Ottobre 2009. Enrico Alletto è un progettista di Kublai, un membro molto attivo della community. In un forum rivela che si sta chiedendo se e come proseguire la sua partecipazione:
Un aspetto che mi lascia un po’ interdetto sono queste sinergie che portano via molto tempo a Kublai, secondo me sottraendole ai piccoli neo-progettisti, tra soggetti in qualche modo già grandi […] e già contestualizzati in territori per cui se non sei lì fisicamente sei escluso per ovvi motivi logistici.
Per farla breve, in questo periodo sto cercando di capire se [il mio progetto e io stesso] si possono ancora contestualizzare nella community di Kublai, che nel frattempo sta inevitabilmente e giustamente evolvendo e mutando, ottenendo ancora “reciprocità” oppure no.1
Enrico fa riferimento a un episodio recentemente accaduto: un altro kublaiano, che gestisce in Sicilia un progetto europeo finanziato, ha proposto a tre progetti di Kublai — due siciliani, il terzo napoletano — di diventare attività pilota dell’iniziativa europea. Si tratta ovviamente di una bella opportunità, perché apre ai progettisti nuovi contatti e un possibile canale di finanziamento.
La delusione di Enrico è comprensibile. Il suo progetto ne rimane escluso, sia perché si svolge in luoghi fisicamente lontani dalla Sicilia (la Liguria), sia perché non fa massa critica. Il progetto non siciliano a cui l’opportunità è stata offerta è, in assoluto, quello con il maggior numero di partecipanti su Kublai, con una propria community già attiva, un’esperienza già di successo. Vista con gli occhi di Enrico, questa è la storia di un ambiente che aiuta soprattutto chi meno ne ha bisogno.
La legge di Pareto e la rete
Il punto di vista di Enrico è sostanzialmente corretto. Su Kublai la partecipazione non è affatto distribuita equamente tra i diversi progetti. Su 146 progetti presenti l’11 ottobre 2009, ben 83 non superano i 15 iscritti. Solo 26 hanno più di 25 iscritti, e di questi soltanto 4 superano i 50 (con rispettivamente 102, 99, 91 e 68 iscritti). Il numero di iscritti è una misura molto rozza della partecipazione; uno studio più dettagliato compiuto a marzo 2009 aveva misurato la partecipazione prendendo come unità di misura i messaggi postati sui forum di progetto, ottenendo risultati molto simili. La partecipazione è sbilanciata su pochi progetti, che ottengono una quota sproporzionata dell’attenzione della community2 .
Questa situazione non riflette un difetto di progettazione di Kublai. Moltissimi fenomeni in rete seguono la cosiddetta legge di Pareto: il 20% dei siti genera l’80% del traffico, il 20% dei blog attira l’80% dei link e così via. Shirky spiega questo fenomeno con la combinazione della libertà di scelta con la tendenza al coordinamento sociale delle preferenze:
Le preferenze delle persone non sono indipendenti le une dalle altre. Se assumiamo che un blog scelto da un utente abbia più probabilità di essere scelto da un altro utente, anche se di poco, il sistema cambia moltissimo. Alice, la prima utente, fa la sua scelta senza essere influenzata da nessuno, ma Bob ha una probabilità un po’ più alta di scegliere i blog di Alice rispetto agli altri. Quando Bob ha finito, qualunque blog che piaccia sia a lui che ad Alice ha una probabilità maggiore di essere scelto da Carmen e così via, con un piccolo numero di blog che diventa sempre più probabile scegliere perché sono stati scelti in passato. […] in un sistema diversificato e libero, qualunque tendenza anche leggera ad assumere, per qualunque ragione, posizioni concordanti, può creare distribuzioni di Pareto.3
I funzionari pubblici e i politici in genere non amano la legge di Pareto. E con ottime ragioni: l’uguaglianza è un valore cardine per l’umanità, scritto a chiare lettere nella maggior parte delle costituzioni. La distribuzione dell’attenzione che vorrebbero vedere è una linea orizzontale, in cui più o meno tutti i siti generano più o meno la stessa quantità di traffico e tutti i progetti di Kublai attirano più o meno la stessa attenzione. Guardando questi dati, il loro istinto è quello di lavorare sugli ultimi, sulle idee e le persone che le dinamiche di rete non hanno premiato, per portare tutti allo stesso livello.
Questo istinto è nobile, ma in rete è sbagliato. Lo è per tre motivi.
