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Cittadini, non target: perché la cultura del marketing può danneggiare la collaborazione tra persone e istituzioni


La campagna per le elezioni amministrative di Milano ci ha lasciato un’eredità preziosa: la consapevolezza che tantissimi cittadini vogliono e possono collaborare in modo costruttivo con i propri amministratori pubblici. Grandi numeri, grande energia creativa, strumenti Internet per coordinarsi su obiettivi comuni; il potenziale dei cittadini connessi per contribuire ad un rinnovamento generale del sistema paese è indiscutibile. La società civile italiana ha espresso in questa fase una grande autonomia, almeno pari a quella delle più avanzate esperienze internazionali e probabilmente superiore.

Questa eredità, però, ha anche un lato oscuro. Protagonisti della campagna milanese non sono stati solo i cittadini, ma anche gli esperti di comunicazione su Internet, persone e aziende con un retroterra culturale nel marketing. L’approccio derivato dal marketing si presta bene alle campagne elettorali, perché il voto ha un costo basso o nullo; soglie d’accesso inesistenti; e soprattutto motivazioni spesso emotive o irrazionali. Tutte queste caratteristiche si applicano anche all’acquisto di beni di consumo. E così, gli esperti di comunicazione politica parlano il linguaggio della pubblicità e del marketing: raccontano, per esempio, che Nixon perse le elezioni perché, durante il dibattito televisivo con Kennedy, sudava. Il loro lavoro non è aiutare i cittadini a costruirsi un’idea realistica delle politiche che saranno necessarie per i prossimi cinque anni, ma indurli a votare per un certo candidato, anche se votano per ragioni futili o sbagliate. Non sarà particolarmente nobile, ma, dicono, funziona.

La collaborazione tra cittadini e istituzioni è cosa diversa dalla competizione per il voto, e la similitudine con l’acquisto di beni di consumo non regge. Progettare e attuare politiche pubbliche è un’attività ad alto costo e prolungata nel tempo; richiede argomentazioni razionali, dati, competenze. In questo contesto le tecniche di seduzione del marketing non solo non funzionano bene, ma rischiano di fare danni. In particolare rischiano di produrre bolle nella collaborazione: convincere a partecipare persone che poi, di fronte alla fatica del lavoro di progettazione, si scoraggiano e abbandonano in massa il processo – e così facendo rendono l’intera esperienza negativa per sé e caotica per gli altri. Il problema del governo wiki non è attirare grandi folle di partecipanti, ma abilitare ciascun cittadino a scegliere se e dove impegnarsi, senza tacergli problemi, difficoltà e rischi di fallimento connessi con l’impegno. Anche gli indicatori si leggono in modo diverso che nel marketing: lì attirare più gente è sempre un segno di successo, mentre nel governo wiki può esistere la troppa partecipazione (comporta duplicazione dell’informazione, con molta gente che dice le stesse cose, e riduzione del rapporto segnale/rumore, con gli interventi di bassa qualità che sono molti di più degli interventi di alta qualità).

C’è una differenza profonda nei modelli di decisione sottesi alle due modalità: nel governo wiki i partecipanti si autoselezionano, nel marketing è l’esperto di comunicazione che sceglie il proprio target. Nella collaborazione di tipo wiki il partecipante è visto come un adulto pensante, da informare in modo accurato in modo che possa prendere le proprie decisioni, mentre nella pubblicità il consumatore (o l’elettore) è visto come una persona stupida ed egoista, che risponde a impulsi primordiali e che occorre indurre a fare ciò che noi sappiamo già che va fatto. L’esito della collaborazione ben progettata è aperto e imprevedibile, l’esito della pubblicità ben progettata è il raggiungimento di un obiettivo stabilito a priori.

Insomma, uno scivolamento verso il marketing del discorso sulla collaborazione tra cittadini e istituzioni sarebbe un errore. Un aumento del numero di partecipanti a un singolo processo non vuol dire automaticamente un miglioramento; un sindaco non è un brand; una disponibilità a collaborare non è un trend che va cavalcato nel breve termine (e se lo è diventa inutilizzabile, perché il governo wiki produce risultati in tempi medio-lunghi) e soprattutto, le persone non sono un target, perché non vanno convinte, ma messe in grado di fare ciò che già desiderano. È chiaro che gli italiani sono disposti a collaborare con le loro istituzioni; questa collaborazione ha bisogno di spazio e pazienza per potere crescere sana e forte, al riparo dall’hype e dalle troppe aspettative. Mi auguro che gli uomini e le donne delle istituzioni – a cominciare dal nuovo sindaco di Milano Giuliano Pisapia, simbolo di questa fase – resistano alla tentazione di vedere la collaborazione come una campagna, i cittadini come elettori, la conversazione razionale come persuasione occulta. Cedervi significherebbe farsi del male, e sprecare un’opportunità a cui il nostro paese non può permettersi di rinunciare.

