7. Rispetto

Il 17 febbraio 2005 l’economista e uomo politico Romano Prodi prende la decisione di aprire un blog. Ciò attira l’attenzione del pubblico e dei media: non si tratta del primo esperimento di blog aperto da un uomo politico, ma Prodi è stato ministro, presidente del Consiglio e presidente della Commissione europea, e gode di una notorietà molto superiore a quella degli altri politici-bloggers.

L’esordio di Prodi come blogger è decisamente riuscito. Il primo post ha un tono personale e argomentativo, e dà l’idea che il suo autore sia realmente interessato a comunicare in rete.

A dir la verità ci ho pensato: perché avere un sito mio? Ho sempre ritenuto molto più importante il contatto personale, reale con gli altri […] Ci ho ragionato e mi son detto che se può servire a farmi dialogare anche solo con una persona in più di quelle che posso incontrare, se può appassionare al nostro progetto anche solo una donna o un uomo in più, allora ne vale la pena.1

Praticamente tutti i bloggers italiani lo commentano in termini molto positivi, convogliando così i propri lettori sul sito di Prodi. I navigatori discutono sull’identità dell’autore materiale del post: sarà Prodi in persona o un collaboratore (la maggioranza sembra propendere per la prima ipotesi)? Il traffico sul sito si impenna. Il popolo della rete sembra avere trovato il proprio punto di riferimento politico.

Qualche settimana trascorre senza nuovi post. Il blogger Antonio Sofi inizia una serie quotidiana di post intitolata Prodi Blog Watch (“Il blog del presidente, infatti, nato otto giorni fa, è ancora desolatamente fermo al primo post”; “Nono giorno: ancora non si è risvegliato”). L’entusiasmo iniziale per la mossa di apertura e trasparenza di Prodi si trasforma in ironia, poi in sarcasmo. Quando il secondo post viene finalmente pubblicato (il 28 febbraio), non fa che peggiorare le cose: è breve, sostanzialmente privo di contenuto e scritto con uno stile pesante e retorico. Un altro blogger, Samuele Cafasso, ne propone una “traduzione in italiano” che viene immediatamente ripresa da una grande quantità di altri siti e blog. Vale la pena di leggerla tutta2:

Romano Prodi

Traduzione di Samuele Cafasso

Scusate il ritardo. Giornate dense di decisioni e di fatti importanti che mi hanno assorbito completamente.

Sono ancora vivo. Ma ho da fare cose importanti e non ho tempo per questo blog.

Come la nascita della Federazione dellUlivo. Un grande passo in avanti, politico e non solo.

Nonostante Rutelli siamo riusciti a presentare la federazione e ora siamo tutti più uniti.

Da ieri, finalmente, le culture politiche che hanno fatto la Repubblica e scritto la Costituzione sono insieme in modo solido e convinto.

W l’Italia, la Costituzione, la democrazia.

Abbiamo tutti lavorato per questo obiettivo e adesso siamo pronti per costruire il futuro dell’Italia.

Se volete saperne di più compratevi il giornale. Ciao.

Il 26 marzo il blog mostra la dicitura “Lavori in corso. Blog temporaneamente sospeso fino alle Regionali”. Il Corriere della Sera parla di autogol3; i bloggers, anche quelli simpatizzanti per il suo progetto politico, usano termini anche più crudi. Prodi non riprenderà mai l’esperimento.

Per chi è estraneo alle dinamiche sociali in internet questa storia può risultare incomprensibile. Com’è possibile che, in meno di un mese, Prodi abbia potuto costruire e subito dopo distruggere un’immagine smagliante di politico innovatore, trasparente e aperto al confronto? Com’è possibile che la frequenza e lo stile dei post abbiano un tale impatto sulla reputazione in rete dell’autore?

Credo che la risposta a questa domanda stia nella parola “rispetto”4. Scegliendo di usare un blog per cercare un rapporto con la società civile in rete, Prodi fa una promessa implicita: unirsi alla conversazione, da blogger tra i bloggers, alla pari. Parlare, ma anche ascoltare. Il blog, infatti, è fatto per la conversazione a più voci. Chi scrive si impegna anche a leggere ciò che scrivono altri bloggers, tramite un articolato sistema di etichettatura dei post e di motori di ricerca che consentono di ricostruire la discussione; inoltre, quasi sempre (ma non nel caso di Prodi) i lettori possono lasciare commenti ai post. Aprendo un blog, Prodi promette uno scambio; compie un gesto di rispetto nei confronti della conversazione globale in cui entra. Il tono caldo e personale del suo primo post gli conferisce credibilità. Nei giorni successivi al 17 febbraio, invece, non si comporta da blogger. Non scrive, o scrive in politichese. Il suo comportamento viene interpretato come irrispettoso da parte di chi frequenta la rete; è come se Prodi si appropriasse della credibilità culturale di cui il mondo dei blog gode in quella fase per fare, in realtà, comunicazione pubblicitaria. La sua popolarità in rete cresce, poi cala di nuovo, a seconda del rispetto che sa dimostrare.

ll governo wiki implica partecipazione attiva alle politiche pubbliche da parte di gruppi di cittadini. Questo tipo di partecipazione costa tempo e fatica, ed è quindi inimmaginabile se essi non percepiscono di venire trattati con profondo rispetto. Rispetto, come trasparenza, è una parola-valore: tutti sono a favore di un comportamento rispettoso. Il problema è come metterlo in pratica. Prodi non intendeva certo mancare di rispetto ai lettori del suo blog che, dopo tutto, sono i suoi sostenitori; essi, invece, si sono sentiti offesi dalla sua gestione della vicenda. Si tratta quindi di individuare un terreno comune e dei valori condivisi, all’interno dei quali costruire il dialogo. Nel contesto dell’azione di governo wiki, la parola rispetto significa soprattutto tre cose: fare e mantenere promesse credibili; stabilire e fare rispettare delle regole di interazione; costruire opportunità di agire.