- se l’accesso è mantenuto aperto, la situazione è equa.
- questo approccio interferisce con l’autoselezione dei partecipanti, che è la fonte della grande efficacia delle politiche wiki.
- e soprattutto manda un segnale sbagliato, impedendo alla community di scegliere i propri membri più visibili secondo i propri valori.
Vedere alcuni tipi di diseguaglianza non come errori da correggere, ma come caratteristiche del sistema — e perfino segni del suo buon funzionamento — è controintuitivo, e merita qualche spiegazione in più.
Equità nella disuguaglianza
Lo abbiamo visto praticamente in tutti gli esempi riportati in questo libro: l’accesso alle politiche wiki è sempre molto aperto. Bastano pochi clic per registrarsi (e a volte nemmeno questo è richiesto) e si può iniziare a contribuire. La distanza fisica non è un problema, perché l’interazione viaggia sulla rete; in genere non lo sono nemmeno i tempi e gli orari, grazie a forum, mailing list, blog e altre modalità asincrone di comunicazione. Alle politiche wiki puoi partecipare da casa, o quando sei in viaggio; ti ci puoi dedicare in orario di lavoro — se il tuo lavoro te lo consente — o la sera, dopo avere messo a letto i bambini. Il costo monetario di partecipazione è zero o trascurabile. Nelle politiche wiki è facile entrare, per tutti: si parte alla pari.
Una volta messo in moto il meccanismo, qualcuno dei partecipanti per forza di cose emergerà. Ma nei processi wiki le rendite di posizione sono meno marcate rispetto ai sistemi tradizionali. Le persone che ottengono molta attenzione da parte della community sono costantemente sfidate da nuovi entranti. Ci sono nuovi post, nuovi blog che si fanno largo e tendono a erodere la reputazione che i primi si sono costruiti. Un progetto di Kublai molto amato, o un blogger molto letto, devono continuare a muoversi, ad accrescere il valore che offrono alla comunità se vogliono mantenersi popolari. Se non lo fanno, il ricordo dei loro primi successi sbiadirà per effetto delle continue nuove entrate che si propongono all’attenzione generale. Questo impedisce che si generino forti rendite di posizione, cedendo una parte troppo grande dei processi di policy a soggetti che non lo meritano. Wiki è un mondo rapido, che costringe tutti al continuo movimento4 .
Infine, le persone che conquistano una visibilità alta nei processi collaborativi wiki l’hanno meritata. Hanno passato ore a migliorare le voci di un’enciclopedia. Hanno sostenuto lunghe discussioni in un forum, leggendo tutti i contributi e replicando punto per punto. Hanno trovato e condiviso materiale interessante. Hanno realizzato video o grafici che le altre persone hanno apprezzato. C’è un senso di giustizia nella maggiore visibilità di cui godono rispetto ad altri. Non avrebbe senso che un’autorità pubblica impegnata in una politica wiki non riconoscesse il valore che queste persone apportano. Se ci sono delle star, è perché la community le ha scelte.
I processi collaborativi, quindi, non producono uguaglianza: tendono a discriminare in modo netto tra chi contribuisce molto e tutti gli altri. È la community che premia i partecipanti più meritevoli; quello che l’autorità può fare è garantire non l’uniformità dei risultati, ma l’equità dell’accesso. Occorre fare uno sforzo costante per consentire a tutti di entrare nel sistema, e avere con i suoi membri più in vista un confronto alla pari, basato soltanto sui contenuti e sulla forza degli argomenti.
Purtroppo, c’è un fattore fondamentale che limita l’accesso a qualunque politica wiki: il cosiddetto digital divide, che nasce sia da ostacoli tecnici (l’impossibilità di connettersi alla banda larga), sia da ostacoli culturali (come l’uso del testo scritto). Comprendere a fondo il digital divide è molto importante per occuparsi di politiche wiki: questo libro lo tratta nel capitolo 11.
Autoselezione e disuguaglianza
I partecipanti alle politiche wiki non vengono coinvolti dalle pubbliche amministrazioni che ne sono titolari, ma si autoselezionano (lo abbiamo visto al capitolo 2). Questo dà risultati spesso imprevedibili (come la partecipazione di molti “foresti” alla rete 40xVenezia), che sono in genere molto positivi: contributi importanti che vengono da direzioni completamente inaspettate. Ne abbiamo concluso che nelle politiche wiki gli stakeholders non si cercano, ma si apre una porta da cui chi lo desidera può entrare nel processo.
