro sia una premessa dei singoli obiettivi assunti dalle politiche wiki. Più spesso sarà contemporaneamente una premessa e una conseguenza delle singole politiche, in un gioco continuo di rimandi e influenze reciproche.
Communities
Se gli obiettivi sono i cartelli indicatori che orientano le politiche wiki, le communities ne sono il motore. Sono esse a procedere verso l’obiettivo, e a determinare in larga parte il modo preciso in cui questo avanzamento avviene. Nell’azione di governo, gli obiettivi sono in genere determinati – almeno in parte – dal processo democratico, e quindi al di fuori delle communities stesse; le communities, invece, sono completamente autoselezionate e largamente autogestite. Sono l’elemento più bottom-up di questa architettura, e di conseguenza il meno controllabile da parte delle autorità pubbliche – anche se, come abbiamo visto, questo non è necessariamente un male. Ho trattato le communities in modo abbastanza approfondito nel capitolo 6, per cui non è necessario che mi dilunghi molto qui. Vorrei solo sottolineare ancora una volta che esse non sono, nel modo più assoluto, semplici sommatorie di individui che agiscono in vista di obiettivi propri, senza tenere conto gli uni degli altri. La distinzione tra community e sommatoria di individui ha delle conseguenze metodologiche molto importanti per le politiche wiki: ci ritorneremo nel corso di questo stesso capitolo.
Interfacce
Chiunque abbia avuto esperienza di comunità online ragionevolmente numerose e in buona salute sa che esse tendono a seguire una propria evoluzione, senza tenere minimamente in conto le intenzioni dei loro fondatori. È improbabile che Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, avesse previsto che i neonazisti europei avrebbero usato il “suo” social network per ritrovarsi (nel caso italiano, per organizzare campagne di odio nei confronti dei Rom); eppure questo è successo, e ha messo in grave imbarazzo l’azienda6 . Ma i gestori della piattaforma che serve da ritrovo per la community hanno uno strumento molto potente per influenzare la community nella piattaforma stessa, le cui funzionalità e il cui aspetto sono nelle loro mani. La piattaforma – il software, insomma – determina le modalità di interazione tra i singoli individui che compongono la community, e nel farlo esercita inevitabilmente una forte influenza sul contenuto delle interazioni stesse.
Il mio esempio preferito su come funziona questo meccanismo viene da Second Life, il mondo virtuale in tre dimensioni inventato e gestito da Linden Labs. Lanciata nel 2004, Second Life viene inizialmente colonizzata da esperti di media e di marketing e da semplici curiosi che vogliono esplorare e contribuire a costruire questo nuovo mondo. In tutta la prima fase l’unico modo di comunicare è via chat testo, digitando sulla tastiera del computer i messaggi per gli altri avatar. Nel maggio 2007 Linden Labs introduce la chat voce: diventa possibile parlare nel microfono del computer, e la nostra voce viene udita dalle persone i cui avatar sono vicini al nostro. Immediatamente nascono e si moltiplicano le scuole in Second Life: ora è possibile tenere una lezione senza la fatica di digitarla, frase per frase. Questo ha effetti sull’architettura (gli utenti costruiscono aule, con schermi giganti per le diapositive ecc.), sui contenuti della discussione, a cui viene aggiunto uno strato più intellettuale e scientifico; e perfino sulla struttura delle relazioni, perché le scuole che si occupano di un certo tema attirano allievi interessati a quel tema, che hanno modo di conoscere persone in Second Life che condividono con loro quello stesso interesse7 .
Ma non è finita qui. Quasi subito docenti e studenti delle scuole di Second Life hanno cominciato a usare gli strumenti messi a disposizione dalla piattaforma per arricchire e personalizzare l’esperienza di assistere a una lezione, o di tenerne una. Per esempio, in Second Life è possibile commentare in tempo reale con un altro studente ciò che il docente sta dicendo senza disturbare nessun altro, utilizzando un canale privato chiamato instant message. E gli studenti lo usano. A me è capitato spesso di intrattenere conversazioni di questo tipo: “Ti convince quello che sta dicendo il docente?” “A me sì, ma sul blog di X ieri c’era un argomento contrario.” “Che dici, gli chiedo se l’ha letto e cosa ne pensa?”. Ma ci sono esempi anche più avanzati: per esempio, un docente particolarmente motivato può tenere una lezione di astronomia in un ambiente che rappresenta in scala il sistema solare, con i pianeti che orbitano intorno alla classe! Tutte queste cose accadono perché docenti e studenti le trovano utili, ma non potrebbero accadere se il software non le rendesse possibili. Nello scrivere il software, Linden Labs esercita un’influenza molto potente su ciò che accade in Second Life, anche se tutto ciò che vi accade è in ultima analisi opera della community dei suoi utenti.
Nel campo dell’azione di governo wiki, quindi, è estremamente importante progettare con cura l’interfaccia tra l’obiettivo della policy e la community che si mobilita per raggiungerlo. Per restare ai progetti a cui ho partecipato personalmente, Visioni Urbane usa un blog perché ha bisogno di fare convergere il gruppo di lavoro regionale e la comunità dei creativi lucani su un’analisi condivisa del problema e sulle cose da fare. Così, il primo scrive un post in cui propone qualcosa – per esempio una diagnosi dei principali punti di forza e di debolezza della scena creativa in Basilicata – e la seconda reagisce commentando questo post, convalidandolo e suggerendo integrazioni e modifiche. Questo tipo di interazione è fatto “a stella”, con il gruppo regionale al centro e i creativi che parlano prevalentemente con esso, e molto meno tra loro. In Kublai, invece, il punto più importante è permettere a ciascun membro della community di intervenire su qualunque progetto creativo gli interessi; quindi l’interazione deve essere fatta “a rete”, con tutti che possono collegarsi con tutti. E così, naturalmente, Kublai usa un social network. Nelle politiche pubbliche online, il software stesso è uno strumento di policy. La sua progettazione va quindi interpretata come la posa in opera di una policy: delegarla a qualcuno che ha competenze tecniche ma è lontano dal cuore dell’autorità pubblica che di questa policy è responsabile è una cattiva idea, e può perfino pregiudicarne i risultati8 . Beth Noveck, che ha ideato e lanciato Peer-to-Patent, è d’accordo: “Come minimo, Peer-to-Patent ci insegna che la progettazione è importante.”9
Comando o consenso?