Promettere per mantenere

Gli strumenti internet possono facilitare la mobilitazione dell’intelligenza collettiva, ma di per sé non sono in grado di provocarla. Ci sono competenze straordinarie là fuori, ma sono incorporate in persone che hanno molti impegni, impegni che per loro sono importanti – anche se noi li consideriamo noiosi o stupidi. Secondo Shirky5, per convincere un partecipante potenziale a partecipare davvero, occorre fargli una promessa credibile. La comunità mondiale di programmatori che svilupperà Linux si mette in moto nel 1991 sulla base della promessa fatta da Torvalds: sto sviluppando un nuovo sistema operativo (interessante!), è solo un passatempo, non sarà grande e professionale (credibile: è un obiettivo alla portata di un programmatore diciannovenne di Helsinki), sono disposto a svilupparlo insieme a voi (collaborativo).

La credibilità di una promessa si compone di due elementi. Il primo è un sano realismo: se Torvalds avesse scritto: “Ehi, costruiamo un software incredibilmente complesso che faccia concorrenza a Windows, e facciamolo senza che nessuno ci paghi!” molto probabilmente sarebbe stato liquidato come un mitomane. Al contrario, una mossa di apertura ambiziosa ma non troppo è stata decisiva per attivare l’impegno dei primi collaboratori. Solo dopo, man mano che il progetto cresceva, gli obiettivi sono stati rivisti al rialzo. Lo stesso atteggiamento, anche se in un contesto molto diverso, è stato adottato dal gruppo di Visioni Urbane. All’inizio del progetto il rapporto tra le pubbliche amministrazioni e i creativi della Basilicata era molto deteriorato; troppo perché fosse credibile dire che avremmo collaborato a impostare una policy regionale, con una delega molto ampia da parte dei decisori politici. La promessa che potevamo permetterci era più o meno questa:

Se collaborate con noi a progettare i contenuti degli spazi laboratorio creativi, il vostro lavoro sarà preso in seria considerazione. La decisione ultima spetta comunque alla giunta regionale. La decisione su dove collocare fisicamente questi spazi, invece, è politicamente troppo spinosa, quindi avverrà in totale autonomia da parte della giunta regionale, senza alcun input da parte vostra.

Forse non è esaltante, ma è certamente credibile, e infatti è stata creduta. Come ho raccontato nel capitolo 4, man mano che il progetto cresceva in autorevolezza e conquistava spazi di autonomia e di proposta, la sua promessa è stata poi resa più ambiziosa, fino a includere l’indicazione degli edifici in cui realizzare gli spazi laboratorio (nel 2008) e la partecipazione alla loro progettazione esecutiva (nel 2009).

C’è un secondo elemento che compone una promessa credibile: se inviti le persone a partecipare in modo attivo, devi contribuire al progetto comune, e rendere il tuo contributo visibile. In mancanza di qualcuno che, per primo, creda con passione in una nuova iniziativa, essa non decollerà, anche se progettata con intelligenza. Caterina Fake, co-fondatrice della piattaforma per le condivisione di fotografie Flickr, racconta che, nel primo periodo dopo il lancio della piattaforma, il personale dell’azienda viene impegnato semplicemente per usarla: la promessa di Flickr è infatti che le fotografie degli utenti – se sono abbastanza buone – potrebbero trovare un pubblico da parte di altri appassionati di fotografia. Nei primi tempi di Flickr, i dipendenti stessi costituiscono una specie di protocommunity: condividono le proprie foto sulla piattaforma, commentano quelle degli altri, chiedono loro l’amicizia e così via, contribuendo a creare soddisfazione per i primi utenti – e, quindi, ad attirarne altri. La battuta di Fake è rivelatrice: “Ho imparato che devi salutare personalmente i primi diecimila utenti”6.

La storia di Flickr è particolarmente utile nel campo delle politiche wiki, perché ci consente di smentire una credenza diffusa: quella secondo cui, fornendo una piattaforma tecnologica, essa si riempirà automaticamente di persone che interagiscono tra loro. Questo non è (sempre) vero nel settore privato, e certamente non è vero per le politiche pubbliche. A inizio 2008, per esempio, la Regione Emilia-Romagna comincia a progettare Bloomap, un social network regionale di creativi. Poplab, una rete di associazioni che si occupa di servizi per i lavoratori flessibili e precari, viene incaricata della scelta del software e del lancio, che avviene a settembre dello stesso anno7. Siccome non sono previste attività di animazione, l’unica promessa credibile che Bloomap può formulare è che i creativi emiliani sono liberi di usare la piattaforma per aggregarsi e collaborare; e siccome questa offre più o meno le stesse funzionalità di altri social network che sono già molto frequentati – da MySpace a Facebook – è davvero poco chiaro per quale ragione i creativi emiliani dovrebbero partecipare a Bloomap invece che, per dire, costituire un gruppo su Facebook. E infatti la partecipazione non decolla: a settembre 2009 gli iscritti al forum di Bloomap sono 23, e hanno postato in tutto 75 messaggi, di cui 41 segnalazioni tecniche al webmaster. L’ultimo messaggio postato risaliva alla fine del 20088. La morale di questa storia è che, salvo eccezioni, il contributo di una pubblica amministrazione a una politica wiki non può consistere unicamente nel mettere a disposizione tecnologia. Il suo valore aggiunto è piuttosto nella legittimazione democratica e nel mettere tempo e persone a disposizione della community nascente – anche perché chiunque può creare un social network a costo basso o nullo e in modo molto semplice, utilizzando servizi come Buddypress, Elgg, Spruz o altri ancora.

