Volevo e voglio viaggiare di meno, ma l’occasione vale l’eccezione. Eccomi a Torino per seguire il corso di David Lane su quella che lui chiama “innovazione nello spazio agenti-artefatti”. David, non ho difficoltà ad ammetterlo, è uno dei miei eroi. Tanto per dirne una, è stato fin dall’inizio nel programma sull’economia dell’Istituto di Santa Fe, la culla della scienza della complessità e dell’approccio interdisciplinare: anzi, ne è stato uno dei direttori, sostituendo nientemeno che Brian Arthur. Ascoltare una lezione di David è come andare su un otto volante disegnato da un genio sadico: passa con disivoltura dalla modellizzazione del comportamento delle formiche in un formicaio ai metodi di costruzione degli utensili in selce nel neolitico. Io mi aggrappo disperatamente e cerco di non essere sbalzato fuori, e di seguire la lezione fino alla fine.
Sono convinto che l’approccio complexity allo studio dell’economia abbia davvero qualcosa da dire. E’ agilissimo, perché sfrutta strategie di indagine e di modellizzazione prese dalla biologia, dalla fisica, dall’informatica, dalla matematica delle reti, dall’etnografia; e molto rigoroso, perché i suoi campioni tendono ad essere più bravi con la matematica degli economisti tradizionali (che pure sono molto bravi). E studio, nella speranza di capire meglio i fenomeni di emergenza che vedo svolgersi davanti ai miei occhi – l’ultimo, di questi giorni, è l’autoorganizzazione del programma del Kublai Camp 2010. Qualcosa resterà.