A questo punto è giunto il momento di risolvere un’ambiguità che ha attraversato tutto questo libro. Ho descritto le politiche wiki come emergenti da dinamiche sociali spontanee in rete, i cui partecipanti si autoselezionano a seconda dei propri interessi, competenze e inclinazioni; tutto questo sembra disegnare un movimento dal basso verso l’alto, dai cittadini alla policy attraverso processi di autorganizzazione. Eppure ho sottolineato a più riprese l’importanza della progettazione e della gestione delle comunità online che forniscono la forza motrice alle politiche wiki, e gran parte del libro cerca di essere un manuale di costruzione per questo nuovo tipo di azione di governo. Questi altri aspetti sembrano disegnare un movimento dall’alto verso il basso, da un’autorità pubblica nelle vesti di architetto a un’interazione tra cittadini che apparentemente è libera, ma in realtà è gestita per produrre i risultati voluti. Come è possibile conciliare queste due immagini? Quale di esse è più vicina al vero?
La risposta è, come al solito, controintuitiva. Entrambe le immagini sono vere: le politiche pubbliche wiki contengono una forte componente di consenso dal basso, ma anche una componente non trascurabile – e a mio avviso non riducibile – di comando dall’alto. Su questo punto sembra esserci un forte consenso tra gli esperti con cui ho potuto parlare personalmente; Joe Rospars, il direttore nuovi media della campagna di Barack Obama per le elezioni presidenziali, mi ha detto addirittura che “ci vuole una componente di comando nel tuo consenso”!10
Prima di spiegare come questo possa avvenire, vorrei provare a indicarne il perché. Una spiegazione convincente – e molto citata – è quella indicata dal giornalista ed esperto di tecnologia Kevin Kelly. Kelly è stato tra i primi a individuare l’emergenza di “folle intelligenti”, cioè grandi masse di persone che potevano coordinarsi tra loro – pur in assenza di una struttura di comando – e produrre risultati sorprendenti: già nel 1994 dedica a questo tema un libro dal titolo significativo di Out of control11 . Più di recente, nonostante un immutato entusiasmo per l’intelligenza collettiva, Kelly corregge parzialmente il tiro, suggerendo che l’evoluzione dal basso pura e semplice sia troppo lenta rispetto alla scala temporale rilevante nelle vicende umane. Per fortuna, possiamo accelerarla con iniezioni di comando dall’alto. E usa l’esempio di Wikipedia:
Invece di cercare di costruire un sistema efficace di regole pseudo-legali dal basso che impediscano ai vandali recidivi di danneggiare gli articoli di Wikipedia, [il suo fondatore Jimmy] Wales – che ha poteri di super-amministratore – si limita a bandirli dal sito, su consiglio della sua élite di redattori. Un redattore umano sa capire molto meglio di un software se una persona ha intenzioni malvagie o se ha solo fatto errori. Risultato: anni di fatiche risparmiati (nel tentare di mettere a punto un sistema automatico che faccia ciò che i redattori fanno già benissimo).
Più avanti ipotizza che la miscela tra le due componenti contenga soprattutto consenso dal basso, con piccole quantità di comando dall’alto:
Redattori ed esperti sono come le vitamine. Non te ne servono molte, ne basta una traccia anche per un corpo molto grande, e una quantità eccessiva sarà tossica, o semplicemente espulsa dal corpo. Ma la dose giusta di controllo intelligente sarà una scintilla in una mente collettiva altrimenti amorfa.12
Non sono sicuro che Kelly abbia ragione nel contrapporre i suoi esperti intelligenti alle folle fatte di persone stupide, che esprimono intelligenza solo nel numero. I nodi delle reti sociali sono esseri umani: quindi sono nodi intelligenti. Concordo invece con lui sul fatto che il “controllo intelligente” sia un complemento utile alle dinamiche sociali pure e semplici. Nella mia esperienza, comando dall’alto e consenso dal basso si sostengono a vicenda, come due rugbisti che avanzano verso la meta passandosi la palla.
Ecco un esempio da Kublai. Nella primavera 2009 Ruggero Rossi, uno studente di economia, compie un’analisi di Kublai per trarne la propria tesi di laurea. Il suo metodo consiste nel ricostruire, attraverso il sito, la struttura delle discussioni progettuali tra i kublaiani; e poi nell’analizzarla alla ricerca di cose interessanti. Tra le sue scoperte, una ci intriga particolarmente: all’interno della rete di Kublai, si è autorganizzato un gruppo di progettisti molto attivi che interagiscono con la comunità non solo all’interno del loro progetto, ma anche su diversi altri. Questo gruppo dà origine a quella che si chiama una struttura coesa, cioè un nucleo in cui ogni membro è collegato a tutti gli altri in modo tale che questo collegamento non viene meno nemmeno rimuovendo parecchi nodi13 ; la struttura è ciò che trasporta informazione da un progetto all’altro.