Credibilità della promessa e partecipazione diretta sono entrambi segnali di rispetto per le persone che si desidera coinvolgere. La buona notizia per le politiche wiki è che le autorità pubbliche sono in genere posizionate bene per formulare promesse credibili. Hanno leggi e atti amministrativi che assegnano loro compiti e responsabilità (il che le rende credibili); nelle democrazie, sono fortemente legittimate ad occuparsi dell’interesse comune, cioè dello spazio di azione su cui ha più senso mobilitare l’intelligenza collettiva; non hanno fini di profitto (il che contribuisce a ridurre la diffidenza); e dispongono di budget e personale che possono dedicare a una nuova iniziativa (il che consente loro di fornire un proprio contributo visibile). La notizia cattiva è che i partecipanti alle politiche wiki – proprio come i lettori del blog di Prodi – tendono a punire qualunque mancanza di rispetto con il dissenso e l’abbandono dell’iniziativa. L’intelligenza collettiva sa essere incredibilmente costruttiva ma anche spietata. Le autorità impegnate in progetti di questo genere devono impegnarsi a fondo per garantire che la propria promessa rimanga credibile, e che il proprio contributo alla vita della comunità sia continuo nel tempo e di qualità alta.

Una casa accogliente

Una promessa credibile e interessante può convincere molte persone che vale la pena fare un investimento iniziale di impegno in un’azione di governo wiki. Questo, però, è solo l’inizio: i partecipanti non sono conquistati una volta per tutte, ma devono decidere di rinnovare il loro impegno continuamente. La modalità normale di partecipazione online è registrarsi a un sito, guardarsi un po’ intorno, poi uscire e non ritornare più; questo vale sia per i social network del tempo libero come Facebook o MySpace che per le piattaforme impiegate da politiche pubbliche wiki. L’esperienza di Peer-To-Patent, una community che aiuta l’ufficio brevetti americano a valutare alcuni tipi di richieste di brevetto, riporta i seguenti dati:

  • dopo poco più di un anno, il sito aveva circa 2.300 utenti registrati, che lavoravano su 84 pratiche. Circa un quinto di essi era costituito da dipendenti IBM, il principale sponsor del progetto.
  • 365 di questi utenti erano attivi. La definizione di utente attivo in questo caso è qualcuno che, almeno una volta, ha postato materiali utili alla valutazione, partecipato alla discussione, o votato i materiali di qualcun altro.
  • i materiali postati erano 255; i suggerimenti di ricerca 46; i commenti alla discussione 500 scarsi.
  • il 42% degli utenti si era collegato al sito solo una o due volte; il 36% lo visitava una volta al mese; il 19% una volta alla settimana: solo il 3% apriva Peer-to-Patent tutti i giorni.9

Questi non sono i numeri di un fallimento, tutt’altro. Peer-to-Patent è considerato un grande successo, tanto da essere cofinanziato da IBM, Microsoft e diverse altre aziende dell’hi-tech; Eric Schmidt, CEO di Google, e Barack Obama, da candidato alla presidenza, l’hanno pubblicamente lodato; una volta eletto, Obama ha chiamato la fondatrice del progetto Beth Noveck per offrirle il posto – creato ex novo dalla sua amministrazione – di vice Chief Information Officer della Casa Bianca. Gli esperti di interazione sociale online fanno spesso riferimento alla regola del 90-9-1: su cento utenti di un forum, social network o altra piattaforma di interazione online, 90 si limiteranno a leggere ciò che gli altri producono; 9 scriveranno commenti o voteranno il lavoro altrui; solo uno crea il contenuto interessante che giustifica l’intera operazione.

I numeri di Kublai (o almeno della sua parte che è un social network sul web) sono simili. Dopo otto mesi dal lancio di progettokublai.ning.com:

  • gli utenti registrati erano 649, quelli attivi 183.
  • i progetti creati erano 79; di questi, 75 erano considerati attivi, cioè avevano ricevuto almeno un post come contributo alla discussione.
  • i post complessivamente scritti nelle aree dei progetti erano 1594.10

Per le politiche wiki è relativamente facile raggiungere molte persone, ma è ancora più facile perderle di nuovo. Dunque, è di importanza fondamentale creare un ambiente accogliente, in cui la partecipazione risulti fluida e piacevole. Questo ha a che fare con la tecnologia che si usa, ma ancor più con le regole di interazione sociale che valgono in quell’ambiente. Consideriamo l’esempio del WELL, una delle primissime comunità virtuali – quella, per intenderci, che Howard Rheingold frequentava nel 1993: l’elenco delle conferenze pubbliche era lungo quattro pagine, e comprendeva argomenti diversissimi tra loro (dai terremoti, alla finanza, ai Grateful Dead). Sia le conferenze pubbliche che quelle private (cioè a invito) usavano lo stesso software, e avevano esattamente lo stesso aspetto e gli stessi menù. Eppure conferenze diverse avevano atmosfere completamente diverse; alcune erano percorse da continui scontri tra persone con idee politiche differenti, o semplicemente tra fan di diverse marche di computer; altre, come la conferenza dei genitori, erano “cerchi sacri” all’interno dei quali il sostegno reciproco e l’empatia erano la regola. Secondo Rheingold, le stesse persone potevano comportarsi in modo aggressivo e sgradevole in una conferenza, e in modo educatissimo e costruttivo in un’altra.

