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Wikicrats strike back!

Nelle ultime settimane Wikicrazia, il mio libro del 2010, si è riaffacciato un po’ a sorpresa nel dibattito nazionale.  In particolare in due luoghi.

Cambiamo tutto, il “libretto rosso” del mio amico Riccardo Luna sulla rivoluzione degli innovatori, dedica al libro (e alle cose su cui io e altri, tra cui non pochi lettori di questo blog, ci siamo impegnati nel nome delle tesi sostenute nelle sue pagine) un terzo abbondante del capitolo intitolato “Civic hacker – Di coloro che pensano che con la rete la politica possa tornare a essere bella – a patto di non essere pigri.” Mentre scrivo, Cambiamo tutto  è primo nella classifica dei bestseller (saggistica). La prima tiratura è andata esaurita in due settimane, e il libro è già in ristampa. Bravo Riccardo!

Anche Un partito nuovo per un buon governo, la memoria politica del Ministro per la coesione regionale Fabrizio Barca, dedica diversi passaggi alla collaborazione tra cittadini in rete e istituzioni; e cita sia Wikicrazia che la recensione che lui stesso ne aveva scritto nel 2011, prima di accettare l’incarico di ministro. Il mondo politico sta discutendo l’analisi e le proposte di riforma avanzate nella memoria.

Forse il termine “wikicratico” sta assumendo un senso più ampio, ma per me i wikicratici sono e rimarranno le tante persone che mi hanno aiutato nel percorso di scrittura (e riscrittura… e riscrittura…) del libro. Li ho già ringraziati per nome più volte, ma vorrei condividere con loro, con l’editore Navarra e con i miei coautori di Wikicrazia Reloaded questa piccola soddisfazione. Abbiamo tutti lavorato per portare la discussione un metro avanti, fare un tratto di strada per condividerlo con altri, in modo che loro potessero andare più lontano e più veloci. Pare che ci siamo riusciti: Riccardo, il ministro Barca e probabilmente molti altri usano il nostro lavoro per innestarvi le loro riflessioni – e grazie al loro riflettere cresciamo tutti. Avanti così.

Wikicrazia Reloaded: arriva l’edizione Kindle

Ho deciso di pubblicare Wikicrazia Reloaded in formato e-book. Lo trovate qui su Amazon a 3 euro, senza DRM e con licenza Creative Commons. Ci sono molti contenuti nuovi: una nuova prefazione di Riccardo Luna e una decina di articoli scritti da Fabrizio Barca, Alessio Baù e Paola Bonini, Matteo Brunati, Michele D’Alena, Fabio Fornasari e Antonino Galante, Matteo Leci Cocco-Ortu, Francesco Pesce e Ida Leone, Dimitri Tartari e Massimo Fustini, Alessia Zabatino, tutte persone che hanno usato il libro come un manuale d’uso per mettere in pista operazioni di open government. Qui sotto potete leggere la nota che apre l’edizione e-book. L’ho appena caricato e non ci sono ancora recensioni: vi sarò davvero molto grato se trovate dieci minuti per scriverne una. Apprezzo anche consigli su dove pubblicare, con le stesse modalità, l’ebook in formato epub.

A un anno e mezzo dalla pubblicazione di Wikicrazia nell’ottobre 2010, molte cose sono cambiate nello spazio delle politiche pubbliche. Le avventure di quei pochi pionieri raccontati nel libro hanno ispirato molte altre persone e amministrazioni a entrare nel gioco, a tutti i livelli amministrativi e in tutto il mondo, dall’accordo diplomatico globale dell’Open Government Partnership al piccolo comune che pubblica il bilancio in formato aperto con le apps gratuite di Google. In questo rivolgimento ho giocato anch’io il mio piccolo ruolo, provando a mettere in pratica i principi descritti nel mio libro nel contesto di un progetto che dirigo presso il Consiglio d’Europa: un’istituzione piuttosto felpata (nasce da un accordo diplomatico) e non particolarmente sensibile al fascino dell’high-tech, ma che mi ha coraggiosamente dato spazio nel realizzare cose abbastanza radicali.