In una politica wiki ben progettata, lo stesso principio di autoselezione regola la decisione sul come e quanto partecipare. Non vi sono soglie minime alla partecipazione, e c’è molto spazio per fare “prove su strada”. Questo è assolutamente razionale: chi ha pochissime cose da portare in contributo — al limite una sola — può comunque trovare un proprio spazio. Se qualcuno, per mancanza di tempo o per la struttura dei suoi interessi, dà un solo apporto, perché rinunciarvi? Potrebbe essere un contributo di grande valore, e consentirlo non costa nulla. In Peer-to-patent, la cui efficacia si basa sulla capacità di mobilitare competenze specifiche sull’innovazione tecnologica, questo tipo di contributo può essere, e di fatto è, risolutivo: se si riescono a mobilitare le micro-élites, le dieci persone che capiscono a fondo una certa tecnologia, diventa molto più semplice giudicare l’innovatività di un brevetto che di quella tecnologia si occupa.
È razionale anche che le politiche wiki possano essere provate — e magari scartate — a costo zero e spendendo poco tempo. Come abbiamo visto, le persone danno il meglio di sé sui temi, tempi e luoghi che esse stesse scelgono. Quindi il fatto che il 42% degli utenti di Peer-to-patent si registri al sito, lo visiti una o due volte e poi non torni più indietro non è un segno di cattiva qualità. Al contrario, indica che Peer-to-patent abilita l’autoselezione. Se il sito chiedesse un solenne impegno “a scatola chiusa” a contribuire in una misura minima, attirerebbe molte meno persone. La media dei contributi alle discussioni sarebbe probabilmente più alta, e la loro distribuzione più uniforme: ma il numero assoluto dei contributi sarebbe molto, molto più basso. E la quantità di brevetti di cattiva qualità intercettati, che è l’obiettivo vero del sistema, crollerebbe.
Il principio di autoselezione nelle politiche wiki implica anche che i partecipanti non desiderino affatto essere uguali, qualunque cosa questo significhi. Io, per esempio, sono attivo sia su Kublai che su Wikipedia (e su molti altri social network, alcuni dei quali impegnati a produrre beni di pubblica utilità). Su Kublai passo tempo tutti i giorni: ho un ruolo centrale, e mi impegno molto per esserne all’altezza. Su Wikipedia sono assolutamente marginale: modifico una voce tre-quattro volte all’anno, in genere con modifiche molto piccole come correggere un refuso o riparare un link rotto. In un paio di occasioni ho fatto modifiche più profonde a voci su cui credo di avere competenze spendibili. Non ho nessun desiderio di avere un ruolo più centrale nella community di Wikipedia: mi va benissimo usare l’enciclopedia come utente, e ricompensare chi la scrive davvero con questi piccoli lavori di manutenzione. Se la Wikimedia Foundation si mettesse in testa di fare di me un wikipediano alla pari dei membri più attivi, non farebbe un favore né a me né a loro, e io non glie lo lascerei fare. Se la scelta fosse tra una partecipazione più attiva e nessuna partecipazione, rinuncerei al mio account — e Wikipedia perderebbe quel poco di valore che mi sento di offrirle. E questo sarebbe un bel problema, perché quelli come me contribuiscono poco, ma sono tanti, tantissimi, e tutti insieme finiscono per fare molto; abbiamo visto (nel capitolo 2) come i “buoni samaritani” contribuiscano in modo molto significativo alla costruzione del valore di Wikipedia.
Merito e disuguaglianza
Infine, cercare di portare una community in rete verso una situazione ugualitaria, in cui non vi siano star, crea problemi perché manda un segnale sbagliato. Se questa ha espresso delle star, lo ha fatto liberamente, nell’interazione tra i suoi membri. Se un’autorità pubblica cerca di modificare questo assetto, sta segnalando che la community non è libera di assumere la conformazione che desidera; e, peggio ancora, che il duro lavoro non paga. Cioè che, anche se i tuoi contributi sono di grande valore e la community attorno a te lo riconosce, il sistema è costruito in modo da non permetterti di emergere al di sopra di un certo limite. Non essendoci in ballo soldi, il riconoscimento tra pari e la visibilità sono praticamente l’unica moneta con cui le politiche wiki ripagano l’impegno di chi vi partecipa: segnalare che esse sono limitate equivale a invitare gli elementi migliori e più volonterosi ad andarsene.