Naturalmente, chi si occupa di politiche pubbliche ha bisogno di un ambiente di interazione che non incoraggi la critica distruttiva e generalizzata e la tendenza alla lamentela di parte del pubblico. L’efficacia della rete nell’aprire canali di comunicazione tra cittadini e amministratori, paradossalmente, presenta uno svantaggio iniziale: appena i primi capiscono che si è aperto un canale funzionante, cercano di fare passare tutti i loro rapporti con i secondi attraverso quel canale. Così, il sito di interazione sociale rischia di trasformarsi in una gigantesca bacheca delle lamentele.

Il progetto Visioni Urbane, ad esempio, nasce per coprogettare spazi laboratorio; ma naturalmente, alla prima riunione i creativi lucani ci dicono subito che gli spazi laboratorio sono certo una bellissima cosa, ma che sarebbe più urgente riformare la politica culturale regionale in modo da rendere più semplice e trasparente la collaborazione tra Regione e operatori. Noi non abbiamo mai avuto un ruolo nella politica culturale, e non abbiamo nessun modo di influenzarla, ma questo non impedisce alle tensioni e ai malcontenti accumulatisi negli anni di scaricarsi sul nostro progetto. Per forza: noi siamo lì a parlare con loro, mentre gli altri uffici della Regione no. “La prima volta che incontri una comunità locale su un nuovo progetto – conclude l’esperto inglese di e-government Tim Anderson – vieni sommerso da lamentele di tutti i tipi, anche se non hanno attinenza con il progetto. Devi prenderti il tempo per ascoltare prima di potere cominciare il lavoro.”11

La mia esperienza è che la qualità di un ambiente di interazione sia abbastanza semplice da impostare quando questo muove i primi passi, e l’influenza del gruppo fondatore è molto forte. Man mano che la community cresce diventa sempre più difficile modificarne gli orientamenti, quindi è importante partire con il piede giusto. Quando lanciamo Kublai, nel 2008, decidiamo di caratterizzarlo come un ambiente orientato al lavoro (anche per dargli un valore aggiunto rispetto alle corazzate dell’intrattenimento sociale online come Facebook e MySpace). Man mano che i primi documenti di progetto vengono caricati sul sito, reagiamo con commenti dettagliati e puliti, che contengono quasi sempre citazioni dai documenti di progetto stessi. Il tenore è questo:

Prendo tempo e mi riprometto di darvi qualcosa di più elaborato e puntuale. Ma un paio di cose (sulla versione 1.1., non su quella successiva che vedo solo ora: mi scuso in anticipo se questi commenti non sono più attuali o pertinenti) ve le voglio già dire.

1. Il documento è molto forte ed efficace: si fa leggere con grande interesse, piacere e divertimento; è scritto molto bene; innova nel format, nel linguaggio e nella sequenza narrativa; molto ricco e intelligibile come informazione, simil-benchmarking, e in alcune ipotesi posizionamento di mercato e di prospettiva di sviluppo; è completo, fresco e rinfrescante. In una parola: super-cool. Complimenti. La carota finisce qui, il resto è bastone : )

2. Premessa: ricordo che nel corso dell’help desk qualcuno, forse Alberto, aveva segnalato che sarebbe stato difficile mantenere tutte le anime e obiettivi, per lo meno nella presentazione e narrativa del progetto. E infatti, mi sa che ci siamo…

3. Il documento è molto debole su un aspetto, dal mio punto di vista, decisivo: quasi impercettibile, evanescente è infatti l’individuazione esplicita di obiettivi, prospettive, potenziale, e carica innovativa di CriticalCity per la riqualificazione ludica partecipata e, in senso più ampio, come strumento per la produzione di beni collettivi e per il miglioramento della qualità della città e della vita urbana. […]12

Oltre a intervenire nel merito del progetto, il commentatore fa capire di avere letto il documento molto attentamente, di avere dedicato tempo ed energie a scrivere un commento al massimo livello, di prendere la proposta sul serio. In una parola, dimostra rispetto. Queste pratiche, su cui abbiamo insistito molto negli ultimi mesi del 2008, hanno costituito la griglia lungo la quale i comportamenti sociali di Kublai si sono cristallizzati. La community è cresciuta molto numericamente, ma i nuovi arrivati si sono adattati allo stile di interazione che i primi utenti avevano negoziato con noi o se ne sono andati. Kublai è diventata una comunità in cui vigono regole universalmente rispettate. Per esempio, è vissuta come uno spazio di lavoro: postare foto di gatti e video della famiglia è considerato poco appropriato; il linguaggio è molto sobrio; lo stile di interazione è orientato ai contenuti, per cui possono esservi dissensi anche netti sui progetti, ma non attacchi personali. Ogni tanto è necessario un intervento per allontanare qualche escort e qualche seccatore, ma in genere queste persone vengono scoperte e bandite, e i loro contenuti cancellati entro un’ora o due. Niente che possa minacciare il normale svolgersi del lavoro.

