Venerdì ero al VeneziaCamp, e mi sono divertito. Paradossalmente favoriti da un forte ritardo iniziale e da qualche assenza che ha fatto saltare il formato delle sei presentazioni da 10 minuti + domande e risposte, abbiamo avuto una vera discussione, non sempre coerente ma ricca di spunti, come la discussione deve essere. Cosa succede, mi sono chiesto? Perché il risultato della rottura del formato è che l’interazione si fa interessante?
Ecco cos’è successo: ho capito di non essere fatto per questi formati di sintesi estrema. Non ne ricavo niente. Spostarsi per un incontro costa tempo e denaro, e in cambio del mio investimento voglio avere il tempo di ascoltare le storie che mi interessano, e di parlare con le persone che le hanno vissute. I barcamp, nati per favorire un’interazione informale e non ingessata, mi sembrano essersi evoluti in formati iperstrutturati, in cui ciò che conta è la brevità della comunicazione. Dieci minuti, cinque nel formato Ignite, venti slides, avanti il prossimo. Ultimamente mi è stato perfino proposto di andare a Roma per partecipare a una “conferenza cabaret” (sic: è questa) con, cito, “due presentazioni di 5-10 minuti max e poi spazio alle domande”. Bene, ma di che parliamo?
Spesso, quando lo o la speaker racconta una storia intrigante, alla fine mi capita di pensare “Ma no, continua! Chi se ne frega se perdiamo un po’ di tempo? Non è tempo perso, siamo qui per imparare!” Anche l’interattività mi sembra spesso un po’ superficiale: in genere ci vogliono quattro-cinque domande perché la discussione inizi a farsi interessante, perché le prime servono a mettersi in mostra. Questo, secondo me, accade perché alcune persone tendono a fare domande che incorporano il messaggio “io su questa roba ne so più della persona che ha tenuto la relazione”. Uno sport molto diffuso è quello di citare una cosa appena successa che il relatore non ha citato, in modo da mettere in risalto che si è più aggiornati di lui. E’ anche umano, ci sono un po’ di vanità da soddisfare prima di passare alle cose serie. Se il tempo è limitato, rischi che la platea senta solo queste domande.
Intendiamoci: riuscire a dire una cosa in pochi minuti è un bell’esercizio di sintesi (al KublaiCamp abbiamo dato spazio allo stralunato e divertentissimo PitchClub di Giacomo Neri) e la fuffa non va mai, mai bene. Però se voglio imparare da un incontro posso farlo in due modi: o da presentazioni di qualità o da una discussione altrettanto di qualità. E, se il problema che si vuole discutere è relativamente nuovo o comunque irrisolto, è improbabile che lo si possa sintetizzare in dieci minuti di presentazione. Naturalmente un bravo speaker riesce a sintetizzare, ma il prezzo che si paga è che la presentazione è sempre “for Dummies”, sempre al livello principianti. Io posso spiegare l’architettura di Kublai in dieci minuti e anche in cinque, l’ho fatto tante volte in due anni. Una volta l’ho fatto in 120 secondi! Ma se volete accedere al livello veramente interessante di Kublai (come ci rapportiamo con la community, come ci raccontiamo all’interno delle istituzioni, perché non veniamo attaccati dai troll etc.), beh, allora dobbiamo sederci e parlare, e mi serve un’ora per darvi i dati di base. Poi possiamo metterci a discutere.
Non credo che il formato lungo sia necessariamente sinonimo di ingessamento. Tanto per dare un’idea, il famoso seminario a Santa Fe, quello del settembre 1987 tra fisici ed economisti che diede il via all’Istituto per i sistemi adattivi complessi, non aveva certo problemi di eccesso di formalità, nè di fuffa: si tentava un esperimento veramente senza rete di sintesi intellettuale. Giovani scienziati eterodossi tenevano le relazioni: tre premi Nobel (Anderson, Arrow, Gell-Mann) sedevano in platea e chiedevano la parola alzando la mano. Eppure la durata delle relazioni si misurava in ore (quella introduttiva, tenuta da Brian Arthur, occupava tutta la mattina del primo giorno) e il seminario stesso è durato dieci giorni, con solo un sabato pomeriggio libero. So di non essere all’altezza di gente come Arthur e gli altri, ma proprio per questo ho bisogno di crescere, e voglio farlo. E questo vuol dire soprattutto andare in profondità sugli argomenti, dedicandovi il tempo giusto.
Può essere che quello di Venezia sia stato il mio ultimo barcamp. I barcamp italiani sono stati per me uno strumento di apprendimento molto utile: ho completato con successo il livello principianti. Adesso, però, mi piacerebbe passare a quello avanzato, e può essere che gli strumenti debbano cambiare.
Alberto,
hai perfettamente ragione e infatti i vari format vanno usati cum gran salis perché hanno storie e scopi differenti. Un barcamp con interventi da 10 minuti non ha molto senso, perché il barcamp è un incontro di persone che appartengono alla stessa comunità di pratica e si scambiano esperienze e conoscenze; quindi gli interventi devono essere lunghi (20 min + 10 min di domande e risposte sono sufficienti ad affrontare in modo approfondito un argomento specifico se ti sei preparato bene).
Gli ignite hanno un senso diverso: servono a buttare sul tavolo una serie di argomenti di discussione tra persone che non si conosco… sono la miccia per fare networking.
Di questo cose ho parlato recentemente in un post qui: http://blog.nicolamattina.it/2010/06/barcamp-ignite-ed-elevator-pitch-for-dummies/
Ciao
Nicola
Quoto appieno le tue riflessioni sul tempo.