Queste persone sono molto stimate all’interno della comunità di Kublai per avere portato contributi di intelligenza molto importanti a diversi progetti. I membri del team di Kublai – quelli pagati dal Ministero – sono parte della struttura, ma anche rimuovendoli tutti la struttura “tiene” lo stesso. Ne consegue una storia che dice più o meno così: il team di Kublai fornisce contributi di pensiero a molti progetti, trasportando buone idee e informazione da un progetto all’altro (comando); questo genera imitazione da parte di alcuni kublaiani, che si mettono a fare lo stesso per conto loro (consenso).
Ma la storia non finisce qui. Esaminando i risultati di Ruggero ci diciamo “beh, se avere una struttura coesa è una buona cosa per Kublai, dovremmo cercare di rinforzarla”. Qui la palla ripassa al comando: creiamo su Kublai un nuovo gruppo, il Club dei progettisti, e incoraggiamo i membri più attivi della comunità a entrarvi. Lentamente, il gruppo cresce. A questo punto abbiamo una specie di “consiglio degli anziani della tribù”, nel quale possiamo tenere discussioni molto più avanzate di quelle che avrebbero senso nel resto della comunità. I progettisti cominciano a rispondere a queste discussioni con suggerimenti e proposte, facendosi carico di una parte dell’autogoverno della comunità; questo, a sua volta, moltiplica le occasioni di interagire e rende quindi più naturale per A intervenire sul progetto di B; l’attività cresce, e la palla è stata di nuovo ripassata al consenso!
La coda lunga delle politiche pubbliche
Riassumendo, in un mondo in cui le politiche di tipo wiki diventassero una forma normale di intervento per le autorità pubbliche, vedremmo l’azione di governo riorganizzarsi per obiettivi, communities e interfacce. Una parte importante del lavoro dei funzionari pubblici consisterebbe nel gestire communities: metterle insieme, stimolarle, dare loro strumenti, negoziare con esse, in un complesso alternarsi di azione di comando dall’alto e abilitazione di dinamiche sociali dal basso.
Molto probabilmente, le stesse forze che spingono verso questa riorganizzazione indurrebbero cambiamenti nel campo di azione delle politiche pubbliche. La crisi di attenzione di cui ho parlato nel capitolo 1 comporta che sono relativamente pochi i problemi di cui esse possono davvero occuparsi. Per ciascun tema portato all’attenzione dell’opinione pubblica, su cui si dibatte con competenza e passione per poi proporre soluzioni (e realizzarle), ci sono centinaia, se non migliaia, di problemi grandi e piccoli che non riescono a raggiungere la soglia di attenzione dei decisori. Questi vengono in genere ignorati fino a che è possibile; quando diventa impossibile ignorarli vengono affrontati in modo sbrigativo e formalista, e normalmente troppo tardi.
Un buon esempio di problema ignorato dai decisori di alto livello è la norma italiana che impone a chiunque fornisca connettività a internet di identificare ciascun utente. Questa norma – nota come decreto Pisanu dal nome dell’allora ministro degli Interni Giuseppe Pisanu – viene introdotta nel luglio 2005, sulla spinta emotiva di un grave attentato terroristico verificatosi a Londra. Non è chiaro quale sia stato il suo impatto positivo in termini di accresciuta sicurezza: è invece chiaro che pone ostacoli burocratici alla diffusione di reti wireless in un paese che ne avrebbe molto bisogno, e ostacola alcuni modelli di business che si basano sulla disponibilità di connettività ad accesso libero e gratuito. Molte persone sono anche convinte che si tratti di una norma liberticida, che non trova riscontro in nessun paese democratico. Nel tempo è maturato un certo consenso all’idea che, per la società italiana, i costi di questa norma superino abbondantemente i suoi benefici; non c’è praticamente nessuno che la difenda apertamente. Lo stesso ex ministro Pisanu ha dichiarato pubblicamente che il decreto che porta il suo nome dovrebbe essere reso meno restrittivo14 .
Nonostante questo, il decreto Pisanu è ancora in vigore. Dovrebbe avere natura provvisoria, ma è stato più volte prorogato. Come è possibile che una politica riconosciuta da tutti come sbagliata non venga cambiata? Sono state proposte diverse spiegazioni. Una plausibile è questa: qualunque soluzione che non sia la proroga – anche semplicemente lasciare che il decreto scada – richiede ascolto delle diverse posizioni in campo, trattative faticose, disponibilità alla mediazione, insomma una vera discussione pubblica. Molti dei decisori di livello alto, assorbiti dalla discussione di temi che essi ritengono più rilevanti, semplicemente non hanno tutta questa attenzione da investire. E questo è un problema ricorrente: basti pensare che il linguaggio politico-giornalistico italiano ha inventato una parola, “milleproroghe”, per designare “un decreto legge del Consiglio dei Ministri volto a prorogare o risolvere disposizioni urgenti entro la fine dell’anno in corso”15 .