Spazi per il fare: Peer-to-Patent

La più alta dimostrazione di rispetto che l’azione di governo wiki possa tributare ai cittadini è lasciare loro spazi per l’azione. Per fare qualcosa, concretamente. I governi democratici hanno una tradizione di partecipazione popolare, ma essa tende ad essere deliberativa: i cittadini vengono chiamati a dare il loro parere su una policy in discussione (per esempio una legge, o il piano regolatore di un comune), o ad esprimere una valutazione su una policy già in essere. Essi, dunque, contribuiscono a definire la posizione di un’autorità pubblica su un certo argomento – anche se in genere l’ultima parola spetta a rappresentanti eletti o dirigenti dell’autorità in questione.

La partecipazione deliberativa permette di sentire il polso politico su certi temi, ma non si è dimostrata molto efficace nell’indirizzare la discussione verso nuove soluzioni. La qualità dei contributi, infatti, tende ad essere bassa. La ragione è semplice: attivisti e lobbisti tendono ad usare questo spazio come una cassa di risonanza per le proprie posizioni. Noveck riporta dati americani abbastanza sconfortanti: uno studio su un campione di commenti ricevuti dall’Ente per la protezione ambientale americano mostra che solo una piccola minoranza (il 6%) è stata presentata da singoli cittadini: la maggioranza (il 60%) viene da rappresentanti dell’industria e di gruppi di interesse. Anche quando i cittadini presentano commenti, essi in genere contengono ben poca informazione; sono molto spesso cartoline identiche con firme diverse. Sempre Noveck riferisce che sul mezzo milione di commenti ricevuti dall’EPA a proposito di un provvedimento del 2004, solo 4.500 erano unici. Le autorità pubbliche traggono ben poco valore dal passare in rassegna questi commenti: pochissima informazione vera è nascosta dentro un mare di commenti-fotocopia e di commenti non imparziali13.

Ma la partecipazione deliberativa ha un problema ancora più fondamentale: presuppone un utente in grado di discutere – nei casi più virtuosi (pochissimi) perfino di discutere per prendere una decisione14 – ma non di agire. In altre parole, non lo rispetta fino in fondo. In questo senso esse sono diversissime da Wikipedia: i volontari della community di Wikipedia non consigliano un gruppo di professionisti su come scrivere l’enciclopedia, ma la scrivono direttamente, senza filtri a parte un’attività di censura e revisione gestita in gran parte dalla community stessa. Deliberano, certo – dopotutto scrivere un’enciclopedia richiede un dibattito su come farlo – ma soprattutto collaborano. Questo aspetto di azione diretta è un potente fattore motivante per i wikipediani.

Le politiche pubbliche wiki derivano la loro straordinaria efficienza proprio dal fatto di mobilitare communities di volontari alla collaborazione con le autorità pubbliche. Un esempio molto noto è il già citato Peer-to-Patent: il servizio viene ideato da Beth Noveck, blogger e docente di un corso di diritto dei brevetti alla New York Law School. L’ufficio brevetti gioca un ruolo importante: l’economia degli Stati Uniti si basa su un flusso continuo di innovazione per rimanere competitiva. Ricerca e innovazione sono incoraggiate, e portano un gran numero di ricercatori a inventare, e a brevettare le loro invenzioni.

Il sistema, però, ha un lato oscuro: le particolarità del sistema legale americano portano alcune aziende e singoli inventori a brevettare un gran numero di invenzioni non per metterle sul mercato, ma per aspettare che qualche altra azienda arrivi indipendentemente alla stessa idea e la metta in produzione e, a quel punto, farle causa. Questi soggetti vengono chiamati patent trolls (più o meno “gli orchi dei brevetti”), e il loro modello di business, benché parassitario, può essere molto solido, perché le cause civili collegate ai brevetti possono essere molto ricche negli Stati Uniti (nel 2003 Pricewaterhouse-Coopers stima che il risarcimento medio in questo tipo di causa sia di 29 milioni di dollari). I trolls hanno naturalmente interesse a brevettare molto, per incrementare il loro portafoglio di invenzioni; e non tutti i brevetti sono di alta qualità. Alcune pratiche di richiesta di brevetto riguardano idee già inventate e mai brevettate: se potessero, i trolls brevetterebbero la ruota e il fuoco.

Purtroppo l’ufficio brevetti fatica a distinguere tra le richieste di alta qualità e quelle di bassa qualità. Negli ultimi vent’anni, le pratiche sono aumentate molto per l’effetto combinato dell’alto tasso di innovazione dell’economia americana, dell’espansione di ciò che è legalmente brevettabile (dal software alle sequenze di geni) e dell’attività dei trolls. Oggi l’ufficio brevetti americano riceve oltre 400.000 richieste all’anno in campi che spaziano dai giochi da tavolo alla tecnologia aerospaziale, e ha un carico di lavoro arretrato di circa 750.000 richieste da smaltire. Chi presenta una richiesta deve attendere in media trentun mesi per ricevere una risposta; il Congresso, sollecitato dai rappresentanti delle imprese, tiene l’ufficio brevetti sotto pressione per ridurre il più possibile queste attese. I 4.500 esaminatori – che naturalmente non possono essere esperti di tutto – hanno solo venti ore per elaborare ciascuna pratica. Essi possono rifiutare di concedere il brevetto solo in un caso: quello in cui dimostrino l’esistenza di un’invenzione analoga, antecedente alla richiesta. Gli inventori – che mirano a farsi rilasciare il brevetto – scrivono domande lunghe e complicate: più tempo serve per leggerle, meno tempo avrà l’esaminatore per documentarsi sull’effettiva innovatività dell’invenzione. Gli esaminatori – che mirano a proteggere la qualità dei brevetti, respingendo le richieste poco innovative – sono semplicemente sopraffatti, e non riescono a controllare fino in fondo le dichiarazioni degli inventori. Risultato: troppi brevetti di bassa qualità. Nel 2002 l’ufficio brevetti arriva a rilasciare a un bambino di cinque anni (assistito dal padre, un avvocato con il gusto della burla) un brevetto per ”un metodo per fare oscillare un’altalena”15. Il rilascio di brevetti vive insomma una crisi di attenzione.

