Qualche settimana fa, il Consiglio d’Europa ha pubblicato l’e-book con i risultati finali di Edgeryders. La storia che c’è dietro è questa: il progetto Edgeryders nasce come esplorazione della transizione dall’età giovanile a quella adulta, sullo sfondo di un’Europa colpita dalla crisi. Normalmente il Consiglio d’Europa tratta questi progetti incaricando una decina di accademici di scrivere un rapporto multi-autore, e poi presentandone i risultati. In questo caso, però, io sono stato incaricato di dirigere il progetto, e ho proposto, invece, di costruire una piattaforma aperta sul web e lasciare liberi i cittadini europei di tutte le età di contribuire al documento finale con la propria esperienza personale. Dopo tutto, tutti siamo giovani, o siamo vicini a qualcuno che lo è. Messi insieme, abbiamo moltissimi dati sulla transizione – molti di più di qualunque gruppo ristretto di accademici, per quanto qualificati.
In pratica, le cose non sono state così semplici. Il mio gruppo e io abbiamo dovuto montare un’architettura di progetto complessa: engagement managers per connettere il progetto con le comunità di persone impegnate a reinventare diversi aspetti della società (come quelle dell’innovazione sociale, del governo aperto/democrazia aperta, e della resilienza); etnografi per “mietere” e riordinare la massa di dati esperienziali conferita sulla piattaforma dai giovani europei; scienziati sociali per confrontare il mondo emergente che i più innovativi tra i giovani d’Europa stanno cercando di costruire con gli obiettivi di lungo termine delle politiche europee. Abbiamo dovuto inventare questa metodologia man mano che procedevamo; e vi assicuro che è stato un viaggio affascinante, ricco di intuizioni brillanti, errori stupidi e tutto quello che ci sta in mezzo.
18 mesi dopo l’avvio, credo di potere dire che la premessa fondamentale di Edgeyders è stata confermata. Dice questo: se hai un problema che riguarda tutta la società – un problema di politiche pubbliche – esponilo, spalanca le porte della tua istituzione e lascia che una comunità di persone che hanno a cuore quel problema vi cresca intorno, come corallo sul relitto di una nave, e che se ne senta responsabile. Credo che l’approccio sia stato giusto, perché la comunità cresciuta intorno a Edgeryders ha fatto una cosa inaspettata: ha deciso che (1) i suoi membri erano più interessati a contribuire direttamente a una soluzione dei problemi sociali sul tavolo che non a parlarne solo, lasciando ai governi il compito di intervenire; e (2) che i suoi membri si stavano già trasformando in alleati preziosi gli uni per gli altri su questo cammino. Quindi, invece che disperdersi con la fine del progetto, gli Edgeryders (così si riferiscono a se stessi) sono diventati ancora più attivi; hanno prodotto sei progetti per l’European Social Innovation Prize (l’1% del totale!); lanciato una ONG ispirata a Edgeryders, Edgeryders Sweden; costruito un partenariato con il think tank svedese Global Utmaning per lanciare un’inchiesta su giovani e lavoro (non occupazione, lavoro nel senso inglese di work) nella regione del Baltico; e si sono messi al lavoro per costituirsi in entità indipendente dal progetto madre – un vero e proprio spinoff del Consiglio d’Europa. Un blog che fa da punto di riferimento provvisorio è già attivo; alcuni sviluppatori Drupal della comunità stanno migrando l’intera piattaforma, con tutto il contenuto di Edgeryders 1. Altre belle notizie sono in arrivo: siamo a stretto contatto, coinvolgendoci a vicenda nei rispettivi progetti. Solo nelle ultime due settimane, ho esplorato l’analisi di rete (a Venezia) con Anthony Zacharzewsky e Gaia Marcus; imparato molto sul “suprematismo urbano” (!) e sull’età d’oro dello squatting da Dougald Hine, Ben Vickers e Ola Moller (a Stoccolma); e socializzato con la comunità degli sviluppatori open source europei con Dante-Gabryell Monsoon e Michàl Wozniak (a Bruxelles). E non sto nemmeno a parlare della ragnatela di interazioni online.
Comunque la si guardi, abbiamo costruito una comunità orgogliosa e vitale, che non ha paura di guardare negli occhi i problemi gravissimi che dobbiamo affrontare, né di tentare di risolverli. La mia parte dell’e-book (leggibile e scaricabile qui) è pensata come un manuale d’uso: offre un racconto da dietro le quinte di come, a partire da zero utenti, abbiamo seminato e coltivato quella che poi è diventata Edgeryders. Enjoy.