Quest’ultimo argomento è particolarmente importante. Un autore che riceve molti link o molti commenti da parte di sconosciuti ne ottiene soddisfazione; in più, è in grado di capire meglio cos’è che quella particolare community considera un contributo di valore. Grazie a questo stimolo e a questa accresciuta comprensione, aumenteranno in lui sia il desiderio che la capacità di produrre altri contributi di qualità, che la community ricompenserà — se li gradisce — con lo stesso sistema. Lo scambio è chiaro: l’autore investe tempo e pensiero per dare alla community dei contenuti, e la community lo ricambia conferendogli status.
Perché le politiche wiki abbiano successo — cioè perché producano soluzioni ai problemi sul tappeto — occorre che questi meccanismi siano abilitati e ben lubrificati. Cercare di evitare che si producano “superstar” equivale invece a frenare i meccanismi stessi, gettando sabbia nei loro ingranaggi. Questo spezza il circolo virtuoso impegno-ricompensa-altro impegno, e porta gli elementi migliori della comunità alla disaffezione e, alla fine, all’abbandono. I social network che reclamano la nostra attenzione sono tanti; ormai cominciano a essere tanti anche quelli collegati alla progettazione e realizzazione di politiche pubbliche. Se l’impegno delle persone non viene ricompensato in un modo che esse ritengono adeguato, sarà impossibile trattenerle: la concorrenza è letteralmente a un clic di distanza.
Rendere visibile il merito
I gestori delle comunità virtuali hanno cominciato a porsi il problema degli incentivi molto prima che qualcuno pensasse di usarle per progettare politiche pubbliche. Le soluzioni che hanno inventato vanno in due direzioni. La prima è l’intervento umano: impiegare una o più persone che vivono intensamente la comunità e ne danno il tono, incoraggiando e lodando chi porta contributi di alto livello e riprendendo chi viola le regole di convivenza, o al limite congelandone l’account. Questa è la prima soluzione ad essere impiegata nella breve storia delle comunità online; John “Tex” Coate, assunto al WELL nel 1986, è la prima persona di cui ho notizia a ricevere uno stipendio per costruire una comunità online5 .
La seconda strategia per incentivare i comportamenti virtuosi in rete è incorporare gli incentivi nel software. I software più usati per gestire i forum, per esempio, usano un sistema semplicissimo: assegnano agli utenti un rango che dipende dal numero di commenti postati. Un rango più alto viene reso visibile accostando una frase al nome utente (per esempio “Giorgio – novellino” o “Mariangela – Maestro Jedi”). Ovviamente questo sistema premia l’anzianità e la costanza di partecipazione, non la qualità in sé: il principio è che le une siano correlate all’altra, cosa tutt’altro che scontata. Altri si concentrano sullo stabilire connessioni bilaterali, come i principali social network (MySpace e Facebook su tutti) che danno grande rilievo al numero di amici di ciascun utente. Altri ancora usano indicatori di popolarità: Technorati, un social network pensato per i bloggers, misura il grado di autorevolezza dei blog in base al numero di altri blog che lo hanno linkato negli ultimi sei mesi. YouTube, imitato dai principali social network per la condivisione di video, unisce misure di popolarità (numero di volte che il video è stato visto) a misure di qualità (chi lo desidera può assegnare al video un voto da 1 a 5, e il sito mostra la media dei voti riportati da ciascun video). I sistemi di valutazione del contenuto possono diventare anche molto sofisticati. Quello del sito di notizie tecnologiche Slashdot usa un sistema misto automatico-manuale: gli utenti di Slashdot ricevono apprezzamenti da moderatori umani, espressi in un’unità di misura chiamata punti di karma. Quando gli utenti raggiungono un certo livello di karma positivo, vengono promossi a moderatori, in grado di assegnare a loro volta punti di karma6 .
Questi sistemi hanno un effetto incentivante così potente da generare un paradosso: i partecipanti adattano ad essi i propri comportamenti, cercando di scalare le classifiche, e questo è un effetto voluto fintanto che la posizione in classifica è un buon indicatore di qualità. Quando la correlazione stretta tra classifica e qualità viene meno, è quasi inevitabile che alcuni utenti si mettano a barare, cercando di conquistare visibilità senza per questo generare contenuti di qualità: sistemi sofisticati come quello di Slashdot sono spesso il risultato di un gestore di comunità che tenta di costruire un sistema di segnalazione della qualità a prova di raggiro. Uno dei casi più divertenti di questo fenomeno è quello di Theyworkforyou, che ho già raccontato nel capitolo 6.