Un’alternativa c’è: delegare. Se si dovesse diffondere il ricorso alle politiche wiki, i problemi di questo tipo verrebbero delegati a communities di persone che si interessano ad essi. Per il decreto Pisanu, che ha generato molta attenzione in un settore dell’opinione pubblica, sarebbe abbastanza semplice montare una soluzione wiki: basterebbe delegare un paio di funzionari capaci del Ministero ad aprire un forum, e magari un wiki, e incoraggiare le persone interessate a contribuire a scrivere una proposta di legge, magari in più versioni (una più garantista della libertà di accesso, una più attenta al tema della sicurezza e così via). Chiaro, queste proposte dovrebbero sempre essere discusse e approvate dal parlamento, ma deputati e senatori potrebbero partire da un testo già molto elaborato, chiaro e comprensibile, in cui gran parte delle possibili obiezioni sono già state prese in considerazione; in più, questo testo resterebbe appoggiato a un folto gruppo di estensori a cui si potrebbe rimandare il testo per successive modifiche. Il tempo e le energie sottratte alla scrittura del testo, e alla verifica di resistenza alle obiezioni, renderebbero le camere molto più rapide e produttive nel discuterlo e approvarlo. In un mondo di politiche wiki, gruppi grandi e piccoli di cittadini discutono, elaborano soluzioni, le criticano, le revisionano, le perfezionano e le consegnano alle istituzioni. In alcuni casi, se ne ricevono il mandato, possono anche eseguirne parti: in Peer-to-Patent i cittadini non possono decidere se le richieste di brevetto siano da accettare o da respingere – questa è prerogativa dei funzionari dell’ufficio brevetti – ma possono cercare, discutere e convalidare i documenti che i funzionari competenti prendono in considerazione per formulare le loro decisioni. Grazie a questo assetto organizzativo le politiche wiki possono convogliare attenzione a moltissime politiche pubbliche che altrimenti non ne riceverebbero. I partecipanti diventano, in un certo senso, occhi e orecchie dell‘amministrazione pubblica, aiutandola a vedere e sentire con chiarezza pezzi di mondo.
Ma è realistico che i cittadini si appassionino alla discussione di temi relativamente locali, o specifici? Consideriamo la seguente lista di petizioni, tratta dal già citato sito del n. 10 di Downing Street16 . A fianco del titolo riporto il numero di firme. Al primo ministro i cittadini chiedono formalmente di:
- Ripensare i piani di eliminare i vouchers per la cura dell’infanzia (93.298 firme)
- Riconsiderare la decisione di eliminare gli uffici postali delle forze armate britanniche in Europa continentale (62.970)
- Scusarsi per la persecuzione di Alan Turing, che ne ha provocato la morte precoce (32.226)
- Abolire la proposta di legge che permette di disconnettere da internet, senza un processo equo, chi condivide illegalmente files in rete (30.762)
- Proteggere i nostri canali non vendendo terreni appartenenti all’ente British Waterways (20.680)
- Modificare la legge sull’assistenza reciproca nella cura dei bambini (20.604)
- Pretendere che il Financial Service Compensation Scheme rimborsi all’ospedale The Christie i 6,5 milioni di sterline che il primo ha perso nei fallimenti bancari in Islanda (20.300)
- Fare pressione sul Tesoro perché onori la sua promessa di incrementare i prestiti agli studenti concessi dopo il 1998 in ragione del tasso di inflazione (18.447)
- Cambiare la legge perché conceda ai bambini nati vivi il diritto alla vita (17.892)
- Smettere di criminalizzare la musica dal vivo con il Licensing Act, e sostenere gli emendamenti – proposti dal Dipartimento Cultura, Media e Sport e dall’industria musicale – che esentano la maggior parte dei piccoli concerti nelle scuole, negli ospedali, ristoranti e pub (13.657)
- Riconsiderare le sue intenzioni di più che raddoppiare la tassa sui passeggeri delle linee aeree (13.591)
- Rendere il giorno di San Giorgio una festa nazionale in Inghilterra, se non in tutto il Regno Unito (13.268)
Questo elenco è notevole per la grande diversità degli argomenti – tutti comunque in grado di attirare decine di migliaia di consensi. Man mano che si scorre la lista verso il basso – le petizioni con solo poche decine di firme – la diversità aumenta. “Abolire le tariffe di parcheggio negli ospedali”, “Vietare l’asportazione delle pinne dagli squali, e bandire le importazioni di prodotti che contengono pinne di squalo”, “Installare un ponte pedonale sopra la statale A45 tra Blackymore e Wootton prima che altri pedoni restino uccisi”, “Convincere il consiglio comunale di Birmingham a convertire la vecchia caserma dei pompieri – con il suo mobilio originale – in un museo della scienza e dell’industria, ad accesso gratuito”, “Abolire il divieto di fumare nei locali pubblici” e “Impedire ai carcerati di avere Xboxes, Sky e Facebook”: tutte queste petizioni hanno raccolto tra le 100 e le 110 firme. A quanto pare non esistono problemi troppo piccoli per attirare l’attenzione di un pugno di cittadini: le petizioni aperte in totale sono diverse migliaia.
Firmare una petizione non richiede grande sforzo – bastano un paio di clic. Quindi costituisce un segnale di interesse molto debole. Non necessariamente chi firma si rende disponibile a dedicare tempo ed energia alla ricerca di una soluzione, anzi il più delle volte non sarà così. Ma il sito di petizioni del governo britannico ci dice che gli interessi del pubblico sono molto, molto più articolati di quelli che i decisori pubblici di alto livello riescono a tenere nell’agenda in ogni dato momento. I secondi, perlopiù, consistono di pochi grandi temi molto rilevanti, in genere meno di dieci; “le riforme istituzionali”, “la sicurezza nelle strade”, “i provvedimenti anticrisi”, “la separazione delle carriere in magistratura”. In un mondo di politiche wiki, ciascuno si autoselezionerebbe per occuparsi dei problemi che ha a cuore e che conosce meglio. I grandi temi resterebbero probabilmente appannaggio della classe politica, mentre un gran numero di communities online fornite di strumenti adeguati e interfacciate con la pubblica amministrazione potrebbero contribuire maggiormente alla soluzione dei problemi più piccoli, specializzati e locali.
