L’industria musicale nel Frascati Living Lab?

Riunione molto interessante ieri al Trafalgar Studio di Roma, con un tavolo da riunione improvvisato nella sala grande (circondati dai pianoforti e dagli ampli Marshall e Fender!). Presenti alcune piccole e grandi aziende prevalentemente (ma non solo) dei settori musica e ICT, come Fandango-Nun Flower, Beatpick, CD Flash, Tiscali, Almaviva, Sporco Impossibile e altre ancora; e inoltre l’associazione di collecting SCF, l’Agenzia Spaziale Europea e ITech, l’incubatore tecnologico della Regione Lazio. Io partecipavo in veste di organizzatore: sono consulente del Gruppo editoriale Bixio, che mi ha affidato il compito di tracciare un possibile itinerario per i primi passi di una fondazione che gli eredi di Cesare Andrea Bixio vorrebbero costituire in memoria del padre, e che dovrebbe occuparsi di tecnologia e creatività. Insieme all’amico Francesco D’Amato (che tra l’altro coordina quello che secondo me è il miglior master universitario sulla musica che ci sia in Italia, cioè quello della Sapienza) abbiamo provato ad immaginarci un percorso possibile, in parte raccontato nell’abstract che ho presentato a eChallenges 2007. Questo percorso dovrebbe poi confluire nel secondo stadio del Frascati Living Lab, e usare la sua infrastruttura tecnologica per sperimentare nuovi prodotti, servizi, modelli di business legati alle industrie creative.

La cosa più interessante della riunione è che, almeno secondo me, ha provato il punto, e cioè questo: sul terreno in cui le industrie creative incontrano l’ICT non sono ancora emerse le regole, magari informali e non codificate ma condivise, per fare impresa con successo. In altri tempi, Andrew Carnegie, John Rockefeller e Henry Ford sarebbero stati d’accordo che una chiave del successo era produrre in grandi volumi per sfruttare le economie di scala (cioè: le tecnologie di allora implicavano una struttura dei costi e che penalizzava le piccole unità produttive e premiava quelle grandi). Oggi, invece, vi sono imprenditori che pensano che “in internet prima si fa l’impresa e poi si pensa al business plan” e altri che sono di parere completamente opposto. Di fatto molta gente ha avuto successo, ma non perché riuscisse a vendere la cosa che stava producendo, bensì per vie laterali. Per darvi un’idea: questo blog gira su Blogger, una piattaforma che non ha mai fatturato un dollaro ma è stato acquisito da Google, e questo ha ampiamente ripagato investitori e imprenditori degli investimenti iniziali; e probabilmente voi lo state leggendo con Firefox, i cui sviluppatori
storici hanno sostanzialmente regalato il loro lavoro a Mozilla Corporation, ma poi sono stati premiati con incarichi prestigiosi e molto ben pagati (Dave Hyatt sta alla Apple, mentre Blake Ross ha fondato una nuova azienda, Parakey). Ho l’impressione che questo avvenga in tempi di mutamento di paradigma o di turbolenza, e – ovviamente – che tenda ad aumentare il rischio connesso all’investimento su nuove attività d’impresa. Poi c’è da chiedersi se i paradigmi smetteranno mai di cambiare, ma questo è un altro discorso.

Vediamo come va a finire.

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