Ispirata dalle modalità di produzione collaborativa di Wikipedia e da altre iniziative del settore privato, Noveck propone di applicare queste modalità alla fase istruttoria delle pratiche del rilascio di brevetti. La sua proposta trova l’appoggio di IBM e di altre aziende hi-tech interessate al buon funzionamento del sistema dei brevetti. Nel 2007, l’ufficio brevetti degli Stati Uniti lancia Peer-to-Patent come progetto sperimentale. L’idea è semplice: le domande di brevetto delle aziende che partecipano al programma vengono pubblicate sul sito di Peer-to-Patent. A ciascuna domanda corrisponde un gruppo di lavoro che offre all’esaminatore competente documentazione sull’effettiva innovatività dell’invenzione in oggetto. Chiunque può partecipare al programma: l’autoselezione dei partecipanti serve a consentire che ciascuno si inserisca nella discussione su cui ha maggiori competenze. I gruppi di lavoro si scambiano consigli su dove trovare documentazione rilevante sul brevetto richiesto; quando qualcuno trova qualcosa, la carica sul sito, dove il gruppo ne discute e vota sulla sua qualità e pertinenza. La documentazione che il gruppo ritiene valida viene poi girata all’esaminatore, che la prende in considerazione nel momento in cui deve decidere se concedere il brevetto o no.

Nel primo anno di vita di Peer-to-Patent, gli utenti del sito hanno collaborato su 46 domande di brevetto. Tredici di queste domande sono state respinte proprio in funzione della documentazione trovata e votata dai relativi gruppi di lavoro; in altri due casi la decisione dell’esaminatore è stata basata su suggerimenti di ricerca postati sul sito. La grande maggioranza degli esaminatori che hanno avuto l’appoggio di Peer-to-Patent hanno dichiarato che il contributo degli utenti del sito è stato di alta qualità, chiaro e ben argomentato.

Il lavoro svolto su Peer-to-Patent, quindi, è volto al fare: a erogare un servizio pubblico. La soddisfazione di fornire un contributo utile è amplificata dal fatto che questi contributi sono riconosciuti: chi ha trovato i documenti più votati viene onorato con l’inserimento in una lista di “superutenti”. Meccanismi simili sono al lavoro in Visioni Urbane – in cui la community ha vissuto con grande entusiasmo la partecipazione ai progetti esecutivi, vedendoli come un’occasione concreta di fare. L’interesse per queste pratiche sta ormai crescendo a livello internazionale: nella primavera 2009 ho partecipato a seminari su questo argomento su invito dell’OCSE e della Commissione europea.

In conclusione, questi anni di sperimentazione ci consegnano risultati incoraggianti. È evidente che i cittadini hanno desiderio, competenze e – grazie anche alla rete – meccanismi di coordinamento per partecipare. In più, molti di essi desiderano collaborare, cioè partecipare all’attuazione delle politiche pubbliche e non solo alla discussione su di esse. I meccanismi tradizionali di partecipazione non sono adeguati a soddisfare questo desiderio. Una piccola parte di questa inadeguatezza è dovuta alla mancata adozione di tecnologie appropriate. Io penso che una parte molto più grande si debba alla visione cinica dei cittadini da parte delle autorità pubbliche, che tendono a considerarli pigri, poco competenti, facili da manipolare e in generale irresponsabili: in altre parole, mancano loro di rispetto. Quando questo accade, non c’è tecnologia che tenga. Se non c’è rispetto reciproco, nessun forum o social network è in grado di garantire una proficua collaborazione tra governanti e governati, e il governo wiki rimane una promessa non realizzata.

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Note

1 http://www.webgol.it/2005/02/17/il-fotogramma-di-prodi (settembre 2009)

2 http://www.webgol.it/2005/02/28/pbw-parla-come-magni/ (settembre 2009)

3 http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2005/03_Marzo/26/blog_prodi.shtml (Settembre 2009)

4 In questo libro uso la parola “rispetto” nel senso di riconoscimento, attenzione, onore sociale. Per un lettore italiano il significato comune della parola è abbastanza centrato; per un approfondimento consiglio Sennett. R., 2003, Rispetto, Il Mulino, Bologna

5 Shirky [2008], p. 260

6 La storia viene raccontata da Shirky [2008], p.64

7 http://www.ernyblog.com/?p=692 (settembre 2009)

8 http://bloomap.org/forum/. A fine 2009 è stato fatto un tentativo, tuttora in corso, per rivitalizzare Bloomap.