Questo fenomeno ricorda da vicino quanto è avvenuto in anni recenti in alcuni mercati, come quello della musica e quello dei libri, dopo che musica e libri hanno cominciato ad essere distribuiti mediante internet. In passato, la scelta a disposizione di un acquirente di libri o di musica era limitata dallo spazio: a fronte di un catalogo potenzialmente vastissimo, ciascuna libreria e negozio di dischi aveva a disposizione uno spazio sugli scaffali fortemente limitato (e costoso, visto il livello degli affitti commerciali nelle principali città). Il risultato: i prodotti di maggior successo erano acquistabili dovunque, mentre moltissimi libri e dischi non riuscivano mai a raggiungere l’ambito posto negli scaffali. Le vendite di un libro o di un disco dovevano raggiungere un numero minimo di copie vendute (in Italia qualche migliaio), o sarebbero rimaste esattamente zero.
Il giornalista americano Chris Anderson ha notato che gli scaffali dei grandi negozi online di libri (Amazon) e musica (iTunes) sono infiniti. Una volta che i siti sono stati messi in piedi, aggiungere un ulteriore titolo ha costi trascurabili. Il risultato è che questi negozi online mettono a disposizione dei propri clienti una scelta incredibilmente vasta, completamente irraggiungibile ai più forniti negozi fisici17 . E questo fa sì che un numero sorprendente di titoli di nicchia venda abbastanza copie per diventare un business interessante. I grandi numeri, tanto nell’editoria quanto nella musica, continuano ad essere associati ai prodotti di successo (il bestseller, il disco da classifica); ma la distribuzione online permette di soddisfare clienti che prima non avevano accesso ai libri e alla musica che desiderano comprare. E questo significa l’apertura di nuovi mercati: Anderson riporta che Amazon, la principale libreria online, realizza un quarto delle proprie vendite con titoli che non si trovano in libreria18 . A questo fenomeno è stato dato il nome di “coda lunga” (long tail), perché la distribuzione dei titoli per popolarità dei negozi online non viene “tagliata”, come invece accade nei negozi fisici che devono fare i conti con i limiti allo spazio nei loro scaffali.
Le politiche wiki sono un mondo in cui la coda lunga delle politiche pubbliche diventa raggiungibile, grazie al fatto che internet abilita le persone che si interessano alle singole politiche a raggrupparsi e cercare insieme soluzioni. Così come nelle librerie online non si vendono solo i bestseller, ma i libri più strani e di nicchia, anche nelle politiche wiki non ci si occupa solo dei grandi temi, ma anche di politiche settoriali, locali o di nicchia – proprio come accade nel sito di petizioni del numero 10 di Downing Street.
Né isolati né massificati: un mesolivello per le politiche pubbliche nelle reti
Rendere le politiche wiki una pratica standard per l’azione di governo, quindi, significa modificarne l’organizzazione – che verrebbe a strutturarsi per obiettivi, communities e interfacce – e il campo d’azione – che verrebbe a comprendere la coda lunga delle politiche che oggi non ricevono attenzione a causa della limitata capacità di carico dei decisori pubblici. Ma significa anche un’altra cosa: prendere atto che le politiche pubbliche possono riguardare non solo i singoli individui o la collettività nel suo complesso, ma anche le reti di persone.
Oggi le politiche pubbliche sono grosso modo divise in due categorie. La prima categoria agisce attraverso incentivi dati al singolo individuo (o alla singola impresa): se, per esempio, si desidera diminuire la mortalità per tumore ai polmoni si può vietare il fumo in luoghi pubblici, o imporre una tassa sul tabacco, o entrambe le cose. Nel primo caso l’incentivo è dato dalla multa a cui il trasgressore è soggetto; nel secondo dall’accresciuto peso delle sigarette sul bilancio familiare. Entrambi sono rivolti al singolo individuo, e paradossalmente funzionerebbero anche in una società composta da un’unica persona. Queste sono le cosiddette politiche micro.
La seconda categoria agisce attraverso stimoli che si propagano in modo indifferenziato nel corpo sociale. Per esempio, se un paese privo di comunicazione decide di costruire una rete ferroviaria, amplia la gamma di possibilità delle persone e delle imprese residenti. Le azioni di questi avranno effetti che si propagheranno a tutta la collettività, comprese le persone che non prendono mai il treno: per esempio, a quelle che troveranno un impiego nella costruzione delle linee e delle stazioni, quelle che venderanno beni e servizi a questi lavoratori e così via. Queste sono le cosiddette politiche macro.
Consideriamo i sei principi per costruire le politiche wiki. A quale categoria appartengono le politiche wiki? Usano strumenti di tipo macro o di tipo micro? Non certo quelli di tipo micro: sebbene cerchino di usare incentivi per orientare il comportamento dei cittadini che vi partecipano, essi hanno senso solo all’interno di una community, e non funzionerebbero in una ipotetica società composta da una sola persona. Le politiche wiki non sono applicabili a esseri umani astratti nel loro isolamento, ma solo a uomini e donne impegnati in dinamiche di gruppo.
Ma non si può neppure dire che esse usino strumenti di tipo macro. Le autorità pubbliche le pongono in essere con stimoli che non si propagano in modo indifferenziato all’intera società. Al contrario, esse si trasmettono secondo percorsi molto precisi, anche se complessi, all’interno delle loro reti sociali. Riprendendo un’intuizione del matematico americano David Lane, mi piace dire che le politiche wiki sono politiche di un livello intermedio, che potremmo chiamare “meso”. Esse si portano avanti azionando stimoli che hanno effetto non sui singoli individui né sulla società, ma su entità terze che chiamiamo reti: dunque, le reti sono allo stesso tempo soggetti e destinatari di politiche pubbliche. Vi sono quindi tre tipi di destinatari: gli individui, le società e le reti di persone. Ad essi corrispondono altrettanti tipi di azione di governo.