Di fatto, se dedico più di due ore – quando non intere giornate – per assistere ad un incontro DEVO averne qualcosa in cambio. Salvo rarissimi casi, in 20/30 minuti non si riesce a creare sufficiente valore.
ciao
bb
like!
alberto, grazie del post. a breve ne scrivo uno anch’io…pero’ mi hai gia’ fregato il titolo!
penso che 50 minuti + 20 di domande siano il minimo per fare un’esperienza costruttiva, tempi inferiori vanno molto bene per comunicazioni video on demand, che possono ridursi fino a pochi minuti mantenendo buona forza
Alberto,
sono perfettamente d’accordo, una relazione è interessante quando stimola le idee e lascia spazio a domande e interazioni tra i partecipanti ed il relatore.
Quando si organizza un evento (barcamp o altri formati) ci sono diversi fattori da considerare. In che contesto sono inserito? A chi mi rivolgo? Chi coinvolgo? Cosa voglio che venga fuori? Cosa voglio che si attivi intorno? Cosa voglio che si attivi dopo? …
Di fronte ad ogni discussione su strumenti formati e metodi, io rispondo sempre che prima di tutto vengono le persone. Se hai le persone giuste hai tutto. In certi casi pero’ devi “garantirti” il risultato comunque.
Venendo alla nostra occasione, che tu ti sia divertito, non solo mi fa piacere, ma dimostra che in qualche momento, per qualche motivo, qualcosa ha funzionato. Magari non quello previsto, magari una parte di quello previsto che non era cosi’ evidente.
La mattina (ovvero il momento positivo che tu hai citato) e’ andato piu’ o meno come previsto. 1 ora di presentazioni brevi (6 da 10 minuti) perche’ tutti sapessero con chi si stavano per confrontare, e quali spunti venivano proposti. Poi 30 minuti di discussione libera, per approfondire, per esplorare, per confrontarsi. Questo avrebbe dovuto ripetersi per 4 volte, e quindi alla fine ci sarebbe state ben 2 ore di discussione libera: ma impedimenti tecnici e logistici non hanno consentito di tenere il ritmo.
C’e’ sempre da imparare, e c’e’ sempre da migliorare. Pero’ vorrei anche se si considerasse che la maggior parte degli altri eventi nello stesso veneziacamp (sia di quest’anno, sia dell’anno scorso) sono andati peggio. Sempre pronto quindi a raccogliere utili feedback. Non facciamolo alla Bartoli (“gli e’ tutto sbagliato, gli e’ tutto da rifare!”).
Infine in questo caso (la mail ti dovrebbe essere gia’ arrivata), l’evento in se’ e’ episodico, e funzionale a consolidare una rete. Anzi proprio a identificarla. Siamo gia’ in una nuova fase, che segue ed espande l’evento. Stiamo parlando di videocommenti, e poi … poi ti dico. Insomma e’ un laboratorio. Sperimentiamo insieme. Per farlo pero’ dobbiamo aver voglia di immaginare ancora “una prossima volta”. Diversa e migliore, naturalmente.
Gino, secondo me tu lì avevi fatto un gran lavoro per avere gente che ti interessava, e questa è una componente molto importante del divertimento. Però poi non è proprio vero che abbiamo fatto sei presentazioni da dieci minuti più trenta di discussione: le presentazioni hanno cominciato a sforare quando ho parlato io (continuavo a fermarmi perché le slides non funzionavano bene); poi Marco di Informatica Trentina ha parlato almeno venti minuti; ci sono state, che mi ricordi io, due presentazioni fuori programma (Paolo “l’americano” e Mariano di Prestiamoci); e verso la fine è arrivato Vianello. Quando abbiamo finito erano le 13.40, e avevamo iniziato alle 11.10: il primo panel ha preso due ore e mezza anziché una e mezza!
Tu sei stato molto bravo, secondo me, a assecondare la conversazione, infilando dentro nuovi speakers in medias res, e ancora più bravo a non interpretare il tuo ruolo in modo rigido, lasciando che la cosa andasse dove voleva andare visto che c’era attenzione, partecipazione e la gente si divertiva. Non sono affatto convinto che sia tutto sbagliato!
Ancora più importante, queste considerazioni valgono per me, non intendo affatto imporle ad altri. E anch’io, in una certa fase, ho beneficiato molto della partecipazione ai barcamp!
Sui barcamp ho un’opinione mista.
Positiva: per quanto riguarda gli argomenti faceti è un’ottima formula (vedi l’eroticamp di Riva del Garda). Se ne aggregano tanti in contemporanea, cosi’ si passa da un camp all’altro.
Negativa: assolutamente contrario per gli argomenti “tecnici”. Continuo a preferire una formula più tradizionale come ho visto partecipando alle confence americane di piccolo taglio (intorno ai 150-200 partecipanti): sessioni brevi con diversi relatori, spazio domande, pausa di decompressione solitamente inclusa nei pasti e poi si ricomincia. E nelle pause parli dei tuoi dubbi con i relatori. Chiaramente non e’ il caso dei grossi eventi tipo il SMSX o PubCon dove ci sono centinaia e centinaia di persone in ogni panel 🙂
Condivido la spinta ad andare in profondità, a non fermarsi ad un livello superficiale che inevitabilmente non-confrenze informali costringono a volte per questioni di tempo.
Ho provato a rispondere in maniera un pò più articolata per non essere io stesso “strozzato” dalla necessità di sintesi estrema di questo commento.
L’ho fatto qui: http://progettokublai.ning.com/profiles/blogs/soluzioni-complesse-per