Questo fenomeno è stato particolarmente spettacolare in Italia. A partire proprio dalla fine del 2010, Regioni (prima) e governo centrale poi hanno dedicato alle politiche di governo aperto e collaborativo molta più attenzione che in passato – con un forte sostegno da parte di una società civile particolarmente ricca di entusiasmo e di competenze.

Questa situazione consegna Wikicrazia a un destino contraddittorio. Da una parte dà l’impressione di essere datato, come una foto in bianco e nero; dall’altro sembra straordinariamente profetico. A pensarci bene, però, credo che entrambe le impressioni siano sbagliate.

Wikicrazia rimane attuale (purtroppo). Delle moltissime istituzioni pubbliche del mondo, alcune hanno varato leggi per garantire l’accesso all’informazione generata dalle amministrazioni; altre hanno pubblicato dati in formato aperto; altre ancora hanno dato vita a interessanti esperienze di collaborazione con i cittadini. Pochissime hanno fatto tutte e tre le cose; praticamente nessuna ha applicato tutti e tre principi in tutte le aree in cui è attiva. La grande maggioranza delle istituzioni di governo nel mondo è in una situazione analoga a quella descritta nel libro.

Wikicrazia non è una profezia, ma un manuale d’uso. Se alcune cose in questi anni sono cambiate nel senso indicato dal libro non è per effetto di forze misteriose e impersonali che sono riuscito a decifrare, ma perché persone coraggiose e intelligenti si sono impegnate per rendere l’azione di governo più aperta e più informata. Alcune di queste hanno usato il mio libro per trovare conferme e orientare il loro impegno: io questo lo so perché, nell’anno e mezzo trascorso dalla pubblicazione dell’edizione di carta, ho ricevuto tantissime email, messaggi su vari social network e telefonate di persone che, dal libro, avevano tratto ispirazione e motivazione per proseguire sulla loro strada di cittadini attivi, funzionari pubblici innovatori, politici impegnati nel rinnovamento.
Wikicrazia non è certo un bestseller: l’edizione di carta ha venduto mille copie. Eppure, a modo suo, è un libro che ha esercitato e continua ad esercitare una piccola influenza su alcune persone, un po’ come il primo disco dei Velvet Underground, quello con la banana in copertina: la prima edizione ha venduto pochissimo, ma si racconta che tutti quelli l’avevano comprata abbiano fondato una propria band. Ha anche aggregato una piccola comunità di lettori molto avanzati, il Nocciolo Duro: da quando mi sono trasferito all’estero sono loro a occuparsi delle presentazioni italiane.

Quindi, sento il libro come ancora molto vivo. Questo mi ha spinto a metterne insieme l’aggiornamento che state leggendo. Al testo del 2010, che ho lasciato intatto, ho aggiunto una serie di brevi saggi di amici e colleghi che hanno condotto in prima persona o studiato da vicino alcune delle esperienze “wikicratiche” dell’ultimo anno e mezzo. Sono loro i protagonisti di Wikicrazia reloaded: io ho messo insieme il libro, ma loro, insieme, stanno scrivendo la storia di questa nuova fase delle politiche pubbliche italiane. Il loro segreto è semplice e grande: hanno guardato il proprio Comune, o la propria Regione, o l’agenzia governativa per cui lavorano con occhi nuovi e si sono detti “io ci provo”. I wikicratici indicano la strada a tutti noi: non ho parole per esprimere l’orgoglio di avere, nel mio piccolo, contribuito a dare loro strumenti per farlo.

Una menzione speciale va a Riccardo Luna, autore della prefazione di questa edizione. Siamo diventati amici proprio a partire dal suo interesse per Wikicrazia, e il suo impegno generoso per le pratiche di governo aperto in Italia ha fatto una bella differenza.
Speriamo, tutti insieme, di continuare così.