Si tratta di un’innovazione metodologica di straordinaria portata. La scienza economica, che con le politiche pubbliche ha molto a che fare, inizialmente non distingueva chiaramente tra il livello micro e il livello macro. Se accettiamo che l’economia, in quanto scienza indipendente, nasca con la pubblicazione della Ricchezza delle nazioni di Adam Smith nel 1776, ci sono voluti 160 anni perché Keynes, scrivendo la Teoria generale, affermasse l’utilità di studiare i fenomeni economici su due diversi livelli, entrambi in qualche modo “veri”. Questa presa di posizione prende rapidamente piede, generando un’intera classe di strumenti di policy. Da allora – cioè dal 1936 – non sono mai stati aggiunti nuovi livelli! E questo significa che chi si occuperà in futuro di politiche wiki dovrà affrontare il problema di costruire un’intera scienza sociale delle reti. L’unica previsione facile che si può fare su di essa è che cambierà profondamente il nostro modo di pensare l’agire umano in collettività, e anche il modo in cui ci governiamo.
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Note
1 Giddens, A., 1975, Capitalismo e teoria sociale,l Saggiatore, p. 265
2 Alcuni paesi hanno una struttura organizzativa completamente diversa dall’Italia. Il Regno Unito, che ha una tradizione di governo locale molto debole, funziona con forti burocrazie centrali e centinaia di piccole strutture di diritto privato (in genere associazioni) che operano sui territori, ma usano fondi erogati da Londra e sono dirette da persone che vengono scelte a Londra. http://www.scribd.com/doc/13623/Strumenti-innovativi-per-lo-sviluppo-delle-industrie-creative-esperienze-e-lezioni-dallUK-2006
3 http://www.patientopinion.org.uk. Quest’ultima è uno spazio moderato – gestito da una nonprofit privata – in cui i pazienti del servizio sanitario nazionale britannico possono raccontare in modo anonimo le loro esperienze, belle o brutte che siano. Un progetto di Kublai, pazienti.org, sta preparando un lancio del servizio anche in Italia: http://pazienti.org. (marzo 2010).
4 Naturalmente Katrinalist non è una policy; ricade nell’ambito del volontariato, e il suo protagonista unico è la società civile. Ma non è difficile immaginare un futuro in cui questo tipo di competenza viene integrata con l’azione governativa di tipo tradizionale (pale, tende, ospedali da campo) nella politica di protezione civile. Il caso di PatientOpinion è più sottile: il servizio è finanziato dalle strutture sanitarie, che sono finanziate dal servizio sanitario nazionale ma non hanno alcun obbligo di acquistare i servizi di PatientOpinion. Kublai è una policy governativa a tutti gli effetti, sebbene su scala molto piccola.
5 http://progettokublai.ning.com/profile/MrVolareakaAlbertoCottica. Al momento in cui scrivo (marzo 2010) ci sono quasi 500 commenti, segno che è una pagina abbastanza visitata.
6 Dopo le polemiche in Italia e in altri paesi europei, nel novembre 2008 un portavoce di Facebook ha comunicato alle agenzie di stampa che “diverse pagine” relative alle attività di gruppi neonazisti erano state rimosse dal social network. Facebook ha precisato di essere a favore della totale libertà di espressione, ma che le pagine incriminate violavano le condizioni d’uso del sito, che vietano le espressioni di odio e il razzismo. http://www.reuters.com/article/idUSTRE4AD3KZ20081114 (dicembre 2009)
7 L’esempio italiano che conosco meglio, per avervi partecipato personalmente, è quello di unAcademy, “accademia non tradizionale della cultura digitale” fondata dal blogger Giuseppe Granieri. Un piccolo gruppo di persone l’ha frequentata per alcuni mesi, tra la fine dell’estate 2007 e l’inizio del 2008, imparando a usare Second Life come strumento per l’apprendimento e la comunicazione professionale. Una riflessione più approfondita su unAcademy – davvero un’esperienza fondante per me – si può leggere sul mio blog: http://www.cottica.net/2007/12/18/second-office-un-ambiente-sociale-online-per-interagire-e-imparare/
8 Il costituzionalista americano Lawrence Lessig sostiene che il codice informatico in cui è scritto il software diventa direttamente, in certi contesti, codice giuridico: cioè legge. Quindi in alcuni ambiti modificare le funzionalità del software che sostiene alcune attività umane è più semplice ed efficace che emanare una legge: invece di vietare una cosa la si rende impossibile! Naturalmente il ragionamento di Lessig è molto più articolato di questa mia sintesi. La nuova versione del suo libro, “Code – Version 2.0” si trova all’indirizzo http://codev2.cc
9 Noveck, B.S., 2009, The Wiki Government, Brookings Institutions Press, Washington, D.C., p. 184
10 Rospars, J, 2009, intervento a Personal Democracy Forum Europe
11 Kelly, K., 1994, Out of control: the rise of the neo-biological civilization, Addison-Wesley, Indianapolis
12 http://www.kk.org/thetechnium/archives/2008/02/the_bottom_is_n.php, traduzione mia
13 Rossi, R., 2009, “Analisi dell’innovazione nella rete sociale del progetto Kublai”, Modena http://tesikublai.altervista.org/tesi.php
14 http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/12/03/wi-fi-anche-pisanu-e-contro-il-decreto-pisanu/(gennaio 2010)
15 La definizione è di Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Decreto_Milleproroghe (gennaio 2010)
16 http://petitions.number10.gov.uk/list/open?sort=signers. La lista si riferisce alle petizioni con il maggior numero di firmatari aperte (cioè non scadute, ancora firmabili) il 2 gennaio 2010.