9 Noveck, B.S., 2009, The Wiki Government, Brookings Institutions Press, Washington,, D.C.

10 Rossi, R., 2009, “Analisi dell’innovazione nella rete sociale del progetto Kublai”, Tesi di laurea, Modena http://tesikublai.altervista.org/tesi.php

11 Anderson, T., 2009, Intervista con l’autore

12 http://progettokublai.ning.com/xn/detail/2089256:Comment:18761 (settembre 2009)

13 Noveck [2009], p. 131

14 Luigi Bobbio distingue tra strumenti di indagine e consultazione, in cui i cittadini vengono usati come fonte di informazioni; strumenti di progettazione, in cui viene sollecitato un loro contributo di idee; e strumenti deliberativi, in cui essi vengono investiti dell’autorità di prendere qualche decisione. Nel suo resoconto di diciotto casi italiani di politiche partecipative, gli strumenti deliberativi risultano quelli meno usati, e riguardano interventi molto piccoli, finanziati con poche risorse. Bobbio, L., 2007, Amministrare con i cittadini, Rubbettino, Soveria Mannellli p. 151 (il libro si trova anche in formato elettronico: http://www.regione.toscana.it/regione/multimedia/RT/documents/1206462901486_amministrare_con_cittadini.pdf (settembre 2009)

15 Un metodo “in cui un utente posizionato su una normale altalena sospesa con due catene a un ramo sostanzialmente orizzontale induce un movimento laterale tirando alternativamente prima l’una, poi l’altra catena”. Dopo che la cosa viene resa pubblica, con l’imbarazzo che si può immaginare, il commissario ai brevetti ordina una revisione della pratica e invalida il brevetto. La storia è raccontata da Noveck [2009], p. 64

9 pensieri su “7. Rispetto

  1. Francesco Silvestri

    L’unica cosa che i sento di segnalare su questo capitolo è che sembri accennare alla questione del rispetto solo in via unidirezionale (chi organizza il Blog, soprattutto se un’autorità pubblica, che rispetto ha degli utenti?). Accenni solo fugacemente all’aspetto opposto (nello specifico, quando dici che hai allontanato da Kublai l’escort ed il seccatore), ma la questione merita in realtà più spazio. È evidente quando dici che nel suo blog Prodi non ammetteva la replica; hai ragione, a quel punto diventa un diario personale di poco interesse (e quindi poco rispettoso), ma ti immagini la montagna di insulti che avrebbe attirato?

    Anni fa, quando non esistevano i blog, Radio radicale decise di aprire uno spazio di diretta non filtrata; chiunque poteva telefonare e dire la sua senza contraddittorio; dopo tre giorni di tifosi del Milan che telefonavano per insultare i tifosi ed i giocatori dell’Inter (e viceversa, e viceversa con tutte le squadre e tutti i partiti politici) e di dediche a Giorgio che è un figo, decisero di chiudere l’esperienza (Disegni e Caviglia ci fecero anche una striscia su Cuore). Insomma, come si limita il rischio di interventi inutili, maleducati o critici senza costrutto? Come si evita l’intasamento da ignoranza, che è il contrario del rispetto e distrugge un blog?

    In realtà, dai una risposta al successivo cap. 10

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    1. Alberto Autore articolo

      Francesco, probabilmente dovrei essere più esplicito su questo punto. Qui ho le idee molto chiare: il pericolo della “montagna di insulti” che citi è molto, molto minore di quanto sembri credere. O almeno, lo è per le persone che mostrano rispetto per i loro lettori o i membri della loro community. Per coincidenza, proprio oggi ho letto su Wired una di quelle affermazioni sintetiche che mi rendono Clay Shirky così caro:

      Se ipotizzi la malafede da parte del partecipante medio, probabilmente la otterrai. Nei media sociali, il principio di progettazione che ha funzionato davvero bene è di trattare la buona fede come il caso normale, e considerare la defezione come, in essenza, un caso speciale da risolvere

      L’articolo completo è qui.

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  2. Beth S. Noveck

    Fantastic! I wholeheartedly agree with the implicit rejection of the deliberative approach to decisionmaking in Chapter 1, ie. that by controlling the inputs, you can achieve the best output. You cannot know all the stakeholders in advance. You have to articulate the problem and let those with interest and expertise find and help to solve it. You have to respect and trust that others can help to solve the problem.

    You say: “This book argues that there is no silver bullet. No procedure, however carefully designed and inspired by rational criteria such as those of Bobbio, allows automatically to avoid errors. No solution can promise organizational certainty of outcome. There are no magic formulas, no shortcuts, no discounts. The only way to make wise decisions is really dissect the problems, turn them in mind, look at them from different points of view, documents, studies. The scarce resource to make public decisions is the same as always in short supply: human intelligence.”

    First question for me is: who is your audience here? If it’s the general public, I’d like to see you explain how and why this matters and what I can do about it? Perhaps some discussion about how, if we can get this right (where we understand that there is no 1 right answer) we make the world a better place would be compelling at this juncture.

    If it’s the public policy expert or political official, I want to know what you’re going to tell me in this book that should make me want to read it. So a roadmap would be useful here, too.

    In my view, you stop short of really crystallizing your argument in Chapter 1. Hence, despite your claiming not to be a pessimist, I’m left with the sense that you’re going to give me a series of war stories but that I won’t know any better at the end how to do things differently. I also don’t have a sense of the urgency, which I should. It’s very hard to convey why fixing the way government makes decisions matters. But, without even reading the last chapter…yet…I”m sure you do it there. I’d love to see you say so up front.

    As I read it, the core of your argument echoes what I describe as collaborative governance, which I posit as a new articulation of participatory democratic theory that should define our thinking about about public institutions in the 21st century. Chapter 2 of Wiki Government is the place that these ideas are most concretely articulated. Perhaps a quote from there will jump start some further exposition of your thesis in the Italian context in your Chapter 1.