Perché creare un servizio open government sarebbe un errore

A giudicare dai segnali che mi arrivano dall’Italia, il nuovo governo è deciso ad adottare pratiche di governo aperto. È plausibile: molti ministri sono abbastanza curiosi per indagare nuove strade, e abbastanza attrezzati intellettualmente per stare in questo spazio da protagonisti. Fabrizio Barca, per esempio, ha scritto una recensione del mio libro Wikicrazia che mostra una comprensione profonda e non acritica del tema. Il più convinto è forse Francesco Profumo, che nel 2011, appena nominato presidente del CNR, si stava già muovendo per aprirne la governance. Non a caso, Profumo ha rivendicato e ottenuto la delega all’innovazione.

Il problema interessante è come realizzare l’apertura della pubblica amministrazione italiana, superandone le inevitabili resistenze. Semplificando al massimo, consideriamo due possibilità: una strategia top-down, imperniata sulla produzione di norme e linee guida, e una bottom-up, imperniata sulla costruzione di capacity nelle varie amministrazioni non solo dello Stato, ma anche e soprattutto delle Regioni.

La strategia top-down consiste nel costituire un forte nucleo tecnico per l’Open Government presso il Dipartimento per l’innovazione. Questo nucleo scrive regole che impongono l’adozione di pratiche di trasparenza radicale e collaborazione con i cittadini; e produce strumenti perché le altre amministrazioni possano incamminarsi su questo percorso (per esempio linee guida, definizioni, allegati tecnici). Se ha successo, questa strategia costruisce una nuova istituzione al centro, che sa fare open government.

La strategia bottom-up consiste nell’infiltrare l’agire delle diverse amministrazioni dello Stato e delle Regioni di progetti e politiche aperte e trasparente. L’obiettivo non è accentrare le competenze, ma piuttosto decentrarle; e non è strutturare l’apertura e la trasparenza come una specie di aggiunta a valle del modo normale di costruire policies, ma piuttosto incorporarle in tutto il ciclo di vita delle policies stesse, dalla progettazione alla valutazione ex post. Se ha successo, questa strategia costruisce, nelle istituzioni esistenti, nuova capacità di fare in modo aperto pubblica istruzione, sanità, infrastrutture, e così via.

È chiaro che le due strategie non sono alternative, ma complementari. Servono strumenti nazionali: per esempio, ci vuole un Freedom of Information Act italiano, una garanzia di trasparenza di ultima istanza, e questo non si può fare che dal centro. Ma io credo che la strategia che ho chiamato bottom-up dovrebbe essere quella principale. La ragione è questa: un nucleo tecnico che “possiede” l’open government rischia di essere vissuto con fastidio dalle amministrazioni operative; e queste possono fare fallire le politiche di governo aperto semplicemente non cooperando, o considerandole come un adempimento, un dovere burocratico. Sarebbe un disastro. Ascolto e collaborazione non si possono fare controvoglia. Il governo aperto per forza si capovolgerebbe in una triste mascherata.

Un consiglio non richiesto a Profumo: ministro, resista alla tentazione di concentrare le intelligenze intorno a sé. Promuova piuttosto una comunità di pratica degli amministratori italiani che fanno governo aperto; organizzi una conferenza annuale, rilanci Innovatori PA, apra canali per mandare i funzionari desiderosi di imparare a lavorare un anno con le amministrazioni all’avanguardia mondiale in questo capo; usi l’autorevolezza della sua delega per premiare chi fa bene, a qualunque livello; apra spazi per la società civile. Non crei un altro silo verticalmente separato dagli altri; lasci piuttosto che gli uomini e le donne dell’open government stiano in trincea, dove le politiche pubbliche vengono fatte davvero e non solo dibattute o valutate. Cerchi, insomma, di stimolare la domanda di apertura da parte delle amministrazioni operative, piuttosto che imporgliela. Si rischia che il risultato sia la solita situazione “a macchia di leopardo” italiana, con alcune amministrazioni all’avanguardia e altre no. Ma tutto sommato, meglio questo che una mancanza di trasparenza uniforme.