Archivio della categoria: industrie creative e sviluppo

The economics of the makers revolution: a primer

Ero un economista industriale molto tempo fa, quindi trovo rinfrescante immergermi nelle conseguenze economiche della rivoluzione makers. Il video qui sopra (9 minuti) è il mio talk a World Wide Rome, conferenza che ha proiettato il mondo makers dalle cantine al mainstream grazie alla formidabile trazione di Riccardo Luna. Il concetto principale è quello di tecnologia permissiva; solo tecnologie hackerabili sia legalmente che tecnicamente permettono l’innovazione di massa e dal basso che può riorganizzare l’economia manifatturiera su basi di decentralizzazione spinta. Se ti interessa saperne di più puoi leggere:

  • l’economia di Makers di Cory Doctorow (in inglese), un’analisi economica del romanzo eponimo di Doctorow. Doctorow l’ha letta e mi ha ringraziato, quindi immagino che non sia troppo distante dalla sua visione.
  • la maledizione di Schumpeter, un post che non parla del movimento makers ma illustra un punto chiave del mio talk: la distruzione creativa non è un modello di equilibrio, e la rivoluzione makers farà probabilmente parecchie vittime.

Il mio talk è stato molto applaudito dal pubblico in sala, prevalentemente di provenienza corporate o istituzionale. Questo mi ha stupito, visto che ho annunciato instabilità economica, obsolescenza dei modelli di business basati sulla proprietà intellettuale, pianto e stridor di denti. Immagino che voglia dire che siamo così immersi nell’ideologia dell’innovazione che riusciamo a rimuovere gli elementi di conflitto nella rivoluzione makers. In questo io sto con Doctorow: ci sarà conflitto, i diritti di proprietà intellettuale (brevetti) saranno il campo di battaglia principale, e i cattivi potrebbero vincere.

Una nota a margine della conferenza stessa: è stato un magnifico evento, molto bene organizzato e che ha avuto l’enorme merito di celebrare i makers, in primis l’inventore di Arduino Massimo Banzi. Ma ho anche una critica: ha mescolato i progetti dei makers (basati appunto su tecnologie permissive e open source, margini bassi e decentramento produttivo) da quelli delle grandi imprese come Olivetti e i clienti di Ideo e del CIID (basati su tecnologie proprietarie e non permissive, sotto il controllo di grandi imprese che fanno margini alti). Del resto, questo spazio è ancora nuovo. Impareremo.

Semi che germogliano: la lunga marcia di Visioni Urbane

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Era il 2007 quando ho iniziato a lavorare a Visioni Urbane, un progetto della Regione Basilicata che si proponeva di realizzare alcuni spazi per la cultura. Nel gruppo di lavoro rappresentavo il Ministero dello sviluppo economico; il mio compito era di spingere il progetto nella direzione di investire molto sulle competenze creative e imprenditoriali invece che nella costruzione di edifici.

I risultati di Visioni Urbane hanno superato le migliori previsioni. Il progetto – almeno per ora – ha avuto successo: la scena creativa lucana, in precedenza divisa da una cultura di sospetto reciproco, ha collaborato con generosità e competenza con la Regione per progettare una rete di nuovi centri per la cultura. Quattro di questi sono stati anche realizzati, non costruendo nuovi edifici ma recuperando edifici pubblici esistenti ma in decadenza e non utilizzati (in questo modo, circa 3 milioni di euro di nuovi investimenti in mattoni hanno messo a valore 10 milioni di euro di investimenti pubblici già effettuati), mentre un quinto, a causa di problemi strutturali insanabili, ha dovuto essere demolito ed è attualmente in corso di ricostruzione. La gestione di tutti e quattro i centri completati è stata messa a bando; in tre casi è già stata assegnata, mentre il quarto bando scade a gennaio. Due dei tre bandi già assegnati sono stati vinti da consorzi di associazioni e piccole imprese della comunità di creativi raccolta intorno al progetto.

Questi sono già ottimi risultati. Ma ancora più notevole è il fallout di Visioni Urbane: il piccolo gruppo di funzionari che lo ha condotto, e che risponde direttamente al Presidente della Regione, ha esteso l’approccio del progetto ad altre policies, parzialmente integrate con VU stesso. A quanto ne so io:

  • la rete di coordinamento tra i centri immaginata per Visioni Urbane si è evoluta in una fondazione di comunità, partecipata dalle associazioni e le imprese della comunità creativa, da diversi enti locali e dalla Fondazione per il Sud (che funziona da acceleratore, perché raddoppia la dotazione finanziaria raccolta dagli altri soci). La comunità appoggia energicamente questa operazione.
  • la linea di apertura a collaborazioni nazionali e internazionali di VU ha attecchito; i bandi per lo startup dei centri saranno aperti anche a soggetti esterni al territorio.
  • il gruppo di VU è stato protagonista nel lanciare la candidatura di Matera a capitale europea della cultura nel 2019. La responsabile del progetto e il direttore vengono entrambi dall’esperienza di Visioni Urbane.
  • la Basilicata ha costituito una film commission negli ultimi mesi del 2011. La comunità creativa ha chiesto più volte che il metodo molto partecipato di Visioni Urbane venisse applicato anche in quel caso. Non sono sicuro, però, che questo sia effettivamente accaduto.

Visioni Urbane è stato un progetto generativo. Nei primi tempi è stato necessario fare un investimento iniziale di attenzione, tempo e libertà. Attenzione ai dettagli, per imparare a fare fruttare al massimo ogni occasione e ogni euro di denaro pubblico; e tempo e libertà di azione per crescere, esplorare le alternative a disposizione, rimettere in discussione il proprio modo di pensare la policy (ne ho parlato nel mio libro). Questo ha ridotto, inizialmente, l’efficienza amministrativa misurata in velocità di spesa (ci abbiamo messo diversi anni a spendere quattro milioni di euro), ma ha lasciato all’amministrazione nuovi strumenti per analizzare e per fare. In tempi di crisi e di risorse calanti, è un pensiero che mi dà speranza.

Tre futuri per Kublai

Oggi si tiene il Kublai Camp 2011, il terzo in tutto e il primo a cui non posso partecipare. L’amico Tito Bianchi del Ministero dello Sviluppo Economico mi ha chiesto un breve video in cui dico come vorrei che fosse Kublai tra tre anni. Ecco fatto: delineo tre futuri possibili, due che mi piacciono e uno che non mi piace. E sono:

  1. un onesto pensionamento alla fine del prossimo ciclo.
  2. la devoluzione di Kublai alla comunità dei kublaiani, mantenendone la missione pubblica.
  3. entrenchment e slittamento verso una specie di sportello di impresa online. Questo esito mi sembra poco interessante e poco adatto allo Stato centrale, e credo che andrebbe evitato con cura.

Sono curioso di vedere come va a finire.

(Info su Kublai qui)