    A few thoughts on Chapter 7. Despite the title of my book, I don’t call this wiki policy (see your reference in Chapter 7), which would suggest that the last person to make the change “wins.” Readers often assume that “wiki” implies a direct democratic approach, whereby citizens make all the decisions on their own through crowdsourcing techniques. Instead, we are both interested in the collaborative space where institutions and networks work together to make decisions. It goes beyond mere talk (i.e. citizen engagement in the old fashioned sense) but stops short of decision by plebiscite to recognize that there’s a focused, middle-gronnd for organized and manageable collaboration. Instead of wiki policy, maybe refer to this as collaborative governance or at least put wiki policy in quotes.

    Whereas my book stops with the first evaluation of P2P, there was a second one done in year two and it is available online on the Peer to Patent site. Second, the USPTO is adapting P2Patent as part of its practice. And pilots are underway in Japan, Korea, and Australia at present. But, in addition to adding these updates, it might be good to say that the concepts behind Peer to Patent have now become the cornerstone of the U.S. Government’s national policy and the creation of the White House Open Government Initiative (www.whitehouse.gov/open). You might be interested in the short video the govt made about Peer to Patent that’s available in the Innovations Gallery at whitehouse.gov/open.

    If still helpful at this juncture, happy to provide additional comments here or via skype. Congratulations on this great achievement. Best, Beth

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    1. Alberto Autore articolo

      Points taken, Beth, thanks! Chapter 7: I’ll look up the second Peer-to-Patent analysis and integrate it into the text. Chapter 1: my intended audience is the sum of well-meaning, dedicated civil servants of any level in the hierarchy and community leaders or just interested citizens. Of course you are not talking about bestsellers here. 😉 I am not sure whether the road map (which, I agree, is needed) feels better in Chapter 1 or in the not-yet-written insipirational introductions. I think I’ll make a stab at the introduction first.

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  3. robertina

    Paragrafo “Spazi per il fare: Peer-to-Patent”, primo capoverso: premesso che non so se si tratti di una definizione pacifica in materia, non mi convince molto parlare di “partecipazione deliberativa” per indicare quella che descrivi come tradizionale modalità di partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche. Questa espressione, personalmente, mi fa pensare ad un coinvolgimento attivo nella decisione che (almeno nella mia testa) contrasta con la mera possibilità di esprimere il proprio punto di vista o anche di rilasciare un formale parere su un dato argomento: per questo userei piuttosto l’aggettivo “consultiva”.

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    1. Alberto Autore articolo

      Ottima osservazione. In effetti una distinzione tra consultazione, progettazione e deliberazione viene fatta in nota.

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  4. Dimitri Tartari

    Ciao Alberto… ovviamente fuori tempo massimo… ma non mi è stato possibile fare diversamente. Prendi i miei suggerimenti se e come puoi.

    “A inizio 2008, per esempio, la Regione Emilia-Romagna comincia a progettare Bloomap, un social network regionale di creativi. Poplab, una rete di associazioni che si occupa di servizi per i lavoratori flessibili e precari, viene incaricata della scelta del software e del lancio, che avviene a settembre dello stesso anno7. Siccome non sono previste attività di animazione, l’unica promessa credibile che Bloomap può formulare è che i creativi emiliani sono liberi di usare la piattaforma per aggregarsi e collaborare; e siccome questa offre più o meno le stesse funzionalità di altri social network che sono già molto frequentati – da MySpace a Facebook – è davvero poco chiaro per quale ragione i creativi emiliani dovrebbero partecipare a Bloomap invece che, per dire, costituire un gruppo su Facebook.”

    > A dire il vero quello che è stato fatto è una indagine sul fenomeno del lavoro creativo in regione e sulla diffusione ed uso di strumenti social tra i componenti del settore. Sono poi stati fatti focus group nei quali si è chiesto ai “creativi” se e come un social network li avrebbe potuti aiutare e servire. Da loro è emersa l’esigenza di qualcosa che non fosse facebook e mysace, poco professionali e troppo ludici, uno spazio in cui presentare i propri lavori e trovare un legame forte con il territorio (devo dirti che la cosa stupì e non poco anche me). L’attività di animazione fu prevista da subito e richiesta nei focus group, in particolare momenti ed eventi fisici in cui incontrarsi come comunità ed esprimere le proprie capacità (sono stati fatti diversi aperitivi e serate – contest musicali, mostre ed esibizioni). Poi è vero il progetto (per varie ragioni) ha rallentato.

    “E infatti la partecipazione non decolla: a settembre 2009 gli iscritti al forum di Bloomap sono 23, e hanno postato in tutto 75 messaggi, di cui 41 segnalazioni tecniche al webmaster.”

    > il forum da subito era stato identificato come il luogo su cui raccogliere le segnalazioni tecniche, se gli utenti volevano comunicare avevano la messaggistica interna, le bacheche, gli add, ecc… Lasciammo l’opzione di aprire nuovi argomenti nel forum giusto per non relegarlo alla funzione tecnica.

    “L’ultimo messaggio postato risaliva alla fine del 2008. La morale di questa storia è che, salvo eccezioni, il contributo di una pubblica amministrazione a una politica wiki non può consistere unicamente nel mettere a disposizione tecnologia. Il suo valore aggiunto è piuttosto nella legittimazione democratica e nel mettere tempo e persone a disposizione della community nascente – anche perché chiunque può creare un social network a costo basso o nullo e in modo molto semplice, utilizzando servizi come Buddypress, Elgg, Spruz o altri ancora.”

    > bloomap è su wordpress, visto che buddypress non era ancora maturo, e quindi i costi sono molto bassi… tendenti allo zero. Tutto il resto, poco, lo abbiamo messo in animazione, incontri, persone che contattano gli utenti e gli segnalano opportunità.

    A presto,
    Dimitri

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  5. antonioitalia

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