3. Sei principi per costruire le politiche wiki

Fino a qui ho sostenuto che le politiche pubbliche vivono una crisi strutturale di attenzione, e che la mobilitazione dell’intelligenza collettiva può risolvere o attenuare questa crisi. Prendendo spunto da Wikipedia e da altre esperienze di mobilitazione dell’intelligenza collettiva, ho tentato di descrivere le caratteristiche principali delle politiche wiki e il risultato dell’innesto di questa mobilitazione sui processi di decisione pubblica. Ne risulta un quadro piuttosto attraente: le politiche wiki, almeno in certi contesti, possono essere desiderabili.

In questa seconda parte provo ad affrontare il problema del come costruirle, che finora è rimasto completamente in ombra. In un certo senso è questo l’aspetto davvero interessante: tra chi si occupa di queste cose c’è un certo consenso sull’idea di introdurre strumenti di partecipazione mutuati dall’internet sociale. Sul come questo possa essere fatto, invece, un vero consenso non c’è.

Non è un caso che non ci sia. Come spesso accade, anche in questo caso il diavolo è nei dettagli: per esempio, va benissimo dire che i processi decisionali devono essere aperti. Aperti è una bella parola, piace a tutti. Ma cosa vuol dire esattamente? Che chiunque può partecipare al processo secondo modalità preimpostate? Che chiunque può proporre nuove modalità secondo cui svolgere il processo? Che chiunque può avviare processi concorrenti per prendere la stessa decisione? E cosa vuol dire chiunque? Se stiamo parlando del moto ondoso causato dalle barche a Venezia, ha senso che partecipino i mestrini? E i napoletani? E gli islandesi? E gli islandesi che si intendono di navigazione? Dilemmi di questo tipo si propongono continuamente all’attenzione di chi cerca di progettare un processo di decisione pubblica in modo da mobilitare l’intelligenza collettiva. Non è facile affrontarli in modo spassionato e razionale: la cultura amministrativa e politica dominante è spesso in diretto contrasto con le possibili soluzioni a questi dilemmi. Il risultato è che spesso la collaborazione di massa e le politiche wiki vengono incoraggiati in linea di principio, ma la loro applicazione pratica risulta culturalmente così aliena da essere molto difficile, o addirittura impossibile.

Nelle pagine che seguono propongo alcuni principi per la costruzione di politiche wiki. Per argomentarli faccio ricorso ad esperienze concrete. Alcune mi vengono dall’esperienza diretta: nel mio lavoro di consulente per le politiche pubbliche ho partecipato direttamente alla messa in campo di alcune politiche di questo tipo. Altre le ho apprese da amici e colleghi di tutto il mondo, attraverso conversazioni con loro e la lettura dei loro scritti.

Questo lavoro sul campo (e lo studio ravvicinato dei casi in cui non sono stato direttamente coinvolto) è stato una delle esperienze più istruttive della mia vita. Le interazioni sociali, soprattutto quelle a cui partecipano numeri elevati di individui, sembrano comportarsi come forme di vita autonome. Comunità nascono, crescono e si adattano, mettendo in discussione i propri valori per poi rafforzarli. Conversazioni a più voci alternano lunghi periodi di ristagno a brevi fioriture spettacolari, come piante del deserto dopo un raro acquazzone. Gruppi in embrione attirano individui capaci e motivati che entrano con essi in una specie di simbiosi; li sostengono e ne traggono in cambio vantaggi personali in termini di visibilità e prestigio.

Questi fenomeni mi affascinano, e ho dedicato molto tempo a studiarli. Quasi subito, però, mi sono reso conto che non sapevo come avvicinarmi ad essi: le categorie della scienza economica tradizionale non mi erano di grande aiuto. In questi anni, quindi, sto provando a utilizzare categorie per me nuove, quelle delle teorie della complessità, che studiano il comportamento di sistemi in cui un gran numero di elementi interagiscono secondo regole semplici. Questo comportamento risulta spesso ricco, imprevedibile, complesso appunto.

Questo libro non si occupa di teorie della complessità: tutt’al più si può dire che chi ne ha un’infarinatura potrebbe trovare più comprensibili alcuni dei fenomeni che descrivo. Le cito qui per la prima e ultima volta per spiegare perché, pur essendo io un economista, la scienza economica tradizionale è sostanzialmente assente dalle pagine di questo libro.

I principi per costruire politiche wiki sono sei.

  • accettare il cambiamento
  • community
  • trasparenza radicale
  • rispetto
  • parlare con voce umana
  • meritocrazia

Nei prossimi capitoli cercherò di spiegare cosa intendo per ciascuna di queste espressioni.

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3 pensieri su “3. Sei principi per costruire le politiche wiki

  1. Mauro Tuzzolino

    Stiamo parlando di politiche pubbliche; interventi, progetti e scelte che riguardano la totalità delle popolazioni coinvolte. Per questo c’è un primo problema di abilitazione all’accesso.
    Se vogliamo costruire sistemi di partecipazione e controllo democratico, il prerequisito è che vi sia un forte investimento in alfabetizzazione alla dimensione della connettività.
    Sistemi di management della conoscenza che mirino a maturare la capacità diffusa c di dare vita al Personal Web. Ci sono due categorie di competenze: quelle base del creare, organizzare e condividere; quelle abilitanti della connectedeness, ability to balance formal and informal contexts, critical ability e creativity.

    Prox.
    Mauro

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  2. Francesco Silvestri

    Se uno legge e non sa che sei laureato in economia, probabilmente si chiede perché tu abbia tentato di (o tu sia stupito del non riuscire a) applicare le categorie della scienza economica a questi temi; anche perché da come li descrivi saltano agli occhi come temi sociologici, delle politiche pubbliche (e infatti citi L. Bobbio), ma non dell’economia. Quindi, uno si chiede: perché questa excusatio non petita? Perché dovrebbe essere stata la economia di aiuto? Perché allora non ha denunciato la scarsa utilità dell’archeologia o della matematica? Insomma, la considerazione disorienta.

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  3. Alberto Autore articolo

    Grazie a entrambi!

    Mauro: mi pare di dire cose più o meno simili nel capitolo 11, l’hai già letto?

    Francesco: in questo stesso capitolo faccio outing: “pur essendo io un economista…”. Forse hai ragione, ma io ho studiato economia esattamente perché speravo di trovare in essa una chiave per capire il comportamento umano, e come me tanti altri che tu pure conosci. Immagino di vederlo come una specie di mossa retorica di umiltà: sono un esploratore che abbozza una mappa, non il geniere di un esercito conquistatore che traccia una strada o una ferrovia su un luogo che già conosce e domina.

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