In conclusione, possiamo dire che le politiche wiki obbligano i decisori pubblici a mettere in discussione il loro concetto di uguaglianza. Tre importanti meccanismi di funzionamento delle comunità online, come abbiamo visto, generano disuguaglianze: la concordanza di scelte in un sistema libero e aperto; l’autoselezione dei partecipanti; la necessità di incentivare contributi di qualità. Tali disuguaglianze non sono un difetto di funzionamento, ma una componente ineliminabile del sistema. Occorre esserne consapevoli, perché un’iniziativa di governo wiki che cercasse di livellarle rischierebbe di vanificare l’intero meccanismo.
Dove aspirazione all’uguaglianza ed efficacia non sono in contrasto è invece nell’accesso. Più le politiche wiki sono accessibili a tutti, più intelligenze saranno attivate sul problema in questione, meglio il sistema funzionerà. Occorre quindi porre molta cura nell’assicurarsi che accedervi sia semplice e naturale. Le politiche wiki sono uno strano animale, ferocemente egualitario nell’accesso, assolutamente elitario nella selezione degli esiti.
Continua a leggere oppure torna al piano del libro
Note
2 Il numero di progetti che riceve un numero x di commenti cala esponenzialmente rispetto a x. http://tesikublai.altervista.org/tesi.php
3 http://shirky.com/writings/powerlaw_weblog.html (ottobre 2009). Questo fenomeno si ripresenta con caratteristiche simili nelle situazioni più disparate. Per esempio, l’Internet Fun Club del mio primo gruppo, i Modena CIty Ramblers, ha quasi 15.000 utenti registrati, ma 13.000 di essi non hanno mai postato nulla, e altri 500 hanno postato solo un messaggio. Solo 1.500 utenti scarsi sono andati oltre il primo messaggio; per contro, l’utente più attivo (Checco-Hasta_Siempre) ha postato quasi 8.500 messaggi dal novembre 2004 all’ottobre 2009, il che significa 4,62 messaggi al giorno per cinque anni! Il Fun Club si regge su una redazione volontaria di una decina di persone, che sono quelle che veramente animano la comunità. http://www.lagrandefamiglia.it/ (ottobre 2009).
4 Barabasi chiama questo tipo di reti “fit-gets-rich”, esattamente perché esse premiano i nodi migliori con molti links. Bianconi, G., e Barabasi, A.L., “Competition and Multiscaling in Evolving Networks”, Europhysics Letters 54 (maggio 2001)
5 Come Larry Brilliant, uno dei due soci del WELL, e Matthew McClure e Jeff Figallo, i primi due direttori, Coate veniva dalla Hog Farm, probabilmente la più grande e ambiziosa comune hippy della storia. La Hog Farm è figlia a pieno titolo della controcultura americana: ha fornito il servizio d’ordine al festival di Woodstock, e ha gestito per anni comunità utopiche orientate all’autosufficienza (la più grande, in Tennessee, esiste tuttora: all’apogeo vi abitavano oltre milleduecento persone). Aveva perfino una politica di cooperazione internazionale: Figallo aveva trascorso alcuni anni in Guatemala, aiutando ad installare acquedotti e fognature nei villaggi Maya. L’unico dei tre ad avere dei trascorsi con i computer era McClure: l’altro socio del WELL Stewart Brand assumeva i veterani della Hog Farm per la loro esperienza nella gestione di comunità fisiche [Rheingold, 2000].
6 http://slashdot.org/moderation.shtml (ottobre 2009)
Alberto ma mi citi nel tuo libro? … fra l’altro come polemicone dell’ultimora? 😎
Vabe’ dai in concetto che descrivi e interessante … 😉
Enrico, scusami. Ho scritto alle persone che, come te, sono citate per nome e cognome in Wikicrazia per chiedere loro se per caso non gli dispiacesse, ma tu devi essermi sfuggito. Posso?
Non mi pare di farti fare la figura del polemico. Ponevi un problema importante, che va ben oltre Kublai, e a cui infatti dedico un intero capitolo.