17 Secondo Anderson, il punto vendita medio della catena Wal-Mart (rappresentativo della grande distribuzione fisica americana) ha circa 4.500 titoli di CD; Amazon ne manteneva 800.000 già nel 2006. Nel 2008, l’Apple Music Store ha passato i 10 milioni di canzoni in catalogo. Numeri simili esistono per i libri: le tre superlibrerie fisiche più grandi d’America riuscivano a offrire 175.000 titoli ai propri clienti, mentre Amazon ha superato i 2,5 milioni di titoli in catalogo già nel 1998, e sta chiaramente puntando a offrire tutti i libri mai stampati. Anderson, C., 2006, The Long Tail – Why the future of business is selling less of more, Hyperion, New York; http://en.wikipedia.org/wiki/ITunes_Store#Catalog_content e http://www.answers.com/topic/amazon-com#Product_lines (gennaio 2010).
Per me questo capitolo è fatiscente, per via di una grossa crepa interpretativa.
La sostituzione che proponi – da competenze-circoscrizioni-procedure amministrative a obiettivi-community-interfacce è solo nominalistica: tu stesso dici che per weber la burocrazia serve a realizzare razionalmente gli OBIETTIVI che una COMUNITA’ si dà, e un processo amministrativo (per quanto inefficace) è a tutti gli effetti un’interfaccia.
Ma il problema vero è che stando a Weber – che su questo punto mi risulta insuperato – non esiste (tipo di) potere legittimo SENZA “apparato amministrativo”.
Dire togliamo l’apparato amministrativo, non importa se burocratico o di altro tipo, non ha senso perchè implicherebbe una società senza potere. Similitudine: come esseri aerobici, non possiamo eliminare l’apparato respiratorio; altra cosa invece è dire “sostituiamo i polmoni con le branchie”, ovvero la BUROcrazia con la WIKIcrazia.
Ma allora bisogna interrogarsi sul rapporto tra potere razionale-legale e wikicrazia (senza dimenticarsi che il primo è, e la seconda dovrebbe essere concepita come, idealtipo.
Frettolosamente (è due ore che ti scasso le uova):
Se la wikicrazia è un apparato coerente con il potere razionale-legale (sempre che tu non voglia tornare al medioevo o in alternativa concepire una quarta forma di potere legittimo) e proprio a partire dagli esempi che citi (the fine line between blogger e funzionario europeo)
ipotizzo che la wikicrazia non possa prescindere da un suo riconoscimento/legittimazione amministrativo-procedurale.
All’opposto, diffidare delle “leggi sulla partecipazione”, della formalizzazione amministrativa di qualcosa che si ritiene costitutivamente spontaneo/emergente, impone di farsi carico delle conseguenze: a meno di concettualizzarla come mezzo di esercizio del potere razionale-legale, wikiCRAZIA è un concetto tanto intrigante quanto sterile sul piano della teorica politico-sociale.
Un’ultima nota su “comando dall’alto e consenso dal basso”: ma cosa diavolo significa “controllo intelligente”? Intelligente rispetto a cosa? rispetto a chi? rispetto e un’ “emergenza” fallace o difettosa? rispetto a un’eccedenza di spontaneità? ma non dicevi che “l’efficacia di una politica pubblica è inversamente proporzionale al grado di controllo che l’autorità titolare se ne attribuisce”? (Cfr. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è illuminismo, 30 settembre 1784)
Ho finito.
Mi piace molto discutere con te e così, ahimè, ho messo un sacco di carne al fuoco.
Data la grevità delle questioni, e la loro marginale attinenza agli obiettivi di Wikicrazia, non mi offenderò di certo se vorrai derogare alla velocità e alla trasparenza della rete, e restituirmi qualche controdeduzione ad una prossima occasione.
Ti abbraccio.
Oddio, mi metti in crisi. Io non penso certo di proporre lo smantellamento delle burocrazie weberiane dello stato e “tornare al medioevo”. Al contrario, mi propongo di accrescere la loro efficacia. Come? Nel libro sostengo che un limite importante di queste burocrazie è la loro capacità cognitiva: sono in perenne crisi di attenzione. Coinvolgere nell’azione di governo comunità online unite dall’interesse per un obiettivo di policy e coordinate attraverso un’interfaccia può essere una soluzione. Pensa a Peer-to-Patent: non abolisce l’ufficio brevetti, né lo sostituisce. La decisione di approvare o no una richiesta di brevetto rimane in capo alla burocrazia preposta. Peer-to-patent trova, discute e valuta prior art sulla base della quale prendere le decisioni. In altre parole, la wikicrazia è un accrescimento (augmentation, à la Licklider) della burocrazia. C’è però un prezzo da pagare, che è quello di costruirsi un retroterra cognitivo comune con la community. A uno dell’IBM che si intende di stampanti a bolle e che ti sta dando una mano non puoi dire “scusa, ma io mi occupo solo di stampanti. Gli inchiostri per stampante sono classificati come industria chimica, quindi ricade al di fuori del mio dipartimento.” Quello, ovviamente, ti manda a cagare: o stai su un terreno che lui riconosce come sensato o lui abbandonerà il processo. La stessa roba vale per VU, Kublai etc. etc.
Ma la cosa interessante è questa: le burocrazie, accresciute dalla capacità di elaborazione dell’informazione delle communities, possono prendersi un po’ più di discrezionalità, allontanarsi dalla cieca applicazione della procedura e essere più consapevoli del qui e ora. La procedura, se ci pensi, è attenzione imbottigliata, un modo per risparmiare razionalità (è Simon che lo dice). Se l’attenzione diventa una risorsa abbondante il modo di lavorare delle burocrazie può diventare molto più efficace, coraggioso, fedele allo spirito della policy.