Giuliano Pisapia, Milan’s wiki mayor


Much has been written on the campaign that led Giuliano Pisapia to being elected mayor of Milan. Analysis on the role of social media, Twitter in particular with the #morattiquotes and #sucate is begining to circulate. There is no doubt that the Pisapia-Boeri campaign was very collaborative (more than forty thousand users tweeted with the #morattiquotes hashtag); and that Pisapia himself played ball, taking a step back and letting his supporters do the heavy lifting of voicing for him, in the way and on the media they liked. I am not qualified to comment on how this campaign will change political communication in italy.

I do want to highlight that, as the campaign drew to a close and victory was declared, something unexpected happens: the loose collaboration between Pisapia the candidate and his supporters did not end with it. The first message that Pisapia the mayor delivered to the city was “Don’t leave me alone”, and his words rang sincere; a few hours later, to a journalist asking him how he would deal with the inevitable pressure of interest groups he serenely replied “There are hundreds of thousands of Milanese out there that are not going to let me sell out” (video, at 8′ 50″). Message received, loud and clear: Pisapia believes in the wisdom of “his” crowd. In this sense, he is a real wiki leader.

As the mayor seems to want to create, within his administration, some space that citizens can help fill with content, like a Wikipedia page, his supporters are giving signs that they want to play along. On Friday June 3rd, just four days after the election, a new hashtag spread over Italian-language Twitter, #pisapiasentilamia (Pisapia, hear my voice). The light-hearted tone recalls the campaign, but the content is serious and quite concrete. Citizens share their needs, priorities and dreams for Milan in the coming years: bikesharing in the suburbs, longer service hours for the metro, a single card to access every museum in town. Some promise to think about it in depth; others volunteer to work with the new administration for free. As is often the case, the willingness to help of the connected citizenry took by surprise commentators not accustomed to the Internet social dynamics.

Granted, the 140 characters of Twitter are hardly suited to designing policy; it is unlikely that they will much further than a book of dreams. But a threshold has been stepped over: some of the mayor’s supporters are migrating from (partisan) cyberactivism to (nonpartisan) collaboration with a city institution. This is the same collaboration that I tried to account for in my book; I think it arises fairly naturally as a feature of civility in the 21st century. In this new space it will be natural for people that did not vote for Pisapia to participate, and they will be welcome. If the new Milan administration plays its cards right, it could give rise to a world class participation experience, in which citizens not only contribute to policy design, but to policy delivery as well. I recommend it goes for it: wiki government is very efficient, and not nearly as disruptive as it sounds. I am confident that the Milanese — not just those on Twitter, either — would play ball like there’s no tomorrow.

UPDATE: a few hours after this post went online Pisapia tweeted that he is reading all #pisapiasentilamia suggestions and grateful to everyone putting them out. That’s very good angling: he is not committing to act on the basis on those suggestions (indeed he could not do so), but simply to read them and take them into consideration. In a separate tweet he thanked me for the post. Meanwhile a #pisapiasentilamia showed up on Facebook.

Hacking social business: reverse engineering Bienestar’s business plan

CC da Flickr.comMy students at the Design for Social Business Master made me very proud last week with a clever reverse engineering of a (social) business plan based on nothing more than a set of slides intended as a brief for the graphic design of a website – and a whole lot of online investigation. The business plan in question is that of Bienestar, a health care initiative in the region of Caldas (Colombia) just being rolled out by the provincial authority and Grameen Creative Lab. This is supposed to be the focus of a forthcoming field visit of the students to Colombia; apparently Bienestar has no business plan (we asked), and the brief was all we had to work with.

With no business planning background at all — save for my own lecture — Alessandra, Barbara, Chiara, Mandy, Oscar, Simona and Tiago showed a remarkable ability to stake the territory. They combed the web for data like minimum salary in rural Colombia; the structure of health care, including recent changes in legislation; and the state of the road networks in the Caldas region, to get a feel for the logistics of traveling to Villa Maria to get treated. All of these data were used to generate a critical appraisal of the business plan as they reconstructed it from the brief. This appraisal was put in a document that visualizes cleverly GCL’s approach and the students’ own questions and critique. Besides being clever in itself, this document was written by a very advanced process of online collaboration; the students made the most of my lecture about it, and have become power users of the new Google Docs (it now embeds very cool features from Google Wave — and man, do they use them all).

Armed with that, we figured out what the economic engine that makes Bienestar sustainable is: treatment of new patients, that now are completely outside the system; moreover, these patients have to be fundamentally healthy, like pregnant women and children — it can’t work with patients with chronic diseaes. Now the students are putting figures to that, and have thus found a new mission: when they go to Colombia, they can be the business planning experts of Bienestar. They are already way ahead of GCL on this project!

If you are interested in social business and social innovation, I would really encourage to check out the course’s blog, and maybe drop a comment to say hello: they are really cool people, well worth knowing, and very friendly. The blog is in English, but they are a pretty international crowd and welcome comments in Spanish, Portuguese, Romanian, Arabic and Italian as well.