Da circa un anno ho cominciato a interessarmi di finanza. Il denaro, nelle sue varie declinazioni, è un’infrastruttura come le strade che abilita lo svolgimento delle attività economiche; inoltre è una piattaforma come Internet, nel senso che è riconfigurabile all’infinito, e che si può usare finanza per produrre altra finanza, strato sopra strato, proprio come questo blog è fatto di codice “appoggiato” sopra un protocollo di rete.
Sto lavorando nel campo delle politiche pubbliche per l’innovazione sociale, e l’innovazione sociale ha un problema di accesso ai capitali. Ovvio: i progetti degli innovatori sociali, anche se generano ricavi e perfino profitti, sono orientati soprattutto a produrre benefici, appunto, sociali. Il capitale, però, cerca una remunerazione monetaria, non sociale. I benefici sociali dell’investimento, anche quando investitori illuminati vi prestano attenzione (nel cosiddetto impact investment), restano in secondo piano.
La settimana scorsa, a Londra, ho parlato a lungo di queste cose con Karl Richter, un giovane architetto trasformatosi in finanziere passando dalla rigenerazione urbana. Lui e altri disegnano strumenti finanziari per l’innovazione sociale. Per esempio, una linea di lavoro consiste nell’impacchettare due fonti finanziarie diverse: un nucleo di “capitale filantropico”, interessato soprattutto ai rendimenti sociali, e uno strato periferico di impact capital in cerca di rendimenti finanziari di mercato, ma che comunque vuole investire responsabilmente. L’impacchettamento avviene in modo che il capitale filantropico sia in prima linea nel coprire le perdite (o i rendimenti al di sotto di quelli di mercato) nel caso l’investimento vada male. In questo modo gli investitori non filantropici sono garantiti; e i benefici del capitale filantropico vengono moltiplicati, perché un euro di capitale filantropico, attirando impact capital, va ad attivarne tre di credito sull’investimento.
Questo tipo di lavoro è importante nel contesto della nascente strategia europea sull’innovazione sociale. Però c’è una cosa che nessuno sta considerando, e cioè le conseguenze emergenti della costruzione di nuovi canali finanziari per questo tipo di impresa. La storia insegna che le innovazioni finanziarie spesso hanno conseguenze del tutto inattese, e a volte maligne. Per esempio, il mercato azionario è stato una grande invenzione, perché permette ai risparmiatori di entrare nel capitale di rischio delle imprese quotate. Siccome il rendimento dell’investimento è agganciato agli utili, il rischio di impresa viene ripartito tra tutti gli azionisti; siccome entrare e uscire dal novero degli azionisti è semplice e rapido, le imprese possono ottenere capitale a basso costo, e il denaro fluisce proprio a quelle imprese che investono in modo saggio, tale da garantire alti rendimenti e bassi rischi. Nel tempo, però, l’esistenza dei mercati azionari ha trasformato l’ecosistema del risparmio e dell’investimento. Invece di singoli risparmiatori che detengono azioni di un’impresa solida e dinamica a medio-lungo termine, essi sono dominati da gestori di fondi che spostano fulmineamente i loro capitali alla ricerca di margini anche di pochissimo più alti. Effetto emergente numero uno: l’ossessione per il brevissimo termine (bilancio trimestrale) della dirigenza delle imprese quotate. Effetto emergente numero due: bolle azionarie.
Vedete, non basta convogliare finanza sull’innovazione sociale. Occorre farlo senza distorcere gli incentivi che rendono gli innovatori sociali così bravi in quello che fanno. Per questo serve una comprensione dell’emergenza dei fenomeni economici e sociali molto migliore di quella che abbiamo adesso, e serve subito. Su questo tema ho iniziato a collaborare con il gruppo di David Lane all’European Centre for Living Technology, e spero di potere dare un contributo utile.