Quindi Wikicrazia non è un nuovo sistema che rimpiazza quello vecchio. Ma non è neanche un retrofit indolore. E’ un nuovo sistema, che integra quello vecchio, al prezzo di alcune modifiche per avere un’interfaccia “liscia”. Se però dal libro si capisce che io voglio smantellare le burocrazie sarà meglio rivedere le mie argomentazioni!
La parte sugli incroci dei progetti wiki a partire dalla tua esperienza è un po’ didascalica, puoi accorciarla e sintetizzarla.
Spesso personalizzi troppo il discorso; non aggiunge nulla al discorso il fatto che Joe Rospairs te lo abbia detto personalmente, anzi, richiama l’attenzione sul fatto che lo conosci (quel “personalmente” emerge come parola chiave) e alla fine indebolisce il messaggio che volevi far passare.
“Formalista” è brutto, meglio “formale”
Non scriverei communities; è un barbarismo accettato nella ns lingua (usato a piene mani nel libro), il suo plurale è community (per intenderci: tu non diresti che in casa hai due computers, no?).
Inutile il grafico della coda lunga, era già chiaro.
Né come formazione (è uno statistico), né come docenza (è un teorico della complessità, lo dici tu stesso nelle pagine precedenti) puoi definire Lane un matematico
“Presa di posizione che prende piede” è orribile (ripetizione e utilizzo di un termine improprio come prendere piede).
L’ultimo paragrafo “né isolati né massificati” è tutto poco chiaro, gira un po’ in tondo e non si capisce dove voglia andare a parare; lo riprenderei in mano, chiarificandolo.
“Così, di formazione professionale a Potenza si deve occupare l’assessorato al lavoro (competenza) della Regione Basilicata (territorio).”
Per dovere di precisione: il nome completo dell’Assessorato è “Formazione, Lavoro, Cultura e Sport”, ma in Basilicata tutti, per brevità, lo conoscono come “Assessorato alla Formazione”, e non “al Lavoro”. 😉
“Nelle politiche pubbliche online, il software stesso è uno strumento di policy”. Splendido!
Proprio per questo motivo, credo che un`interfaccia che e’ sempre piu’ importante e’ quello fra amministrazioni pubbliche e tekkies. Molto spesso, i burocrati non hanno idea di quale soluzione tecnologica sia possibile (e come risultato pagano milioni a consultenti o aziende che spacciano i loro prodotti come l’unica possibile soluzione). I programmatori, dal canto loro, non sanno quali siano i problemi che gli amministratori della cosa pubblica devono affrontare. I Social Innovation Camps e iniziative come Random Hacks of Kindness o Rewired State si stanno affermando, mi sembra, come interfacce preziose per colmare queste lacune e ridurre drammaticamete i costi.
Francesco, Ida, Giulio: prendo nota. Giulio, più o meno gli stessi esempi me li hai suggeriti sul capitolo 1 come controesempio a italia.it; bisogna capire se stanno di qua o di là. Forse le vedo meglio qui, anche se il capitolo 10 è un po’ drammatico, è anche il più lungo di tutto il libro 😯
Beh ti avevo già proposto la dicitura democrazia aumentata..vedo che preferisci quella di burocrazia aumentata…anche…se ti invito a rifletterci ulteriormente. Il campo più largo è più appropriato oltre che più nobile. L’effetto, se la wikicrazia si espandesse, non si limiterebbe alla parte tecnica..inevitabilmente influenzerebbe il resto non possiamo non “prevederlo”….le persone sono interi che vivono come ipiegati, cittadini, consumatori, elettori, utilizzatori…etc…
Mmm… Simone, siamo un po’ tra l’incudine e il martello. La tua obiezione è giusta, ovviamente. D’altra parte, pochi commenti più sopra, Tommaso si chiede se voglio sostituire una burocrazia con una non meglio identificata “wikicrazia” priva di formalizzazione, quindi di legittimità, quindi di potere. Io so che NON mi voglio occupare qui di e-democrazia, che va benissimo ma è un’altra cosa (e comunque ha tutti i problemi della partecipazione à la Bobbio); e NON voglio limitarmi a studiare la fase di deliberazione (democrazia), perché mi interessano i problemi di delivery, di implementazione, che è il vero collo di bottiglia. Ho usato “burocrazia accresciuta” per sottolineare che è di esecutivo che stiamo parlando, di azione di governo.
Qui va la “burocrazia aumentata”.
Paragrafo “Il governo prima del remix…”, terzo capoverso: la frase “I direttori generali coordinano il lavoro……..e il presidente del consiglio coordina i ministri” è ripetuta due volte.
In generale, sul contenuto del paragrafo, mi sembra che tu descriva “l’approccio burocratico di divisione del lavoro per competenza e per territorio” in modo un po’ troppo semplicistico: la PA è piena di “competenze trasversali” e il sistema prevede già diversi modi di coordinamento e condivisione dei processi decisionali tra i vari “pezzi” della macchina amministrativa (penso, per fare un esempio banale, alla “conferenza di servizi” (art. 14 e ss L 241/90)).
Ripetizione tolta. La descrizione è una semplificazione forte, hai ragione, ma penso di avere colto una caratteristica dell’architettura delle pubbliche amministrazioni che è così pervasivo che non si vede nemmeno, ma è un ostacolo significativo all’allargamento dei metodi wikicratici. Quanto alle modalità di coordinamento, erano esattamente quelle presentate da Bobbio come la pallottola d’argento che avrebbe risolto i problemi di stallo delle politiche pubbliche… ma non hanno funzionato come si sperava.