Infatti scherzavo … ovviamente si che puoi ! 😉
Gia’ che ci sono preciso una cosa: la mia delusione non era rivolta al kublaiano che gestisce in Sicilia un progetto europeo finanziato perche non mi ha scelto, ne verso i progetti (tutti piu’ che meritevoli) che sono stati scelti in quell’occasione
Isolamento, assenza di massa critica, ambiente che aiuta soprattutto chi meno ne ha bisogno … sottoscrivo tutto !
Solo una cosa: nella parte che mi riguarda: “Ottobre 2009. Enrico Alletto è un progettista di Kublai, un membro molto attivo della community. In un forum rivela che si sta chiedendo se e come proseguire la sua partecipazione:”
potresti eliminare la frase “un membro molto attivo della community” ?
Per il resto, come ho gia scritto sul blog: nulla in contrario sulla citazione
Alberto, forse qui potrebbe essere utile un riferimento ai prediction markets – sia per il loro principio di funzionamento che come possibile strumento per rendere visibile il merito nella eleborazione di nuove politiche su una piattaforma internet. I prediction markets sono si aperti a tutti ma sono efficaci nella misura in cui i partecipanti si auto-selezionano sulla base delle loro conoscenze.
Sui sistemi di incentivi online e relativi meriti e difetti come sai il dibattito e’ accesissimo – e i risultati delle ricerche spesso sono contraddittori
http://sloanreview.mit.edu/the-magazine/articles/2010/spring/51308/online-reputation-systems-how-to-design-one-that-does-what-you-need/
Qui o da qualche altra parte nel libro (se non lo hai gia` fatto e me lo sono perso) forse sarebbe interessante approfondire il concetto dei filtri. Credo che una delle importanti competenze delle amministrazioni pubbliche nell’era delle politiche wiki sara` quella di poter filtrare una enorme quantita` di informazioni contribuite dai cittadini (e non mi riferisco solo a contributi su comunita’ virtuali, ma anche foto, sms, video, ecc). Gli incentivi sono un tipo di filtro, ma in un futuro non troppo lontano uno puo’ immaginare techniche tipo sentiment analysis o language pattern recognition per filtrare i vari contributi. Un po` di tempo fa sono stato a una presentazione dell`MIT in cui hanno mostrato dei sistemi in via di elaborazione per “social network stimulation” – basati su queste techniche – che, per esempio, una pubblica amministrazione potrebbe mettere in atto per stimulare un dibattito online su una certa politica. Il paragone che facevano e` quello della smart grid dell`eletticita che puoi azionare o “spegnere” a seconda del fabbisogno. Metti per esempio che sul tuo sito ci sia un dibattito acceso sulla protezione di una specie protetta, e i “filter” automaticamente lo riconoscano e mandino un messaggio a persone che in passato hanno contribuito sullo stesso tema in modo da stimolare un dibattito con persone che presumibilmente hanno conoscenze o interesse sulla materia.
Questo pone, mi sembra, una serie di questioni pratiche per le amministrazioni, a partire dai sistemi informatici che usano (e.g. accettano contributi via sms, video, ecc; hanno filtri adeguati?, hanno capacita` adeguata), oltre al tipo di competenze nel loro staff. Quale amministrazione pubblica (a parte forse per la Casa Bianca) sta assumendo esperti di algoritmi e language analysis?
Mmm… ci devo pensare. I prediction markets sono una figata, ma li sento come un meccanismo molto diverso, devo mettere a fuoco il perché. Quanto ai filtri, l’idea è interessante, ma secondo me la cosa vera della Wikicrazia è che la conversazione stessa è un filtro – o, se vogliami essere pignoli, un meccanismo che elabora informazioni in vari modi, tra cui c’è anche il filtraggio.
La nota 89 è quasi incomprensibile su due piedi, va chiarita (ho dovuto fare un grafico di una funz exp con nr progetti in ordinata e commenti in ascissa per capire cosa intendessi!)
L’immagine alla pagina dopo è la classica immagine poco definita scaricata da internet e che non rende dal pto di vista grafico, trova modo di migliorarla, fa troppo naif (e quindi triste).
Non è solo questione di digital divide, è anche questione di alfabetizzazione. Finché si tratta di autoselezione alla partecipazione te lo puoi permettere, ma cosa succede quando iniziamo a parlare di democrazia (o anche solo di accesso ai servizi? È lecito limitare la consegna degli esiti degli esami via mail, chiedendo agli anziani di attrezzarsi? È parte del problema che in chiusura di cap. definisci “egualitarismo nell’accesso”).
Qui incorporiamo l’argomentazione “Lisa vs. Bart”.